sabato 7 dicembre 2019

Ad Astra (James Gray, 2019)

Mi si è fatto notare che quando in un post su facebook facevo una battuta su James Gray che mi ruba l'idea del "noi siamo soli", è lo stesso regista a rivelare che l'idea era di Clarke: "There’s a quote by Arthur C. Clarke where he said either we’re not alone in the universe or we are and both notions are equally terrifying. So all of this went into the movie and the action beats really were an attempt only to illuminate and expand upon these ideas". Dando per scontato che il mio era fin dall'inizio uno scherzo, appena ho letto la citazione essa mi è suonata familiare: il fatto che l'abbia espressa in termini praticamente identici non lascia dubbi, l'avevo digerita a tal punto da essere convinto che fosse un'idea mia. Costruire un film su una simile idea è praticamente impossibile, mi si fa anche giustamente osservare: non puoi provare scientificamente l'inesistenza di qualcosa (e in Ad Astra infatti non succede esattamente questo: il film si limita a suggerirlo). Verissimo: ma proprio per questo è efficace. Se riesci a far funzionare sullo schermo (o sulla pagina) un'idea che nella realtà e nella logica non funziona, hai svoltato. Provocatoriamente: hai svoltato ancor più che se fai una storia in cui "noi non siamo soli".
Partendo proprio dall'idea di Clarke, si potrebbe dire che il punto del film non è comunque quello. Il problema di Gray forse è che il punto non è mai "questo" o "quello", senza che l'assenza di punto ti coinvolga veramente, oppure il punto c'è ma si riduce al "grosso tema" (la famiglia, padre-figlio, fratelli, ecc.), su cui Gray non riesce mai fino in fondo a dire qualcosa di essenziale o indispensabile, sembra ricamarci sopra più o meno bene (per esempio in We Own the Night meglio che in The Yards, in The Yards meglio che in Little Odessa, una messa a fuoco durata 15 anni, non sgradevole ma un po' sfiancante, dello stesso film), come se forse anche quello, in fondo, non fosse "il punto". Anche le citazioni più disparate non riescono a trovare una loro coerenza interna, si passa da Mad Max a 2001 e poi li si abbandona, la voce over di Brad Pitt è un po' Malick, un po' Blade Runner, un po' Apocalypse Now e incomprensibilmente un po' pura didascalia (Brad Pitt si prepara mettiamo un piatto di maccheroni burro e parmigiano e poi si sente la voce di Brad Pitt che con un tono californian-metafisico dice "Mi sto preparando un piatto di maccheroni burro e parmigiano"). Tra tutti, quello di Apocalypse Now è il riferimento più pesante, a volte il film assume le sembianze del pacchiano remake, simile a (ma non complice di, che lo renderebbe molto più simpatico) onestissime mezze ciofeche b-movie tipo Enemy Mine di Petersen che trasferiva nello spazio Duello nel Pacifico di John Boorman con un alieno di latex al posto di Toshiro Mifune. Segno che la fantascienza è più uno spazio (spesso degradato e finto) che un genere, un po' come il western, di cui certa fantascienza è un chiaro tentativo di farne rivivere i fasti, vedi appunto la parte alla Mad Max con la sparatoria sulla Luna con i pirati ecc. ecc., ma anche queste son tutte cose che sappiamo da sempre e alle quali Gray non solo aggiunge poco ma anzi sembra non volerci neppure provare, al massimo forse strizzare un pigro occhietto allo spettatore, come se volesse dirci che appunto son cose a noi tutte note da sempre e comunque "il punto non è quello", ma quale sia non si sa.
L'altro elemento che forse giustifica il prono appiattirsi su Apocalypse Now potrebbe essere quello di stabilire una giunzione con Lost City of Z, anche lì in cerca di un'autogiustificazione un po' raffazzonata della coerenza di un'opera "personale", laddove The Lost City of Z era un calco ancora più superfluo di Aguirre, film che a sua volta era il principale punto di riferimento di Coppola.