lunedì 29 settembre 2008

Orson Welles — Un fogliettone

VIII
1962-1985: IL FAVORITO DELLA LUNA

Forse il nome di un uomo non conta poi così tanto.
Orson Welles in F per Falso — Verità e menzogna (Orson Welles, 1974).


Il processo (Le Procès, 1962), girato a Zagabria, Monaco, Roma e Parigi, prosegue portandola all’estremo la poetica frammentaria e angosciosa di Otello. È un incubo burocratico-legale dove gli spazi chiusi si avvicendano come scatole cinesi, senza che si capisca quando finisca uno e cominci l’altro: Josef K. esce dalla sala del tribunale varcando una porta la cui maniglia è a tre metri dal suolo, come nella biblioteca borgesiana attraversa corridoi di archivi che sboccano su altri corridoi all’infinito (nella realtà sono gli uffici in disuso della Gare d’Orsay), è inseguito da un manipolo di bambine urlanti, finisce in una gabbia di legno, ascolta il sermone di un prete in una cattedrale barocca, e quando esce si ritrova all’EUR. Un universo solo in apparenza eterogeneo, dove la varietà degli interni configura uno spazio-tempo la cui coerenza opprimente ricorda i campi di concentramento. Nella sua personale lettura, Welles trasforma Kafka in profeta di Auschwitz, rendendo sgradevole persino il protagonista (Anthony Perkins), assediato da un manipolo di personaggi grotteschi interpretati da attori venuti da tutto il mondo, da Romy Schneider a Madeleine Robinson, da Akim Tamiroff a Elsa Martinelli, da Arnoldo Foà a Jeanne Moreau (quest’ultima sarà interprete anche dei film seguenti di Welles e di alcuni progetti abortiti).



Girato tra il 1964 e il 1965, Falstaff (Campanadas a medianoche) è l’ultimo film della trilogia shakespeariana, e forse il migliore. Come aveva già fatto due volte a teatro, il regista estrapola — dall’Enrico IV (Prima e Seconda parte), dal Riccardo III, da Le allegre comari di Windsor, dalle Chronicles of England di Raphael Holinshed, aggiungendo alcuni dialoghi scritti alla maniera di Shakespeare e difficilmente distinguibili da un non specialista — un film incentrato sul personaggio di Falstaff, interpretato dallo stesso Welles. Come L'orgoglio degli Amberson, anche Falstaff racconta la fine di un mondo: la Merry England, rappresentata da Falstaff e dalla sua allegra brigata di “favoriti della luna”, ossia di ladri. Ma a differenza della cadaverica pseudoaristocrazia americana, il mondo di Falstaff è chiaramente quello in cui Welles avrebbe amato vivere. Falstaff è un gradasso ubriacone, grasso e vigliacco, ma è l’ultimo esempio sia pur degenerato degli ideali cavallereschi, un dolceamaro Don Chisciotte che crede solo alla fedeltà in amicizia, l’unico valore che Welles abbia difeso con intransigenza in tutti i suoi film. Per la prima e l’ultima volta, il regista interpreta un personaggio positivo a tutto tondo (è il caso di dirlo, data la mole di Falstaff), “buono come il pane”, stando alle parole dello stesso Welles, e suo segreto autoritratto. E quando nel tumulto della battaglia — che il 18,5 mm rende ancor più simile ai dipinti di Paolo Uccello — Falstaff cerca solo un cantuccio dove nascondersi per scolarsi l’ennesima bottiglia (e Welles alle prese con produttori macellai preferiva scappare in un ristorante brasiliano), nasce il sospetto che con l’avvento dei tempi moderni, la viltà possa essere, a volte, l’ultima, patetica maschera del coraggio e della generosità.



Negli anni seguenti Welles tentò di realizzare un film tratto da due racconti di Karen Blixen. Riuscirà ad adattarne soltanto uno, prodotto dalla televisione francese: Storia immortale, (Une histoire immortelle, 1968), dove Welles è un ricco mercante di Macao, che prima di morire tenta di dar vita a una leggenda di marinai tramandata da secoli. Un delirio di onnipotenza assai simile a quello del regista, che esplora in modo sottile il rapporto tra realtà e falsificazione, tema presente in tutti i suoi film precedenti e che sarà al centro di F per Falso (F for Fake, 1973), strano esperimento di montaggio che mescola in modo inestricabile verità e menzogna. Welles era approdato a Hollywood grazie a un clamoroso falso radiofonico; la sua carriera cinematografica si concluderà con questo vero-finto documentario (a un'epoca in cui il mockumentary non era ancora alla moda): F per Falso alterna immagini d’archivio, un reportage dell’amico François Reichenbach sul falsario Elmyr De Hory, considerazioni sul misterioso magnate Howard Hughes e sulla finta autobiografia scritta da Clifford Irving, un’improbabile avventura erotico-artistica tra Picasso e Oja Kodar, numeri di magia, riflessioni di Welles sulla sua carriera e un appassionato monologo davanti alla Cattedrale di Chartres, esempio supremo di arte senza autore. Per un’ironia della sorte, tre anni prima un incendio aveva devastato la villa di Welles a Madrid, e le fiamme distrussero manoscritti, corrispondenza, documenti, negativi: un materiale unico e di prima mano, la cui scomparsa renderà arduo il lavoro dei biografi, a volte impossibilitati a distinguere tra realtà e leggenda. Così, non si può onestamente escludere che anche in queste righe si annidino inesattezze e mistificazioni.



Il 9 febbraio 1975 l’American Film Institute consegnò a Welles il prestigioso Life Achievement Award. Era la terza volta che il premio veniva attribuito. Era stato preceduto da James Cagney e da John Ford, l’amatissimo regista di Ombre rosse, il film che prima di iniziare le riprese di Quarto potere il giovane Welles aveva studiato decine di volte con Gregg Toland per imparare le regole di quello strano gioco chiamato cinema. Davanti a tutti i potenti di Hollywood riuniti per l’occasione, Welles mostrò due frammenti di The Other Side of the Wind e lanciò un appello ai produttori presenti in sala affinché lo aiutassero a terminare il progetto. Nessuno mise mano al portafogli.

La sera del 9 ottobre 1985, Welles partecipò a una delle ennesime trasmissioni televisive, The Merv Griffin Show: era in compagnia della sua biografa, Barbara Leaming. Ancora una volta, raccontò la storia della sua incredibile carriera, e ancora una volta si esibì in un numero d’illusionismo. L’indomani mattina, solo nella sua casa di Hollywood, stava stilando istruzioni di regia per alcune inquadrature che con l’amico Gary Graver contava di girare nel pomeriggio.
Nessuno sa quale fu l’ultima parola che pronunciò, ma come lo slittino “Rosebud”, il suo corpo venne bruciato, e le ceneri disperse in un’isolata fattoria spagnola, dove a 18 anni Welles aveva passato un’estate indimenticabile.

NOTE
Questo fogliettone deve praticamente tutto alla dettagliata "Cronologia" del volume di Peter Bogdanovich, This is Orson Welles, nuova ed. Da Capo Press, New York 1998.
Dopo aver accuratamente infilato questo fogliettone nell'archivio "Come vivere senza?", fra due settimane potrai leggere l'assai più sintetico Orson Welles for Dummies, che troverà un posticino già pronto nella cartella "se ne sentiva il bisogno".

domenica 28 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VIII — BLACKJACK SPLIT SCREEN

It seems to me I've heard that song before
It's from an old familiar score
I know it well, that melody

It's funny how a theme
Recalls a favorite dream
A dream that brought you so close to me

I know each word, because I've heard that song before
The lyrics said: "for evermore"
For evermore's a memory

Please have them play it again
And (Then) I'll remember just when
I heard that lovely song before
Parole della canzone I've Heard that Song before, scritte da Sammy Cahn nel 1942.

Stavolta è un file audio. Musica di commento, originale. Si trova in un film. E viene ripresa (sempre come musica di commento) in un altro film. Due punti, uno per ciascun film riconosciuto. Quindi stavolta si può vincere anche un solo punto. Il film originale dovrebbe essere abbastanza facile da riconoscere. Il secondo, forse, un po' meno (ma conoscendo il primo, google può aiutare, ne sono certo).
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Martellone e possono essere consultate qui. E che te lo dico a fare che il gioco si svolge anche al cimitero?

SENTI E GIOCA

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA VENERDÌ 3 OTTOBRE ALLE 00.22.
LA VINCITRICE È LA GODARDIANA DESAPARECIDA. LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 5 OTTOBRE. IL VINCITORE OTTERRÀ TRE FIORINI; MA SE MERCOLEDÌ NESSUNO AVRÀ TROVATO, LA SEQUENZA SARÀ ALLUNGATA DI QUALCHE SECONDO E IL PREMIO RIDOTTO A DUE FIORINI PER ALGERNON. NELL'ATTESA FREMENTE DELLE FRAMES, SALI SULL'ALFA, ROMEO: GODITI IL MARE DI CAPRI E IL DESERTO DEL NEVADA: PARE CHE IN QUEI DUE MINUTI PESCI E DE NIRO RIESCANO A INFILARE 21 VOLTE LA PAROLA "FUCK".





L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 5 dobloni.
andrea: 2 dobloni.
bianca: 2 dobloni
.
desaparecida: 2 dobloni.
adlimina: 1 doblone.

sabato 27 settembre 2008

Raindrops keep fallin' from my eyes

PAUL NEWMAN, 26/01/1925 — 27/09/2008


Dacci un Taglio

Disney ha capito che la rappresentazione della realtà consiste nel far subire all’apparenza deformazioni spaventose. È esilarante vedere con quale cura l’impresa Disney ricostituisce iperrealisticamente forma e movimento di una goccia d’acqua, in una storia il cui eroe è un topo in mutande che possiede un cane. Che lo scopo di Disney sia sempre stato traumatizzare i marmocchi per far loro accettare la realtà non ha importanza. La realtà, ad ogni modo, i marmocchi la conoscono: essa li schiaccia. Ma diventare un topo che possiede un cane e gira in mutande, ecco quel che Disney ci proponeva come valido obiettivo, e che ora vogliamo realizzare, e che nessun film miserabilista ci farà più dimenticare.
Jean-Patrick Manchette a proposito di Buon compleanno Topolino (1978), “Charlie hebdo”, n° 460, 6 settembre 1979 (ora in Les Yeux de la momie, Rivages / Ecrits noirs, Paris 1997, p. 62).

venerdì 26 settembre 2008

Dacci un Taglio

Questo è ciò che indicavamo come caratteristico della nostra epoca: non già che l’uomo volgare creda d’essere eccellente e non volgare, ma che egli stesso proclami e imponga il diritto della volgarità, o la volgarità come un diritto.
José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse (1930).

giovedì 25 settembre 2008

Paradisi

— Quando torni dalla morte ti risvegli, e non sei nel Paradiso com’è per i cattolici, capito? Per i Testimoni di Geova te risei proprio su questa Terra qui.
— Il solito posto.
— È uguale. Cioè praticamente noi ritorniamo e siamo a Santa Maria del Giudice, uguale, però meglio: senza cacciatori, senza Fernando dell’alimentari… senza la mamma di Fernando dell’alimentari… senza la moglie di Fernando dell’alimentari…
Un uomo e una donna a Santa Maria del Giudice (Lucca) nel cortometraggio incompiuto In paradiso non c'è Fernando (sul sito — chiuso — www.santamariavideo.tv).




lunedì 22 settembre 2008

"Cinespia!" svela il segreto del centrosinistra! Scoop hush-hush!

Senepà mafòt.
Scioderlò Delaclò, Alleanze pericolose (trad. it. di Guido Scortichini),
Ed. Vallasapé, Pizzighettone 2008.


Cari lettori, se cercate le bufale, comprate i giornali o fatevi una mozzarella. Se volete la verità, una parola, una sola parola: "Cinespia!".
Oggi, per voi, finalmente, la risposta che aspettavate da dodici anni. Molti, disincantati, forse non la aspettavano nemmeno più. Ma ci sono rivelazioni che restano scottanti anche precotte.
Perché, avendo governato per ben sette anni, il centrosinistra non è stato in grado di affrontare il nodo del conflitto d'interessi? Nessuno ce lo ha mai spiegato. "Cinespia!" ha voluto saperlo, una volta per tutte.
L'inviato speciale Arkulari Bogenschuetze, che non abbiamo certo bisogno di presentarvi, ha passato gli ultimi mesi a studiare a memoria la parte. Ha imparato mosse e mossette di sinistra, tic e tac di centro, smorfiette e faccine socialdemocratiche. Ha persino cercato l'ispirazione dormendo sotto un ulivo, ma ha trovato solo la lapide di un governo all'ombra dei cipressi e dentro l'urne, con la scritta: "ZOMBIE — Torno subito".
Poi, travestito da principessa spaziale, neo-Günter Wallraff, è riuscito a inserirsi in esclusivi circoletti chic e shock. Non guardando in faccia nessuno, dopo tre mesi ha scoperto chi, nei salotti dell'impotenza, è stato la vera mente occulta del centrosinistra fin dal lontano '96. Prodi? D'Alema? Marini? Bertinotti? Veltroni? Macché, quelli sono solo pupazzi. Il vero marionettista è un altro. Lo riconoscerete subito, anche se nasconde il volto dietro gli occhiali scuri.
Bogenschuetze lo ha attirato in un tunnel oscuro, adescandolo con la promessa del trito pompelmo e dell'annoso panino. Il triste figuro è caduto subito nella trappola. Bogenschuetze allora gli ha chiesto: "Scusa, potresti dirmi perché non avete mai fatto una legge sul conflitto d'interessi, cortesemente? Perché mi hai tradito?". E gli ha puntato il mitra alla testa.


domenica 21 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VII — THERE WILL BE BLOOD

Oggi la soluzione sarà ricompensata con due noccioline. Se non avrai trovato, mercoledì aggiungerò uno o due indizi. Ma da quel momento avrai solo una nocciolina e mezzo, e resterai con una fame da lupi.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio e possono essere consultate qui.



ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA LUNEDÌ 22 SETTEMBRE ALLE 17.01.
IL VINCITORE È IL CASSIUS CLAY DELL'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ, IL PESO MASSIMO ARCOMANNO. LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA VENTOTTO SETTEMBRE E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI OTTENERE DUE DOBLONI (O A DUE VINCITORI DISTINTI DI OTTENERE UN DOBLONE CIASCUNO); STAVOLTA BISOGNERÀ APRIRE BENE LE ORECCHIE, QUINDI FATTI VISITARE DAL TUO OTORINO. NELLA TREMEBONDA ATTESA, GODITI QUESTA BELLA SEQUENZA DI EROTISMO IN DECOMPOSIZIONE.



L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 5 noccioline.
andrea: 2 noccioline.
bianca: 2
noccioline.
adlimina: 1 nocciolina.

giovedì 18 settembre 2008

Il cerchio e la retta: quando il cinema incontra la Storia.

Tutto quel che inizia come commedia finisce in film dell’orrore.
Roberto Bolaño, I detective selvaggi (trad. di Maria Nicola, Sellerio Editore, Palermo 2003, p. 680).

Il filo spinato e le donne sono i principali fattori di civiltà.
John L. Bridges (Jeff Bridges) ne I cancelli del cielo (Michael Cimino, 1980).

1. Round and round (and along History railroad)



2. Nathan D. Champion meets the masses



3. Heaven's Gate waltz



4. Rally round the flag




AVVERTENZA: Mo' però già ti vedo che cerchi di procurarti questo capolavoro in tutti i modi, anche illegali. Furbetto del cinemino avvertito, mezzo salvato: se ti ritrovi tra le mani una copia di due ore e mezza e non ti piace, non venire a piangere da me. Quella è la versione massacrata dalla United Artists (fece fallimento in seguito a questo film, la cui scena più costosa è la terza che hai visto). Io me ne son sempre tenuto alla larga. Qualche anno dopo, iniziò a circolare una copia di tre ore e quaranta, il più conforme possibile alla volontà di Cimino (un amico mi disse un giorno che in realtà il vero director's cut durerebbe sei ore, ma non ho mai verificato quanto di vero ci fosse in quest'affermazione). È da quella che ho estratto i filmati. Non so se esista un dvd zona 2. Il mio infatti è zona 1.

lunedì 15 settembre 2008

Orson Welles — Un fogliettone

VII
1955-1958: CONTRO TUTTI

Nel 1955 Welles iniziò a lavorare su un adattamento di Don Chisciotte, ambientato nel presente. Cercherà di portare avanti il progetto per oltre quindici anni, girando il mondo con la sua macchina da presa e impressionando pellicola ogni volta che le circostanze — tempo, denaro, attori — lo permettevano. Non riuscì mai a terminarlo: il film, che ironicamente Welles ribattezzò When are you going to finish Don Quixote? (“Quando finirete il Don Chisciotte?”) rimarrà incompiuto, e il materiale raccolto, variamente montato da altri, circolerà qua e là nei festival. È in assoluto il suo più celebre progetto irrealizzato, la cui lista immensa comprende il thriller The Deep (da un romanzo di Charles Williams che verrà portato sullo schermo da Philip Noyce, Ore 10: calma piatta, 1989), l’adattamento del racconto di Karen Blixen The Dreamers e The Other Side of the Wind, satira del mondo hollywoodiano con John Huston (nella foto) nei panni di un anziano regista, che Welles continuerà a girare e montare fino alla morte, aiutato dalla compagna Oja Kodar e dai registi Gary Graver e Peter Bogdanovich.

Alla fine dell'anno, Welles tornò negli Stati Uniti per allestire il Re Lear, annunciato in pompa magna dal sindaco di New York in persona. La settimana prima del debutto, si ruppe una gamba. La sera della prima, zoppicante, si ruppe l’altra. Ma rispettò l’impegno e le rappresentazioni proseguirono, con Welles-Lear su un trono a rotelle. Quindi riallacciò i rapporti con Hollywood, recitando in film minori dove dondolava, gigione olimpico, la sua sempre crescente corpulenza, dicendo le battute a tutta velocità per poter tornare al più presto ai suoi molteplici progetti.
Il 26 dicembre 1956, la Universal contattò l’attore Charlton Heston per chiedergli di recitare con Welles nell’adattamento di un giallo di Whit Masterson, Badge of Evil. Heston rispose che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di lavorare sotto la direzione del regista di Quarto potere. In realtà i produttori pensavano a Welles solo in quanto attore, ma era troppo tardi per chiarire il malinteso: Heston aveva appena interpretato Mosé nei Dieci comandamenti, ed era meglio non contraddire un uomo in grado di separare le acque del Mar Rosso. Convinto di essere agli inizi di una nuova carriera, Welles riscrisse in cinque giorni la sceneggiatura di Paul Monash, e in poco più di un mese terminò le riprese del film. Dopo due mesi di moviola, L'infernale Quinlan (Touch of Evil) era pronto. I produttori si aspettavano un normale poliziesco di serie B, e non erano preparati alla stralunata violenza visiva del film. Nominarono un nuovo montatore, vietando a Welles l’accesso alla moviola, fecero girare da Harry Keller scene aggiuntive fuori tono, imposero i titoli di testa sulla scena iniziale, passata alla storia come uno dei più straordinari piani sequenza mai realizzati. Il film uscì tagliato di una ventina di minuti; nel 1976 fu ripresentato in una versione più lunga, che nella sostanza si limitava ad aggiungere brutte inquadrature non girate da Welles. Fortunatamente il regista aveva scritto un disperato “memo” dove il suo montaggio era scrupolosamente dettagliato. Sulla base di tale documento, il montatore Walter Murch e il critico Jonathan Rosenbaum procedettero nel 1998 a una nuova edizione del film.



Collaboratore del Ministero della Giustizia messicana, Mike Vargas (Charlton Heston) è in viaggio di nozze con la moglie Susie (Janet Leigh) quando improvvisamente, a Los Robles, cittadina di frontiera con gli Stati Uniti, l’automobile del potente Linnekar esplode davanti ai suoi occhi. Vargas si trova così coinvolto nelle indagini, dirette dall’ispettore Hank Quinlan.(Orson Welles). Stimato da tutta la comunità, Quinlan ritiene che l’efficacia dei risultati vada ottenuta a scapito del rispetto della legge. Con metodi poco ortodossi, Quinlan arresta il giovane Sanchez, membro di una gang locale diretta da “Zio” Grandi (Akim Tamiroff), per l’omicidio di Linnekar. Fermamente convinto della supremazia del diritto, Vargas inizia a dubitare dell’integrità dell’ispettore, e sfugge per un pelo a un attentato. Quando la sua reputazione viene macchiata dal sospetto, Quinlan perde le staffe, e dopo aver fatto violentare e drogare la moglie di Vargas, in un raptus strangola Grandi e arresta Susan per l’omicidio. Vargas riuscirà a smascherare l’ispettore, ma affinché la legge trionfi dovrà scendere a patti con la propria morale. E, Quinlan morto, si scoprirà che il colpevole dell’omicidio di Linnekar era proprio Sanchez.



Nell'Infernale Quinlan Welles offre una delle sue più riuscite prove d’attore: trasudante grasso da tutti i pori, Quinlan è un ispettore psicopatico, razzista, brutale, corrotto e omicida, che regna indisturbato su una cittadina di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti. Un essere diabolico, che in nome della giustizia è pronto a fabbricare prove per incastrare i colpevoli, da lui riconosciuti grazie a un intuito tanto infallibile quanto moralmente osceno. Convinto che lo stato di diritto debba sempre prevalere sull’arbitrio, il regista Welles non ha tentennamenti nel tratteggiare la figura di un mostro; ma come attore, è tenuto a farsi l’avvocato di Quinlan, che un tempo era stato un poliziotto esemplare, onesto e coraggioso. Una contraddizione che fa dell'Infernale Quinlan un’insuperabile riflessione cinematografica sul Bene e il Male, con un ritmo incalzante ottenuto grazie a un alternarsi di lunghi piani sequenza e brevissime inquadrature, lampi di immagini violente e contrastatissime dovute al fotografo Russell Metty. Accompagnato dal rock latino di Henry Mancini, Quinlan attraversa il film come un bolide impazzito, facendo tremare con la sua mole gigantesca bodegas che spacciano droga e tequila, commissariati da dittatura sudamericana, squallide stanze d’albergo, vicoli oscuri e strade immerse nel sole abbacinante del deserto, succhiando caramelle e vomitando fiele, livore e odio contro tutti (è il titolo italiano del romanzo di Masterson). Finirà abbattuto dal suo migliore amico e collega in una lurida pozzanghera, mentre non lontano risuona la pianola meccanica della chiromante zingara la cui maschera di cera nasconde un’irriconoscibile Marlene Dietrich, con la sigaretta perennemente pencolante dalle labbra sporche di rossetto. E guardando Quinlan riverso nel fango — ossia l’amico Welles, che vent’anni prima si divertiva, da esperto illusionista, a segarla in due per il divertimento dei G.I. —, sarà proprio la Dietrich a chiudere il film, con una formula definitivamente ambigua: “He was some kind of a man”. L'infernale Quinlan non è un film poliziesco; è un’allucinazione morale.



(CONTINUA...)

domenica 14 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VI — GLI OCCHI DEL TEMPO

Apri gli occhi, Maxie, e dormi.
Il giornalista sportivo Mike Hagen (Gregory Peck) a Maxie Stultz (Mickey Shaughnessy), pugile suonatissimo e sua guardia del corpo ne La donna del destino (Vincente Minnelli, 1957).


Oggi la soluzione sarà ricompensata con tre ventini. Se nessuno avrà trovato, mercoledì aggiungerò un secondo indizio. Ma da quel momento otterrai solo due ventini: e stavolta non scherzo.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l’avv. GODini e possono essere consultate qui. E vabbé, mo' ce lo sai che il gioco si svolge anche altrove (vacci, di tanto in tanto: chissà che quel che vai disperatamente cercando qui, non finisci per trovarlo lì).

AGGIORNAMENTO (Mercoledì 17 settembre): Kim e Jimmy ti suggeriscono un vertiginoso indizio. Ma hanno chiesto di essere pagati con un ventino. Se ora trovi la soluzione, ne restano solo due. Se continui a non trovare, forse venerdì allungherò la durata del filmato da riconoscere. E mi riprenderò un altro ventino.
NOTA BENE: Non venirmi a dire che la soluzione è Vertigo, però, eh? Altrimenti non lo avrei messo nelle etichette, e la posta sarebbe un quarto di ventino.

AGGIORNAMENTO (Venerdì 19 settembre): il filmato da riconoscere è stato allungato di qualche secondo. Non andare alla sostanza, guarda la forma. Vinci un ventino.

AGGIORNAMENTO (Sabato 20 settembre): io non volevo. È Piazzolla che ha insistito. Questo nuovo indizio comporta anche un cambiamento nell'ordine di successione dei filmati: a rigor di logica. Ma il film da riconoscere resta il secondo.

ATTENZIONE: La partita si è conclusa senza vincitore (né vinti: la graduatoria rimane quindi immutata). È una brutta notizia? Ce n'è anche una buona.
Ricordo una proiezione dell'Aurora di Murnau, presentata da Claude Chabrol. Prima dell'inizio del film Chabrol disse più o meno queste parole: "Sono solito non parlare di cinema con chi non ha mai visto L'aurora. Quindi stasera potremo chiacchierare gradevolmente, dato che fra un'ora e mezza tutti voi avrete visto L'aurora". E ora anche tu avrai visto La
Jetée (Chris Marker, 1962) — cortometraggio di 28 mn, considerato da alcuni, tra cui William Gibson, il più gran film di fantascienza mai girato — in tre parti su youtube:

Prima parte
Seconda parte
Terza parte

Sì: come indicato nei titoli di testa, il film è un foto-romanzo. O no? Lo spezzone del quiz si trova all'ottavo minuto della seconda parte youtube del film. Se guardi attentamente, nella successione dei fotogrammi fissi qualcosa succede tra 8mn39s e 8m45s: lei apre gli occhi. Senza che la tua retina distingua la successione di fotogrammi. Something's moving. Un'emozione? Un evento? Non esageriamo: chiamamolo cinema (un po' nel senso in cui Carmelo Bene in Nostra Signora dei Turchi dice: "Al momento chiamiamola educazione").
Guardando il film hai capito il riferimento a Vertigo di Hitch, film-matrice di tutta l'opera di Marker, come lui stesso ha ripetuto fino all'abnegazione.
L'esercito delle 12 scimmie è il remake ufficiale della Jetée.
Un amico di Sacrofante Marche mi fa notare che le prime parole del film nominano Alitalia. È un caso, direi. Un ricordo, al massimo.

LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 21 SETTEMBRE E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI AGGIUDICARSI DUE NOCCIOLINE. SE NESSUNO TROVERÀ LA SOLUZIONE PRIMA, MERCOLEDÌ INSERIRÒ UNO O DUE INDIZI, MA ALLORA MI MANGERÒ MEZZA NOCCIOLINA, ULULANDO NEL MIO ALTO CASTELLO ULULÌ.





giovedì 11 settembre 2008

9 / 11

L’11 settembre 1962 Nicholas Ray crollò sul set dei 55 giorni a Pechino (il film venne terminato dall’ozioso Guy Green, e per le scene di battaglia dal subalterno Marton). Dopo essere andato a trovare Ray all’ospedale, Charlton Heston annota il 15 settembre nel suo diario: “He looks… not bad, really, but quelled, somehow”. La parola quelled è traducibile in modo imperfetto, perché indica al contempo l’annientamento e la calma che segue l’annientamento.
Jean-Patrick Manchette, Les Yeux de la momie, Rivages / Ecrits noirs, Paris 1997, p. 312.

mercoledì 10 settembre 2008

Dacci un Taglio

Lui le disse “Ti amo”, e poi aggiunse qualcosa di sbagliato.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).

lunedì 8 settembre 2008

Same old song (but with a different meanin')

TOP ONE: GUIDO CERONETTI

E io ancora vidi
Ogni violenza che si consuma
Sotto il sole

OOOOOOOOEd ecco
I pianti dei calpestati

E nessuno s'impietosiva

E la potente mano
Che li calpesta

E nessuno s'impietosiva

Pace ai morti io dico
Morti ormai sono

Ma ai vivi no
Resta vita

Ma più beato di loro
Chi mai sarà tra i nati

A lui la vista è tolta
Del male che è l'agire sotto il sole

TOP TWO: GIANFRANCO RAVASI

Io mi sono messo a considerare
tutte le violenze perpetrate sotto il sole:
ecco le lacrime delle vittime
da nessuno consolate;
da nessuno consolate
contro il forte potere dei violenti.

Io allora ho proclamato
i morti ormai trapassati
più beati dei vivi ancor in vita

e più beato di entrambi
chi non esiste ancora
e non ha ancora visto
tutto il male perpetrato sotto il sole.

TOP THREE: ANGELO PENNA, ENRICO GALBIATI, PIERO ROSSANO

Mi misi a considerare di nuovo tutte le angherie compiute sotto il sole. Ecco lacrime di oppressi, che non hanno chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la forza, mentre per quelli non c'è chi li consoli. Allora proclamai più felici i morti, ormai trapassati, dei vivi che sono ancora in vita. Ma meglio degli uni e degli altri si trova colui che ancora non esiste, il quale non ha visto l'attività malvagia che si svolge sotto il sole.

TOP FOUR: FOUR TOPS
(con un retrosapore di salerosa malagueña)


Bicchieri 2 (“Il divo”)

Andreotti — tutto cognome (anche sua Mamma — v. — lo chiamava: ♫ Andreotti). Capo storico della Democrazia Cristiana, con Fanfani (v.), ma di lui più pervicace (v. anche Almirante). Da non confondere con Andreotti, Giulio: immortale — Divino (v. Jicca). Cfr. Nixon, Pinochet, Suarto, et alii: che possano, e sia il silenzio, scomparire del tutto. E v., per il problema della reductio ad cognomen: Leoncini; Leoni.
Giuseppe A. Samonà, Quelle cose scomparse, parole (Dizionario), Ilisso, Nuoro 2004, p. 14.

Gli piacerebbe vedere un Alka-Seltzer, ecco cosa gli piacerebbe vedere adesso come adesso, un Alka-Seltzer che affonda sfrigolando in un bicchiere d’acqua fredda.
Don DeLillo, Underworld (traduzione di Delfina Vezzoli), Einaudi, Torino 1999, p. 386.

Avvicinati, Francesco: voglio rivelarti un segreto. Una cosa che non ho mai detto a nessuno.
Giulio Andreotti (Toni Servillo) a Francesco Cossiga ne Il divo (Paolo Sorrentino, 2008).

Best scene: lo schermo ridotto a guardiola, dentro il faccione di Riina: “potreiavereunbicchiered'acquaconlebollicinedentrocortesemente?”. In generale tutte le scene con la corrente andreottiana, vertigini di verosimiglianza fisiognomica (io non sono lombrosiano; ma il cinema sì, direi). L'idea spaventosa che in Italia ci siano corpi e volti che somigliano a Sbardella, che somigliano a Ciarrapico, che somigliano a Cirino Pomicino. E persino a Riina, e lì la mimesi mostra persino lo sforzo (lo sforzo! c'è qualcuno che è pronto persino a soffrire per somigliare a Riina!): per avere quel faccione da bamboccio invecchiato senza rughe, una maschera di cera ottenuta attraverso liquefazione, il sospetto di un volto chirurgicamente ricostituito dopo ustioni tremende, tipo “homme sans visage” letteralmente sciolto in seguito a esplosione di bomboletta spray.
The worst: le scene con Fanny Ardant, insopportabile virago. Non mi piaceva neppure nei due Truffe, figurarsi ora. Lei invece somiglia sempre più a se stessa, un'icona insensata e fastidiosa (cozza inconsapevole che si atteggia a fatalona, imbarazzo garantito, almeno per me). Forse pure Degli Esposti è tirata via (e pure con Scalfari qualcosa non funziona, mi sembra).

Shakespeare sì, ma Shakespeare modesto. Uno Shakespeare dell'Italia non può che essere modesto, come modesti sono i suoi dirigenti. Infatti la tirata geniale su bene e male, con Servillo che improvvisamente si mette a sputacchiare idrofobo, è tirata modesta, è tirata per i capelli, tirata che si avvita su se stessa, saliva sprecata di un gobbetto che vorrebbe esser Richard ed è invece solo cosa nostra(na; e anche strana, e anche straniante): un ennesimo alibi, insomma.
E poi le passeggiate per Roma, certo: 4 passettini fra le nuvole.
Riina che si alza davanti ad Andreotti: quelle macchioline di piscio sulla patta dei calzoni. Odor di santità (che era proprio odor di piscio, appunto).
Nella scena dei suicidi, avrei ricordato il biglietto lasciato da Gardini (o è una leggenda metropolitana?). Una parola sola: “Grazie”.


domenica 7 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

V — TUTTE UGUALI?

Dato che mi piace l’etimologia, vorrei ricordare — è un fatto poco noto — che in inglese abbiamo black, che significa nero, e in spagnolo blanco — bianco. Così come blanc in francese, branco in portoghese, bianco in italiano. E tutte queste parole hanno la medesima radice, perché credo che la parola originale, sassone, abbia dato origine a due parole inglesi: black (nero) e bleak (che ha perso il suo colore). Si dice per esempio in a bleak mood, quando uno si sente non scolorito ma disamorato, malinconico. Se le parole black e blanco sono legate, è perché in origine black non significava nero, bensì assenza di colore. Così, nell’inglese, avvenne che l’assenza di colore portò la parola black verso il campo dell’ombra, del nero. Mentre, nelle lingue romanze, la stessa parola è stata proiettata verso la luce, verso il chiarore, generando i termini italiani, francesi, portoghesi. È strano: questa parola si ramifica e assume due significati contrari. Siamo soliti opporre il bianco al nero eppure la loro radice significa “senza colore”.
Jorge Luis Borges intervistato da Osvaldo Ferrari, En diálogo / I (Edición definitiva), Siglo XXI, Mexico D.F. 2005, p. 51.

Come riflesso dallo specchio delle tue brame, riparte L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™. Oggi la soluzione sarà ricompensata con due corone d’oro. Poi, mercoledì, se nessuno avrà trovato, aggiungerò un secondo indizio (il primo si nasconde nel sottotitolo del post). [Ci siamo: è il pistolotto borgesiano.] Solo che da quel momento otterrai solo una corona e mezza. Con mezza corona puoi sempre farci un diadema, se la cosa ti consola. [Aggiornamento: dato che grazie alla splendida festa del Cern questo gioco potrebbe davvero essere l'ultimo, ho deciso di lasciare immutato il valore della posta in gioco]
WARNING: se tua moglie e/o tuo marito sono nei paraggi, è meglio che ascolti il sonoro con le cuffie. Altrimenti scoprono che fai le zozzerie in rete e allora “Vedo disastri. Vedo catastrofi. Peggio: vedo avvocati!” come diceva Cassandra ne La dea dell’amore.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l’avv. Siracusa e possono essere consultate qui. E dimenticati che il gioco si svolge anche altrove.



ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA MERCOLEDÌ 10 SETTEMBRE ALLE 17.26.
LA VINCITRICE È LA FANTOMATICA BIANCA, CHE AGGIUDICANDOSI DUE CORONE SI RITROVA SUBITO SECONDA, ASSIEME AD ANDREA. LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA QUATTORDICI SETTEMBRE E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI AGGIUDICARSI TRE VENTINI D'ANNATA. SE NESSUNO TROVERÀ LA SOLUZIONE PRIMA, MERCOLEDÌ INSERIRÒ UN INDIZIO MA ALLORA MI RIPRENDERÒ UN VENTINO: STAVOLTA SARÒ INFLESSIBILE, COME LA FRECCIA DEL TEMPO.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 3 corone.
andrea: 2 corone.
bianca: 2 corone.
adlimina: 1 corona.

sabato 6 settembre 2008

Wow, baby! Wow.

Domani riprende L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™! Ho detto: domani riprende L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ©.
Due corone, baby! Non una: due!
Wow, baby!


Ho detto: wow.

giovedì 4 settembre 2008

Entropie

BENIAMINO GIGLI


MARIO LANZA



GIUSEPPE PAVIGLIANITI


lunedì 1 settembre 2008

Orson Welles — Un fogliettone

VI
1947-1955: EVERYWHERE AND NOWHERE

Niente discorsi. Propongo un brindisi alla maniera georgiana. In Georgia i brindisi cominciano con un racconto. Ho sognato un cimitero dove gli epitaffi erano bizzarri: 1822-1826, 1930-1934... Si muore ben giovani qui, dico a qualcuno; il tempo è molto breve fra la nascita e la morte. Non più che altrove, mi si risponde, ma qui, come anni di vita, contano solo gli anni che è durata un’amicizia.
Beviamo all’amicizia!
Gregory Arkadin (Orson Welles) in Rapporto confidenziale (Orson Welles, 1954-1955).


Nel 1947 Welles riuscì a spillare una cifra irrisoria alla Republic Pictures, specializzata in B-movies, per realizzare un adattamento del Macbeth. Dopo una rappresentazione teatrale a Salt Lake City e poche settimane di ripetizioni, girò il film in 23 giorni. Il suo Macbeth destò sconcerto: i personaggi sono rivestiti di grezze pellicce e si muovono in una densa nebbia i cui vapori nascondono una scenografia di cartapesta, che più che a una reggia fa pensare a una caverna preistorica. Il testo shakespeariano si trasforma in dramma primordiale, cupo e brutale; Macbeth e la sua corte sembrano esseri pre-storici, armati di lance nodose come clave e soverchiati da forze ctonie.



Inseguito dal fisco, alla fine del 1948 Welles lasciò l’America, che comunque gli offriva sempre meno opportunità di lavoro. Lo stesso anno, iniziò a girare Otello (Othello, a.k.a. The Tragedy of Othello: The Moor of Venice; uscì nel 1952), in condizioni talmente avventurose da spingerlo trent'anni dopo a dedicarvi Filming “Othello” (1979), un documentario realizzato per la televisione tedesca. Le riprese durarono un anno e mezzo, negli studi Scalera per gli interni, in Marocco (Mogador, Safi, Mozagan) e in Italia (Venezia, Toscana, Roma, Viterbo, Perugia e Torcello) per gli esterni. L’attrice che interpretava Desdemona fu sostituita durante le riprese da Suzanne Cloutier, bisognò ricominciare daccapo, il lavoro veniva interrotto continuamente per mancanza di fondi, alcuni attori non erano più disponibili tra una fase di lavorazione e l’altra, si dovette ricorrere a controfigure per quasi tutti i controcampi: Otello usciva da un palazzo veneziano e si trovava in una piazza marocchina, parlando con Iago — in realtà una controfigura incappucciata —, i cui primi piani erano stati girati un anno prima a Viterbo. I costumi per l’assassinio di Rodrigo vennero a mancare, e la scena fu improvvisata in un bagno turco, ricoprendo gli attori con asciugamani. Con due anni di lavoro in sala di montaggio, Welles riuscì in modo geniale a sfruttare l’eterogeneità del materiale, conferendo al film un ritmo rapidissimo. La sua cifra visiva, date le circostanze, non poteva più affidarsi alla fluidità del piano sequenza, ma a bruschi tagli di montaggio e inquadrature espressive, spesso oblique e dal basso. I dialoghi shakespeariani sono pronunciati a tutta velocità da attori che passano all’interno della stessa frase da uno sfondo di bifore a una fortificazione araba, da una scogliera naturale a un salone regale. Più che un adattamento, l’Otello secondo Welles è un incubo evocato da Shakespeare, e del sogno possiede l’ubiquità e il segreto rigore degli eventi, la cui successione obbedisce meno alla logica che a un movimento inesorabile di volti, pietre, luci.



In Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin, 1954-1955), l’ubiquità diventerà metafora del Potere. La storia di Gregory Arkadin — ricco armatore di origini georgiane parzialmente ispirato alla figura dell’avventuriero Basil Zaharoff — era già stata scritta da Welles per una delle puntate radiofoniche di The Adventures of Harry Lime. Come Quarto potere, il film inizia dalla fine: un aereo senza pilota né passeggeri vola alla deriva. È il jet privato di Arkadin, che al pari di Kane è ovunque e in nessun luogo, tutti e nessuno. Simulando un’amnesia, il vecchio e potente Arkadin manipola un losco personaggio, Van Stratten, affinché investighi sul proprio passato e sulle origini delle ricchezze accumulate. Le indagini portano Van Stratten in Grecia, in Spagna, a Monaco, Parigi, Roma, per rintracciare i testimoni di un’oscura biografia. Ma appena posa piede a terra, Arkadin è già lì, ad aspettarlo. E i testimoni, interpretati da caratteristi straordinari (tra i quali non si può omettere il sublimemente grottesco Akim Tamiroff, che seguirà Welles nei suoi progetti futuri), finiscono uccisi uno dopo l’altro. Alla fine, Gregory Arkadin non riuscirà a trovar posto per l’ultimo volo: nel mondo moderno, dove una trasmissione radiofonica può far tremare milioni di persone e dove basta un viaggio in Brasile per passare dal potere assoluto alla miseria, non vi è più spazio per i giganti shakespeariani. Se prima si era pronti a dare un regno per un cavallo, tutta la fortuna di Arkadin non basterà a procurargli un biglietto aereo, così come la legislazione sui trasporti in tempo di guerra aveva paralizzato il giovane Welles a Rio De Janeiro. In Rapporto confidenziale, il regista doppiò moltissimi attori, e pare addirittura che le voci di alcuni personaggi femminili siano la sua. Anche in una colonna sonora, quindi, può nascondersi il potere dell’ubiquità.



È a partire da Rapporto confidenziale che Welles iniziò a usare sistematicamente il 18,5 mm, un obiettivo che accresce smisuratamente la profondità di campo deformando in modo grottesco la prospettiva: una stanza di dieci metri quadri è ampia quanto un’arena, i personaggi si avvicinano alla cinepresa con falcate che percorrono chilometri. E con il 18,5 mm, Welles tornò in America, per realizzarvi, grazie a una serie di circostanze fortunate, il suo più gran capolavoro dai tempi di Quarto potere: L’infernale Quinlan. (CONTINUA...)