lunedì 26 ottobre 2009

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXXI — IL FUNERALINO

Tre bisous a chi riconosce il film da cui ho estratto questo spezzone senza sonoro. Nuovi indizi giovedì e sabato, ma allora sarò meno affettuoso.
AGGIORNAMENTO (giovedì 29 ottobre): Filmato più lungo, sempre senza sonoro. Un bisou di meno.
AGGIORNAMENTO (sabato 31 ottobre): I french kisses sono finiti tutti in questo lungo racconto morale. Ormai ne resta solo uno.



LA PARTITA SI È CONCLUSA SENZA VINCITORI.
LA SEQUENZA ERA TRATTA DA ARIANNA (LOVE IN THE AFTERNOON, 1957) DI BILLY WILDER. ECCOLA CON L'AUDIO RIPRISTINATO.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ LUNEDÌ 2 NOVEMBRE (MI ASPETTO GLI AUGURI, EH?).

lunedì 19 ottobre 2009

L'ultimo gioco in città

XXX — TELEAPATIA

Si cambia musica. Due neuroni a chi riconosce il film da cui sono estratte queste note. Giovedì sonoro più lungo ma resterà solo un neurone, a scorrazzare disperatamente nella tua testolina vuota.

teleapatia.mp3

ATTENZIONE: la partita si è conclusa martedì 20 ottobre alle 20.42. arcomanno si ritrova con due neuroni: speriamo che non entrino in conflitto tra loro facendogli scoppiare la testa peggio di un vino svoltacarrozze.
Il film da indovinare era Scanners (David Cronenberg, 1981).
Per chi vuole sentire l'intera suite di Howard Shore, l'ho messa alla fine di questo StenelOST.
La prossima sfida si terrà lunedì 26 ottobre.


L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 17 neuroni.
afasol: 14 neuroni.
bianca: 10
neuroni.
maxeramax: 3 neuroni.
YagaBaba: 3 neuroni.
gegio: 3 neuroni.
Andrea: 2
neuroni.

venerdì 16 ottobre 2009

Santa Teresa, Italia, annoduemilaseicentosessantasei


A quella stessa ora i poliziotti che smontavano dalla notte si ritrovavano a far colazione da Trejo's, una tavola calda lunga e stretta, con poche finestre, simile a una bara. Là bevevano caffè o mangiavano uova alla ranchera o uova alla messicana o uova con la pancetta o uova fritte. E si raccontavano barzellette. A volte erano monotematiche. Le barzellette. E abbondavano quelle sulle donne. Per esempio, un poliziotto diceva: com'è la donna perfetta? Be', alta mezzo metro, con gli orecchi grossi, la testa piatta, senza denti e bruttissima. Perché? Be', di mezzo metro perché ti arrivi esattamente ai fianchi, imbecille, con gli orecchi grossi per maneggiarla con facilità, con la testa piatta per avere un posto dove appoggiare la birra, senza denti perché non ti faccia male all'uccello e molto brutta perché nessun figlio di puttana te la rubi. Certi ridevano. Altri continuavano a mangiare le loro uova e a bere il loro caffè. E quello che aveva raccontato la prima barzelletta continuava. Diceva: perché le donne non sanno sciare? Silenzio. Perché in cucina non nevica mai. Certi non capivano. La maggior parte dei poliziotti non aveva mai sciato in vita sua. Dove si scia in mezzo al deserto? Ma altri ridevano. E quello che raccontava le barzellette diceva: forza, belli, definitemi una donna. Silenzio. E la risposta: be', un insieme di cellule mediamente organizzate che circondano una vagina. E allora qualcuno rideva, un agente della giudiziaria, fantastica questa, Gonzàlez, un insieme di cellule, sissignore. E un'altra, stavolta internazionale: perché la Statua della Libertà è donna? Perché per metterci il belvedere avevano bisogno di qualcuno con la testa vuota. E un'altra ancora: in quante parti è diviso il cervello di una donna? Be', dipende, belli! Da cosa dipende, Gonzàlez? Dipende da quanto la picchi duro. E ormai infervorato: perché le donne non sanno contare fino a settanta? Perché quando arrivano al sessantanove hanno già la bocca piena. E ancora più infervorato: che cos'è più scemo di un uomo scemo? (Questa era facile). Be', una donna intelligente. E sempre più infervorato: perché gli uomini non prestano la macchina alla moglie? Perché dalla camera alla cucina non c'è la strada. E nello stesso stile: cosa ci fa una donna fuori dalla cucina? Aspetta che si asciughi il pavimento. E una variante: cosa ci fa un neurone nel cervello di una donna? Be', turismo. E allora lo stesso agente della giudiziaria che aveva riso rideva ancora e diceva bellissima, Gonzàlez, molto azzeccata, un neurone, sissignore, turismo, molto azzeccata. E Gonzàlez, instancabile, continuava: come sceglieresti le tre donne più stupide del mondo? Be', a caso. L'avete capita, belli? A caso! Tanto è uguale! E poi: cosa bisogna fare per ampliare la libertà di una donna? Be', darle una cucina più grande. E di nuovo: cosa bisogna fare per ampliare ancora di più la libertà di una donna? Be', attaccare al ferro da stiro una prolunga. E qual è la giornata della donna? Be', una giornata senza pensieri. E quanto ci mette una donna a morire per un colpo in testa? Be', sette o otto ore, dipende da quanto ci mette la pallottola a trovare il cervello. Il cervello, sissignore, borbottava l'agente della giudiziaria. E se qualcuno rimproverava a Gonzàlez di raccontare troppe barzellette maschiliste, Gonzàlez rispondeva che era più maschilista Dio, che ci aveva fatto superiori. E proseguiva: come si definisce una donna che ha perso il novantanove per cento del suo quoziente di intelligenza? Be', muta. E cosa ci fa il cervello di una donna in un cucchiaino da caffè? Be', galleggia. E perché le donne hanno un neurone in più dei cani? Perché quando puliscono il bagno non bevano l'acqua del water. E cosa fa un uomo quando butta una donna dalla finestra? Be', inquina l'ambiente. E in cosa somiglia una donna a una pallina da squash? Be', più forte la batti, più velocemente torna da te. E perché le cucine hanno una finestra? Be', perché le donne vedano il mondo. Finché Gonzàlez non si stancava e beveva una birra e si lasciava cadere su una sedia e gli altri poliziotti ricominciavano a occuparsi delle loro uova. Allora l'agente della giudiziaria, esausto dopo una notte di lavoro, borbottava quanta sacrosanta verità era nascosta nelle barzellette popolari. E si grattava le parti basse e posava sul tavolo di plastica il suo revolver Smith&Wesson 686, quasi un chilo e duecento grammi di peso, che sbattendo contro la superficie del tavolo faceva un rumore secco, come quello di un tuono in lontananza, e riusciva ad attrarre l'attenzione dei cinque o sei poliziotti più vicini, che ascoltavano, no, che vedevano le sue parole, le parole che l'agente della giudiziaria voleva dire, come se fossero clandestini persi nel deserto e vedessero un'oasi o un villaggio o una mandria di cavalli selvaggi. Quanta sacrosanta verità, diceva l'agente della giudiziaria. Chi cazzo inventerà le barzellette?, diceva l'agente della giudiziaria. E i proverbi? Da dove cazzo vengono? Chi è il primo a pensarli, chi è il primo a dirli? E dopo qualche secondo di silenzio, con gli occhi chiusi, come se si fosse addormentato, l'agente della giudiziaria socchiudeva l'occhio sinistro e diceva: date retta all'orbo, imbecilli. Le donne dalla cucina al letto, e per la strada legnate. Oppure diceva: le donne sono come le leggi, sono fatte per essere violate. E le risate erano generali. Una grande coperta di risate si innalzava nel locale lungo e stretto, come se i poliziotti la usassero per lanciare in aria la morte. Non tutti, naturalmente. Alcuni, ai tavoli più distanti, finivano le loro uova con il chili o le loro uova con la carne o le loro uova con i fagioli in silenzio o parlando fra loro, delle loro cose, isolati dal resto. Facevano colazione, per così dire, coi gomiti appoggiati sull'angoscia e sul dubbio. Appoggiati sull'essenziale che non porta da nessuna parte. Intirizziti dal sonno: cioè voltando le spalle alle risate che sostenevano un altro sogno. Altri invece, coi gomiti appoggiati in fondo al bancone, bevevano senza dire nulla, limitandosi a guardare quella baraonda, o a mormorare che roba, o senza mormorare nulla, imprimendosi semplicemente sulla retina i poliziotti e gli agenti della giudiziaria.

Roberto Bolaño, 2666**, traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, Milano 2008, pp. 259-62.

martedì 13 ottobre 2009

Dacci un Taglio


Il segno del riconoscimento (The "High Sign", 1921) di Edward F. Cline e Buster Keaton.

Zebre

Figlia7, aspettando che il padre si degni di prepararle da mangiare, dimentica la fame parlando al telefono con nonnacrucca.
Dopo cena guardiamo l'ultimo episodio delle Avventure di Pinocchio di Luigi Comencini. Lo vidi quando avevo l'età, e poi mai più. Non ricordavo praticamente nulla, a parte il celebre motivetto. Sconvolgente. Potrei scriverci sopra dieci pagine, ve le risparmio tutte. Figlia7 si prende paura vedendo Pinocchio ciuchino, con Mario Adorf crudelissimo domatore, e zompa sulle mie ginocchia, ho appena il tempo di spegnere la sigaretta. (Personalmente resto sbalordito da Geppetto-Manfredi, che alla fine vuole restare nel ventre della balena: come posso essermelo scordato?).
Poi a nanna, mentre figlia7 canticchia le note di Carpi. Sarà l'unica francese a conoscerlo, sono soddisfazioni.
Nel computer, trovo una mail di nonna crucca:

Avevo raccontato a figlia7 la storia dello zoo distrutto a Gaza. Per consolare i bambini, hanno dovuto dipingere due asini facendo finta che fossero zebre. Le ho detto che le avrei mandato la foto per farle vedere che questa volta era vero, non una delle nostre favole telefoniche.


lunedì 12 ottobre 2009

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXIX — SENZA DUBBIO?

Tre falsi amici a chi indovina il titolo del film da cui ho estratto questa musichetta iniziale.
AGGIORNAMENTO (giovedì 15 ottobre): la pista audio ora dura 30 secondi in più, ma mentre piovono gatti e soprattutto cani, un falso amico se ne è sortito alla franscese: 22, ecco gli sbirri!
AGGIORNAMENTO (sabato 17 ottobre): Tre indizi fotografici. Il primo non porta all'assassino; il secondo non si muove più; il terzo non emette alcun suono. O comunque il collega di Altamante Fruzzetti dice di non sentirlo, all'unico falso amico che gli resta.


musichetta3.jpg

musichetta4.jpg

musichetta5.jpg

Giovedì e sabato arriveranno nuovi indizi ma si ridurranno i falsi amici: meglio soli che male accompagnati.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui.

ATTENZIONE: la partita si è conclusa lunedì 19 ottobre alle 10.48. bianca ottiene un falso amico.
Il film da indovinare era Garde à vue (Claude Miller, 1981), che in Italia si chiama assurdamente Guardato a vista (il titolo francese significa invece
"Fermo di polizia). Musiche di Georges Delerue.
Quanto ai cats and dogs che piovono, nel film hanno la loro ragion d'essere. C'è un cane (di un altro) che Serrault porta a spasso. Si chiama Tango, ed è lui che trova la prima bambina ammazzata. Ricordo uno splendido scambio di battute (i dialoghi del film sono scritti dal vecchio Audiard, stavolta più efficace del solito), tra lo scriba Marchand (sua la voce nel file audio) e Serrault. Marchand, alla macchina da scrivere:
— "Tango": ça s'écrit comme un tango?
E Serrault si volta, furente:
— Non, mais comment voulez-vous que ça s'écrive? Comme paso doble?!
Che per chi sa fa ridere anche perché Guy Marchand è un ottimo ballerino di tango. Bravissimo in un film splendido e raro intitolato L'Acrobate (Jean-Daniel Pollet, 1976).
Serrault all'epoca era popolare soprattutto come attore comico. Fece furore a teatro col "Vizietto", in coppia con l'autore e suo sodale di una vita Jean Poiret.
La prossima sfida si terrà lunedì 12 ottobre.


L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 15 falsi amici.
afasol: 14 falsi amici.
bianca: 10 falsi amici.
maxeramax: 3 falsi amici.
YagaBaba: 3 falsi amici.
gegio: 3 falsi amici.
Andrea: 2
falsi amici.

giovedì 8 ottobre 2009

Les Gauloises bleues (Libertango)

[…] Vana opera è quella
di chi pratica l'arte del futuro
e attende al fuoco e all'are! Se dai segni
trae nemiche le sorti, spiace a quelli
che ne hanno gli auspici. Se al contrario
vinto dalla pietà non dice il vero,
fa ingiustizia agli dèi.
Tiresia a Creonte in Euripide, Le Fenicie (trad. di C. Diano).

Vedo disastri. Vedo catastrofi. Peggio: vedo avvocati!
Cassandra (Danielle Ferland) nella Dea dell’amore (Mighty Aphrodite, 1995) di Woody Allen.



Alla fine d'agosto, come capita a ciascuno di noi, la morte raggiunse Charles Foster Kane e mi si smagnetizzò il Bancomat. Telefonai alla mia banca italiana per chiedere, dato che vivo in un altro paese dell'UE, di spedirmi una nuova carta per posta. La richiesta parve esosa al bancario, particolarmente irritato: era chiaro che l'avevo smagnetizzata apposta, la carta. Alla fine desistetti, e mi limitai a comunicargli i miei dati.
O almeno ci provai. Un'impresa disperata, vista la furia del bancario.
E poi ormai ci ho fatto il callo: ho un nome difficile da capire (per non parlare del cognome).
— Mi chiamo Altiero…
— …
— … Vuole… che le faccia lo spelling…?
(tono piccato) No, guardi che ce la faccio benissimo da solo, signor Alfiero!
— … con la "t", veramente…
(seccatissimo) Alfieto!

Fleshbech.
Un mese prima.
Ho un amico con il quale non ho nulla in comune. È solo che si chiama Gualtiero, e allora ci siamo detti che la quasi omonimia bastava, se non per sigillare l'inizio di una grande amicizia (anni fa scrisse: "Come si fa sulla Terra a pronunciare la battuta 'Ricordo tutto di Parigi, i tedeschi erano in grigio, tu eri in blu'? Come si fa in un solo film ad avere due personaggi che si chiamano Ferrari e Renault? A Casablanca si può"), almeno per passare qualche giorno in vacanza assieme in una villa in campagna, dove ero ospite. (No, la casa non appartiene a Jack Nicholson.) Lo invitai. Commise l'errore di accettare.
In vacanza io mi sveglio nevroticamente tardi. Gualtiero si sveglia nevroticamente presto, sempre, non solo in vacanza. Si sveglia all'alba, per vederla, ma poi guarda sempre a ovest. Così, all'ora in cui le piante puzzano di rugiada, incontra un giardiniere che è solito bazzicare da quelle parti. E che gli chiede, insospettito dalla presenza di uno sconosciuto che volge le spalle al sole che sorge: "Mi scusi, ma dov'è finito il signor Gualtiero"?
Gualtiero, la fronte imperlata di sudore freddo, mi racconta tutto al mio primo caffè, verso le undici e mezza. Dice che non ha osato, che non ha avuto il coraggio, che le labbra gli tremavano mentre si tratteneva dal dire: 'Veramente… il signor Gualtiero… sarei io'.
Dice di aver pensato ad Alain Delon, in quel film di Joseph Losey: "Forse è meglio così, meglio tacere. Pensa, bastava che lui, la prima volta che glielo chiedono, avesse risposto: 'No, vi sbagliate, non sono il Monsieur Klein che cercate, mi avete confuso con un altro', e si sarebbe salvato".



Sempre così, in vacanza, d'estate: o si parla di calciomercato o si legge un'intervista a Rupert Everett sul supplemento di un qualsiasi quotidiano (è chiaro che Everett ha venduto una ventina d'interviste, tutte uguali, tutte insieme, a vari supplementi italiani: ne smaltiscono una all'anno, più o meno alla fine di luglio). Oppure si parla di universi paralleli, di casi nella vita, di destini incrociati. Io da anni vedo film senza guardarli e dimenticandoli immediatamente; Gualtiero non va al cinema dal 1996, ma si ricorda tutti i film che ha visto prima di quella data. O comunque si ricorda i film memorabili. Ci sono dei registi, magari non sono geniali "en el sentido nocturno y más alemán de esta mala palabra", come disse un tale a proposito di Quarto potere, ma sono dei registi intelligenti. Sono quelli che quando fanno un film lo girano in modo tale che esso produca memoria. Forse perché la loro vita o la loro opera o ambedue hanno proprio a che fare con la memoria, in qualche modo. Non lo so. E comunque non è questo il punto. Il punto è che subito dopo aver ricordato Mr. Klein, Gualtiero aggiunge un altro esempio: "… o come l'inquilino del terzo piano. Pensaci, bastava che in quella scena avesse detto al tabaccaio: 'No, grazie mille, ma io fumo solo Gauloises' e il film finiva lì".
In questo tipo di storie, la figura prediletta è quella della metafora spaziale: bivi, incroci, ecc. Un tale, sempre lui, ci ha scritto pure un racconto in cui si immaginava un parco tutto così, fatto solo di biforcazioni, non ricordo come si chiamasse, la prossima volta che vedo il giardiniere glielo chiedo, magari lui lo sa.



A dire il vero, io una domanda ce l'avrei, Mr. Polanski. Giuro che non ha nulla a che fare con la sua predilezione per le fanciulle in fiore. Pensando piuttosto alla sua opera, che spesso, retrospettivamente, è sembrata a molti una strana e amara profezia della sua stessa vita: se quest'impressione ha qualche oscura fondatezza, come mai, il 27 settembre scorso, invece di fumarsi una Marlboro, si è imbarcato per Zurigo?

Track 1
Track 2
Track 3
Track 4
Track 5

(Poi, certo, c'è sempre un piano alternativo, un piano come quello descritto dall'amico di quel tale che si perdeva sempre nei giardini, come si chiamava, di già? Mah. Bonus track.)

lunedì 5 ottobre 2009

L'ultimo gioco in città

XXVIII — LAST SHOTS

Due bullets in the head a chi riconosce il titolo del film da cui è tratta questa sequenza. Giovedì e sabato, forse, nuovi indizi.
AGGIORNAMENTO (giovedì 8 ottobre): Direi che nei commenti a questo post ci sono indizi a sufficienza. Niente filmato aggiuntivo, lo riservo per sabato.

P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui.


ATTENZIONE: la partita si è conclusa giovedì 8 ottobre alle 13.10. bianca si aggiudica due bullets in the head.
La sequenza del quiz mostrava le ultime immagini di Voglio la testa di Garcia (Bring Me the Head of Alfredo Garcia, 1974) di Sam Peckinpah.
La prossima sfida si terrà lunedì 12 ottobre.


L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 15 bullets in the head.
afasol: 14 bullets in the head.
bianca: 9 bullets in the head.
maxeramax: 3 bullets in the head.
YagaBaba: 3 bullets in the head.
gegio: 3 bullets in the head.
Andrea: 2
bullets in the head.

venerdì 2 ottobre 2009

Waltz with Quentin


Oh, se ho capito bene il film esce oggi: a me l'ultimo Tarantino è piaciuto un frego, a parte la francesina, cozzissima. Un bel remake di To Be or Not to Be, con l'inizio di Lubitsch rivoltato come un calzino nel finale ucronico. Film tutto di testa, iperteatrale, divertentissimo e asfittico. Tutto parlato, consiste in una serie di interrogatorii giustapposti, paratattici: un kammerspiel al vavavuma, seguito ideale di A prova di morte. Quando ti becchi una visione del cinema così, puoi anche fare a meno di una visione del mondo, io diche.