giovedì 31 luglio 2008

Chiuso per ferie (di niente, di meno)

Saccà mi ha fatto una guerra spietata ma se fossi stato nei suoi panni avrei fatto esattamente allo stesso modo. È stato un vincente. E per questa ragione posso dire di averlo rivalutato alla grande.
Giovanni Minoli, direttore di RaiEducational in vacanza a Lipari, 28 luglio 2008.

Adolf Hitler? “Pazzo ma genio.” Soprattutto perché non mise mai le mani nelle tasche… dei tedeschi. “Ha alleggerito le tasse anche durante la guerra.” Certo, “è vero che poi faceva il saccheggio contro gli ebrei”, ma questo perché il suo ministro del tesoro “non sapeva dove trovare una lira”. La Shoah ridotta a questione di deficit/Pil? Tutto il contrario di quel “coglione” di Prodi, schiavo “dell’iper ideologia dell’estrema sinistra”, che non pensa altro che a tassare gli italiani. Molto si è detto e scritto su Agostino Saccà, non che fosse appassionato di storia.
Francesco Bei, Saccà e le tasse di Hitler: “Un pazzo ma geniale, non le alzò neanche in guerra”, “la Repubblica”, 30 luglio 2008, p. 12.

Se il nostro tempo fosse una frase, non avremmo la minima idea circa il suo eventuale significato, ma sapremmo senza incertezze dove mettere gli spazi fra le parole.
Stefano Bartezzaghi, Staccare, “la Repubblica”, 30 luglio 2008, p. 44.


Questo blog stacca. Riattaccherà a settembre. Guida piano, lavati i denti due volte al giorno, rivaluta alla grande i programmi estivi di RaiFiction e RaiEducational, e al cinema vacci tu.



lunedì 28 luglio 2008

Danse macabre

— Hai ragione, non ci riesco più. Pulisco, pulisco, e la casa è sempre sporca. Anche il lavandino è di nuovo intasato.
— Con te qualsiasi casa diventa una topaia! Avresti dovuto vedere mia madre! Come se la cavava, con l’acqua sul pianerottolo, con… senza aspirapolvere!
— Ma io non sono mica tua madre!
— E te ne vanti?!
Jeanne Poupart (Myriam Boyer) e suo marito Franck (Patrick Dewaere) ne Il fascino del delitto (Série noire, 1979) di Alain Corneau.


Solo nella piovosa banlieue, Patrick Dewaere sfodera un piccolo mangianastri come fosse una pistola, finge di essere Starsky o Hutch, poi preme il grilletto e spara Duke Ellington & his orchestra. Quindi mima tutti gli strumenti e balla da solo, anche se "no hay banda" in Série noire di Alain Corneau: forse il miglior incipit del cinema francese anni Settanta. Poi ad accompagnare Dewaere verranno Marie Trintignant (prima volta sullo schermo, ruolo quasi muto), Bernard Blier, e i dialoghi di Georges Perec: they’re all dead, now. Titolo italiano: Il fascino del delitto. Chapeau. Restano comunque imbattuti È simpatico, ma gli romperei il muso (per César et Rosalie, Claude Sautet 1972) e Non drammatizziamo… è solo questione di corna! (per Domicile Conjugal, Truffe 1970).


giovedì 24 luglio 2008

No por mucho madrugar amanece más temprano

"Cos'hai fatto in questi giorni? gli chiesi. Niente, disse, pensare, vedere dei film. Che film hai visto? Shining, disse lui. Che orrore di film, dissi, lo vidi anni fa e poi non riuscii a dormire. Anch'io lo vidi molti anni fa, disse Arturo, e passai una notte in bianco. È un film stupendo, dissi. È molto bello, disse lui. Rimanemmo in silenzio per un po', guardando il mare. Non c'era la luna e le luci della barca da pesca non si vedevano più. Ti ricordi del romanzo che scriveva Torrance? disse all'improvviso Arturo. Torrance chi? dissi io. Il cattivo del film, quello di Shining, Jack Nicholson. Sì, quel bastardo stava scrivendo un romanzo, dissi, anche se per la verità me ne ricordavo appena. Più di cinquecento pagine, disse Arturo, e sputò verso la spiaggia. Non l'avevo mai visto sputare. Scusa, ho lo stomaco sottosopra, disse. Sta' tranquillo, dissi io. Aveva scritto più di cinquecento pagine ripetendo un'unica frase all'infinito, in tutti i modi possibili, a lettere maiuscole, a lettere minuscole, su due colonne, sottolineata, sempre la stessa frase, nient'altro. E che frase era? Non te la ricordi? No, non me la ricordo, ho una memoria da schifo, mi ricordo solo dell'accetta e che il bambino e sua madre alla fine del film si salvano. Il mattino ha l'oro in bocca, disse Arturo. Era pazzo, dissi e in quel momento smisi di guardare il mare e cercai la faccia di Arturo, accanto a me, e sembrava come sul punto di crollare. Magari era un bel romanzo, disse. Mi fai venire i brividi, dissi io, come può essere bello un romanzo dove si ripete una sola frase? È una mancanza di rispetto per il lettore, la vita è già abbastanza merdosa di per sé, senza che per di più ti tocchi di comprare un libro dove c'è scritto solo 'il mattino ha l'oro in bocca', è come se io servissi tè al posto del whisky, è un imbroglio e una mancanza di rispetto, non credi? Il tuo buon senso mi spaventa, Teresa, disse lui."

Roberto Bolaño, I detective selvaggi, traduzione di Maria Nicola, Sellerio Editore, Palermo 2003, pp. 727-728.



lunedì 21 luglio 2008

Orson Welles — Un fogliettone

V
1943-1949: NELLE FOGNE E TRA GLI SPECCHI

Altre persone, così ho letto, fanno tesoro dei momenti memorabili della loro vita: la volta in cui sono saliti sul Partenone all’alba, la notte d’estate in cui hanno incontrato una ragazza solitaria a Central Park, e stabilito una tenera amicizia, come si dice nei libri. Anch’io una volta ho incontrato una ragazza a Central Park, ma non c’è molto da ricordare. Quello che ricordo io è quando John Wayne uccise tre uomini con una carabina mentre cadeva nella polvere in Ombre rosse e la volta in cui il gattino trovò Orson Welles sulla soglia del portone nel Terzo uomo.
Walker Percy, L’uomo che andava al cinema, Milano 1989, p. 13.

Durante la guerra Welles dedicò buona parte delle sue energie a collaborare allo sforzo bellico, realizzando trasmissioni radiofoniche di propaganda, divertendo i soldati con numeri di illusionismo, scrivendo editoriali e rubriche di politica, società e cultura (comprese ricette gastronomiche e previsioni di astrologia). Nel 1943 produsse (non accreditato) e interpretò La porta proibita (Jane Eyre) di Robert Stevenson. Se si esclude Terrore sul Mar Nero, di dubbia attribuzione, è il suo primo ruolo in un film non diretto da lui. Privo di potere contrattuale, la carriera d’attore servirà a Welles per finanziare i suoi progetti cinematografici: fu protagonista o comparsa d’onore in decine di film, alcuni di pessima fattura, spesso riservandosi il privilegio di scrivere le proprie battute. Si sospetta altresì che in alcuni casi sia passato dietro la macchina da presa per realizzare le scene in cui appare: un’ipotesi più che verosimile, ma difficilmente dimostrabile.
Dei film interpretati da Welles, il più importante è indubbiamente Il terzo uomo (1949; The Third Man) di Carol Reed: assieme alla Guerra dei mondi, la caratterizzazione del truce ma simpatico trafficante Harry Lime resta la sua migliore interpretazione e il suo più grande successo popolare, e nel 1951 rivestì la voce del personaggio in un ciclo di avventure scritte in buona parte da lui per la radio inglese (The Adventures of Harry Lime). Per chi volesse vedere il vero Welles, senza trucco, questa pare sia l’unica occasione (anche se alcuni sospettano un naso finto). Dato per morto ma nominato continuamente, Lime esce improvvisamente dall’ombra solo dopo la metà del film, totalizzando sullo schermo una presenza di appena cinque minuti. Il film vortica così attorno a un vuoto, creando un’attesa che l’arrivo di Welles esalta, nel dialogo sulla Gran ruota del Prater e durante l’inseguimento finale nelle fogne di Vienna. L’autore di Quarto potere aveva accettato di recitare nel film per finanziare il suo Otello. Si disse che Welles aveva collaborato alla regia del film, ma mi sembra un sospetto infondato: ne Il terzo uomo si ritrovano le qualità principali del cinema di Reed, dallo sguardo documentaristico al leggero umorismo. Sembra tuttavia probabile che Welles scrisse le sue brevi battute, arricchendo il ritmo scoppiettante del film con il suo torbido personaggio, al contempo cinico e inconsciamente tormentato. Sua è una delle considerazioni destinata a restare tra le più celebri della storia del cinema: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia e cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”.


SAME PLAYER SHOOTS AGAIN, AND IN ITALIAN TOO!


Tra gli altri film interpretati da Welles, vale la pena menzionare Cagliostro (1947; Black Magic) di Gregory Ratoff, Moby Dick, la balena bianca (1956; Moby Dick) di John Huston, Frenesia del delitto (1959; Compulsion) di Richard Fleischer, l’episodio “La Ricotta” di Pier Paolo Pasolini in RoGoPaG o Laviamoci il cervello (1962), Un uomo per tutte le stagioni (1966; A Man for all Seasons) di Fred Zinnemann, l’episodio di Joe McGrath in Casino Royale (1967), Comma 22 (1970; Catch-22) di Mike Nichols, Dieci incredibili giorni (1971; La Décade prodigieuse) di Claude Chabrol, Malpertuis (1971) di Harry Kumel.
Nel corso degli anni, sempre alla ricerca di fondi per finanziare i suoi film, Welles farà davvero di tutto, dalle pubblicità a spettacoli di magia a Las Vegas, dalla voce narrante per documentari sugli animali o per Bugs Bunny Superstar (1975) ad apparizioni televisive in The Dean Martin Show o nel Muppets Show, da letture su audiocassetta di testi letterari destinate al mercato giapponese a incisioni della propria voce su dischi di musica heavy-metal (Battle Hymns, 1984), da comparsate in film erotici (Butterfly, 1981) a frequentazioni assidue di ristoranti di lusso per sfamare la vorace golosità adescando improbabili mecenati dalle dubbie origini.

Durante il 1944, da fervido democratico, Welles partecipò attivamente alla campagna di rielezione del presidente, scrivendo discorsi per Franklin D. Roosevelt e tenendo conferenze in tutto il paese. Nell’estate 1946, investì quasi tutti i suoi guadagni per montare con il Mercury Theatre un’ambiziosa rappresentazione teatrale del Giro del mondo in 80 giorni, piena di effetti speciali e con musiche di Cole Porter. Lo spettacolo divise la critica e malgrado il successo di pubblico, i fondi per la tournée vennero a mancare e nell’Adelphi Theatre di New York l’assenza di l’aria condizionata si fece presto sentire. Nell’impresa, Welles perdette personalmente 320.000 $, che non riuscì a detrarre dalle tasse. Così presero inizio i problemi fiscali, che lo assilleranno fino alla morte. Lo stesso anno cercò di convincere Hollywood di poter essere un regista qualsiasi, capace di girare una storia lineare rispettando tempi e preventivi: ad eccezione di un paio di sequenze, Lo straniero (The Stranger), dove Welles incarna un criminale di guerra nazista che cela la propria identità in una tranquilla cittadina di provincia americana, è il suo film più impersonale, senza dubbio il meno interessante.
Il matrimonio contratto con Rita Hayworth nel 1943 permise a Welles di realizzare La signora di Shanghai (The Lady from Shanghai). Nel 1946, la moglie aveva fatto girare la testa a milioni di spettatori in Gilda, mentre sfilandosi i lunghi guanti di seta nera cantava “Put the Blame on Mame”. Ma più di tutto, a cristallizzare l’oggetto dei desideri era la lunga chioma scura dell’attrice. Welles decise di tagliarla cortissima e di ossigenarla. Le offrì un personaggio di perfida assassina che abbindola un improbabile marinaio irlandese (interpretato da Welles) in un giallo dalla sceneggiatura del tutto pretestuosa e la lasciò morire da sola in una galleria di specchi infranti. Il pubblico non apprezzò. Ancora una volta, il film subì pesanti tagli, ma alcune sequenze, e soprattutto il finale, entrarono nell’antologia ideale di tutti i cinefili. Welles ne ricavò un rapido divorzio e, ad eccezione de L'infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958), la condanna a non girare mai più un film in condizioni produttive normali.



(CONTINUA...)

giovedì 17 luglio 2008

Hepatos B12

Decideva di pensare ad altro. Quando non gli era facile brontolava poesie come: "Presso la culla in dolce atto d'amore," era questo un verso dei suoi preferiti in quanto non gli era mai capitato di ricordarne il seguito a cominciare già dal secondo. Allora ripeteva tante volte il primo, ora piano, ora gridando come un ossesso, infuriando contro gli oggetti, libri, quaderni, seggiole, fino a distruggere l'intera stanza.
Appena sicuro di aver perduto ormai ogni traccia di ragionevolezza, tornava in sé e si prodigava a riparare i danni come meglio poteva.
Era fornitissimo in attrezzi, nastri isolanti, mastice, anche per porcellane. Si metteva al lavoro fino a sera. Durante questa seconda fatica, rimasticava ancora qualche verso, preferibilmente uno della stessa lirica che prima lo aveva sconvolto e stavolta sempre l'ultimo in modo che non c'era un seguito da ricordare, ma pace, una certa soddisfazione, come l'avesse detta tutta a memoria d'un fiato.
Perciò riparava i mobili e raccattava i libri e i cocci ripetendosi "avrai riposo." Sempre durante questa sua operazione di restauro, gli sembrava che suo padre fosse lì a consigliarlo e lui approvava monotono finché non si pestava un dito col martello e allora gridava: "parole sante!"
Quanto tutto era in ordine, lavava il pavimento. Poi si vestiva di tutto punto e usciva dalla cucina tirandosi dietro l'uscio. Si precipitava nella legnaia giù nel cortile e, ricavatone un paio di stampelle, risaliva le scale, rientrando agilissimo sui legni, ma per l'ingresso principale. Traversava l'anticamera e, una volta sulla soglia della sua stanza da lui riordinata, sostava soddisfatto sulle grucce, scandendo forte in tono di incoraggiamento, forte perché una intera fabbrica lo udisse: "Bene bene bene!" Quindi enfatico si avviava al balcone schiarendosi la voce e sorridendo ai lati. Alla balaustrata, guardando giù, vedeva ora tanta gente ora nessuno. Doveva fare un discorso. Era combattuto, non già dal panico, ma dalla voglia di buttarsi di sotto. Questa tentazione gli era diventata un tic. Aveva risolto di difendersene razionalizzando la frequenza delle sue relazioni pubbliche, senza peraltro ridurla. Profittando di una pausa e liberatosi dalle grucce, si sottraeva al balcone, guadagnandosi per quell'affresco di scala la terrazza comunque nella apprensione dell'eccesso di quella pausa. Una volta al parapetto, si ascoltava come un oratore dotato di più metodo, o confortato dal principio che di lassù poteva concepirsi unicamente un suicidio di massa. E il suo porgere rinunciava alla lirica per assumere in contraccambio il tono più minuto dell'analisi, certamente al riparo dalle possibilità sintetiche del primo piano. Di lassù poteva raccontare e diffondere tutto quanto non pagato di persona, e tuttavia sviscerato, non oggetto di qualsivoglia psicosi. Suonava l'angelus e le folle non intendevano rincasare per una sola parola in più di lui. E allora cominciava una specie di rosario gentile. Lui diceva umilmente: "buona sera," e quella folla di rimando a lui, essa pure umilmente: "buona sera." Doveva sempre abbandonare quel rosario a un certo mistero poiché la commozione lo obbligava, col pretesto di mettersi in ginocchio, a sottrarsi al parapetto. E sempre ch'era notte.
Si calava giù per quell'abbozzo di scala in preda a un terrore ordinario, per cui si ripeteva ad ogni ostacolo: "Non son degno, non son degno!"
Entrò in cucina e stava per affrontare l'anticamera, ma lo sguardo gli urtò nel calendario appeso all'angolo, un calendario ecclesiastico davvero aggiornato. Il cuore gli prese a correre perché non c'erano dubbi, era quello il giorno in cui i vescovi avrebbero dovuto riunirsi proprio in casa sua, per decidere la sua santità. Lo confermavano le voci concitate e il fruscio delle vesti, tutto l'oro dei paramenti e il rosso sfolgorante dentro il telaio della porta di fondo chiusa, oppure incastonato come un diamante e un topazio e un rubino incastonati nella toppa vuota. Evidentemente quei dottori non avevano chiuso a chiave, sapevano che lui non avrebbe osato entrare in camera di concilio.
"Sono secoli che aspetto, meglio aspettare anche un anno in cucina, se no chissà quando se ne riparla," ecco presso a poco quel che avrebbe pensato un altro in quel frangente.
L'esperimento era delicato. I santi erano sempre tutti morti allorché se ne esaminava la grazia, lui invece era vivo più che mai. Se non altro il pudore di assentarsi in quella occasione. Per pudore almeno, avrebbe dovuto farlo.

Carmelo Bene, Nostra Signora dei Turchi, in Opere, Bompiani, Milano 2002, pp. 71-73.

lunedì 14 luglio 2008

tonight, I stop smoking

Anni fa, in una notte di fumo mi ero detto che sarebbe bello raccontare una storia in cui gli uomini riescono a trovare la prova scientifica e inconfutabile dell'inesistenza di qualsivoglia vita extraterrestre, l'idea in fondo abbastanza sconvolgente (e molto vicina al suo opposto, come spesso accade) che all'infuori della nostra Terra non ci sia assolutamente niente.


giovedì 10 luglio 2008

Banane colombiane



Eccoci di nuovo soli. Tutto questo è così lento, così pesante, così triste… Presto sarò vecchio. E finalmente sarà finita. È venuta tanta di quella gente in camera mia. Han detto delle cose. Non mi han detto granché. Sono andati via. Sono diventati vecchi, miserabili e lenti, ciascuno in un angolo del mondo. [Però, quant'è bello Céline in portoghese]

Stanotte non ho chiuso occhio. Il mio corpo è coperto di macchie rosse. Mi gratto con la punta delle dita, leggermente, per evitare cicatrici. Se ci metto l’unghia, e la tentazione non manca, sono fottuto. Quando sono uscito dovevano essere le tre del mattino. Avevo battiti in testa, non ne potevo più. Le sentivo ancora passeggiare su di me, fregandosi le zampette dalla soddisfazione. Mi sforzavo di non muovere un pelo, e improvvisamente: zac. Accendevo la luce, scuotevo le lenzuola, e mi mettevo a frugare il letto come un pazzo. Nemmeno una. Nemmeno una che potessi finalmente schiacciare tra le unghie facendo schizzar sangue dappertutto. Vigliacche, escono solo col buio. E anche così, riescono a camuffarsi, ricoperte dalla polvere delle fessure e degli angoli ammuffiti della mia stanza. Lanciare un fiammifero su tutto ciò, dare alle fiamme il pagliericcio marcio, e danzare allegro nel rogo mentre quelle, crac, crac, scoppiano come castagne al fuoco.
L’umidità proveniente dal fiume mi entrava nelle ossa. Cessavo di sentire i rintocchi della campana della cattedrale. E la cosa peggiore è che non avevo più tabacco. Il prurito non mi tormentava più tanto, tranne sulle mani. Il prurito ai coglioni cominciò più tardi, in mattinata. Imprecavo da non so quanto tempo. Non si vedeva anima viva, neppure un ladro di macchine con cui chiacchierare e a cui chiedere una sigaretta. Finalmente ho trovato una panetteria aperta. Come sempre, le pagnottelle mi hanno fatto male. Ho un panetto di burro nascosto nella mia stanza. Scommetto che quella vecchia mignotta non riuscirà a trovarlo neppure mandando tutto all’aria. Non mi fregherà più. “Signor João… non può farsi da mangiare in camera…” La vecchia ha trovato un casco di banane putride sopra l’armadio: fu un pandemonio… Non comprerò mai più banane provenienti dalla Colombia. Le compri belle verdi, e due giorni dopo sono completamente marce.

lunedì 7 luglio 2008

Orson Welles — Un fogliettone

IV
1941-1942: MA CHE DIAVOLO SEI ANDATO A FARE A RIO DE JANEIRO?

I started at the top and worked my way down.
Orson Welles.

Welles accarezzò l’idea di fare un film dedicato a Landru, ma alla fine vendette il soggetto a Charles Chaplin che lo realizzerà sei anni dopo (Monsieur Verdoux, 1947). A contrastare l’audacia di Quarto potere, come secondo film del contratto con la RKO Welles scelse infine di adattare un romanzo di Booth Tarkington, L’orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons), classica saga narrante la decadenza di una famiglia di ricchi possidenti e l’avvento della civiltà di massa, borghese e industriale, incarnata nell’automobile. Welles aveva già realizzato una versione radiofonica del libro, ed è l’unico film in cui il regista non compare come attore, ma sua è la voce del narratore. Doveva essere un film “normale”, ma con occhio spietato la macchina da presa osserva un mondo decrepito, dilaniato da passioni edipiche, presuntuoso, violento e ottuso, con una crudità davvero inusitata unita a una comprensione umana di rara raffinatezza psicologica e stilistica.
Welles ne curò le riprese di giorno, tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, mentre durante la notte produceva e interpretava la terza opera prevista dal contratto, Terrore sul Mar Nero (Journey Into Fear): il sospetto che spesso il mediocre regista Norman Foster abbia lasciato Welles libero di dirigere questo gradevolmente assurdo spy-movie è più che lecito. “Welles e Del Rio insieme! Come l’Uomo Terrore contro la Donna Leopardo!” gridava lo slogan. È un’esotica serie B, con la troupe del Mercury Theatre quasi al completo: Welles è l’improbabile Colonnello Haki, capo dell’ovviamente feroce polizia segreta turca, tutti si divertono e noi con loro. Film così non se ne fanno più, anche se il regista-produttore non doveva essere particolarmente interessato al progetto, pensato come una serie B il cui basso costo avrebbe rimborsato il denaro perso da Quarto potere restituendo a Welles un valore contrattuale incrinato.

Nel frattempo l’America era entrata in guerra. Per partecipare allo sforzo bellico, Welles accettò di girare un documentario in tre parti sul Brasile, It’s All True. Lo scopo era di rafforzare le relazioni inter-americane. Il 1° febbraio 1942 terminò le riprese di Terrore sul Mar Nero. Il 2 e il 3 si trovava a Miami per dare precise indicazioni a Robert Wise, montatore de L’orgoglio degli Amberson. Finita una prima versione, Wise avrebbe raggiunto Welles in Brasile, dove il lavoro doveva essere portato a termine. Il 4 febbraio Welles partì per Rio De Janeiro. Commettendo il più grave errore della sua carriera. In Brasile, l’organizzazione delle riprese era nel caos totale, l’équipe tecnica non era al completo, mancavano le luci, un attore protagonista morì in mare, le comunicazioni con gli Stati Uniti erano difficilissime. Wise non riuscì mai a recarsi in Brasile, dove Welles rimarrà intrappolato per più di cinque mesi a causa delle leggi speciali riguardanti i trasporti in tempo di guerra. Intanto alla RKO era avvenuto un cambio di direzione: al posto di George J. Shaefer, protettore di Welles, era subentrato Charles J. Koerner, per il quale il regista di Quarto potere non era che un presuntuoso provocatore, buono solo a far perdere soldi. Wise terminò da solo il primo montaggio, di 132 mn, seguendo in buona parte le indicazioni fornitegli dal regista. E il film venne presentato il 17 marzo al pubblico di Pomona per una proiezione-test.


Quarto potere era genialmente irruento e “barocco”; L’orgoglio degli Amberson potrebbe essere considerato il suo opposto, una tragedia camuffata da melodramma in tre atti, solo in apparenza semplice e lineare. L’ultima parte del film doveva essere la migliore, di una cupezza insostenibile: lo spettatore assisteva alla fine di ciascun personaggio, votato alla solitudine, alla malattia, alla morte. Insostenibile, appunto: così verrà giudicato il film dalla maggior parte degli spettatori invitati a dare la loro opinione. Vennero eseguiti alcuni tagli (17 minuti in tutto), e il 19 marzo il pubblico di Pasadena reagì positivamente. Ma ormai per Koerner tutta la vicenda aveva assunto i tratti di una questione personale. La RKO decise allora di rimontare il film, massacrandolo. Nuove sequenze vennero girate da Wise e da registi infimi, e soprattutto l'intera ultima parte venne troncata e sostituita con un lieto fine assolutamente incongruo: il film fu ridotto a 88 mn. L’orgoglio degli Amberson resta un capolavoro, ma cosparso di ferite aperte e di vistose cicatrici. Uscirà in due sale a Los Angeles, in doppio programma con Mexican Spitfire Sees A Ghost, una commedia dozzinale con l’attrice messicana Lupe Velez: inutile dire che non ebbe alcun successo. L’integrità del film è irrimediabilmente perduta: il 10 dicembre, la RKO mandò al macero il negativo scartato. Terrore sul Mar Nero fu un fiasco. It’s All True non uscì mai. Parte del materiale girato in Brasile sarà ritrovata da Bill Krohn nel 1985 e montata assieme a Myron Meisel e Richard Wilson [It’s All True (È tutto vero), 1993]. Hollywood non è un quartiere di Rio de Janeiro, e il cinema non è un carnevale brasiliano: la RKO reputò che lo scherzo era durato abbastanza, e il 1° luglio 1942 fece cacciare il Mercury Theatre dai propri studios.


(CONTINUA...)