sabato 20 agosto 2011

Friture

Tra le sue scartoffie ho trovato, scritta su un solo lato di un foglio di carta velina con strana cura (pochissime cancellature, grafia chiarissima ma leggera, forse per non bucare la carta — ma perché non aver usato una materia più resistente?), un'anamnesi.

Il primo sintomo comparve all'età di 9-10 anni e fu un caso isolato e, al momento, inesplicabile. Mi trovavo in classe — frequentavo la V elementare — e la maestra mi affidò la scolaresca durante una sua assenza. Si doveva risolvere un problema sulla piramide. Mi accorsi che un mio compagno tentava di farsi fare il disegno del solido dal vicino di banco (ricordo pure i nomi). Quando tornò la maestra, tentai di dire, di riferirle, la scorrettezza che si era verificata in sua assenza: mi alzai dal banco e presso la cattedra cominciai a gesticolare senza riuscire a pronunciare parola sensata: hum, hem e simili suoni tipici di chi «non trova le parole». Le parole infatti non le trovavo. Era più l'imbarazzo che il panico. Ma alla fine feci come i muti: mi portai "al banco degli imputati" e mostrai i colpevoli rifacendo la scena e, finalmente, ritrovando, faticosamente, le parole. Sembrava un fatto senza importanza. Un anno o due dopo — all'età di 11-12 anni — ebbi una convulsione nel sonno con conati di vomito. Il mio medico curante, anche se sospettò qualcosa, diagnosticò un'indigestione causata dal fritto pesce mangiato la sera precedente. È da quell'epoca che non mangio più pesce fritto.

Finisce così. Come se il vero scopo del testo non fosse quello di tracciare le origini di una malattia del paziente, ma il suo rapporto col pesce fritto.