Dans un film de Keaton, il y a cette fameuse scène où Buster se trouve devant une maison, tournant le dos à la façade, immobile. La façade tombe directement sur Buster, mais comme son corps est situé pile devant la porte ouverte, cette dernière lui sauve la vie. Buster ne s'est aperçu de rien. En revanche, Keaton a vu. A mon humble avis, un critique de cinéma devrait se mettre à la place de Keaton, et essayer de regarder ce qui arrive. Non seulement à Buster, mais aussi à la maison.
sabato 28 agosto 2010
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17 commenti:
L'importanza degli spazi in mezzo.
(How to Destroy Angels, The Space in Between)
No, guarda, è esattamente così. Pare non si sia capito, ma questo post è stato ispirato dalla lettura di un testo di Baricco, che a scanso di equivoci considero con il massimo rispetto (l'articolo si trova qui: http://www.wired.it/magazine/archivio/2010/09/storie/i-nuovi-barbari.aspx).
Prendiamo Francesco Savio. Francesco Savio era uno "storico del cinema". Lui si considerava tale.
Poi, a un certo punto, nel '73, "il Giorno" gli chiede di fare le recensioni dei film.
Lui lo fa, non credendoci, lui è uno storico, per lui il campo di studi si ferma al '59, poi c'è Godard.
Il cinema, c'è un prima e un dopo Godard.
Il prima è storia, di questo si occupa Savio.
(All'epoca c'era gente che pensava così, cosa possiamo farci.)
Comunque, lui ci sta.
Scrive recensioni spettacolari e lungimiranti, in uno stile che è quello di chi ha capito, o intuito, alla Manchette per intenderci.(1)
Ossia: scommettendo SEMPRE sull'intelligenza sopraffina del lettore.
Tempo pochi mesi, "il Giorno" gli riduce lo spazio a noterelle di 5 righe.
E lui continua, uguale. Fino al '76.
Stronca "Todo modo", Petri se la prende, lui scrive una"Lettera di commiato a Elio Petri".
E in quella lettera scrive questo:
"Alla base della critica militante c'è un problema di rigore intellettuale. Preconcetti e anatemi non valgono. Se ogni film fa — com'è giusto — storia a sé, per ogni film si tratta di affilare armi e strumenti idonei. L'esperienza reattiva del critico non è meno complessa e travagliata di quella — attiva — del regista-autore. Anzi. Una volta terminato il film, l'autore se ne libera, si stacca, comincia a muovere verso altri approdi. Al critico questo è impossibile. Egli continua a riflettere in sé, come uno specchio da cui niente si cancelli, tutto quello che un film non ha detto, le immagini astruse ed opache rimaste fra le pieghe della coscienza, fra le acerbe strettoie del montaggio."
Con questo testo finisce la collaborazione di Savio al "Giorno".
Poco dopo infila la testa nel forno, e buonanotte.
Ma questi son problemi di Savio.
1) Mica diceva cazzate, Savio. Ad es., aveva capito ('73-'76!) che il cinema era ormai avviato verso il remake, sistematico, delle opere passate.
Poi parlava di cinegenia.
Giudicava gli attori, e le attrici, in funzione della cinegenia. Per lui "Come eravamo" era un film enigma su una cozza. E ogni film con Michael Caine l'enigma di un bruttazzone.
E poi recensiva un film con la Antonelli scrivendo cose tipo (cito a memoria): "lasciatemelo dire, è una creatura deliziosa".
Voglio dire, c'era già il tono cazzeggiante dei sn.
Mica era Argentieri, Savio.
Forse semplifico un po' troppo: posso concludere che "la casta dei barbari" scommette raramente sull'intelligenza del lettore?
E la reinvenzione della superficialità come luogo del senso non potrebbe essere uno dei fondamenti d'ogni social network?
(m'hai messo una voglia indelebile di leggere Francesco Savio e J.P. Manchette)
Credo di esser giunto alla stessa conclusione.
Quanto ai sn, tenendo conto che conosco solo quelli italiani, non son sicuro di aver capito quel che intendi. Al di là di qualche persona interessante, mi sembra uno spazio marcio, dove la gara al ribasso (dei contenuti e soprattutto dell'attenzione) è dichiarata e perseguita, in una sorte di inane cupio dissolvi senza grandezza. La civiltà occidentale ridotta alle foto del mio gatto guardato dal buco della serratura.
Comunque, Savio e Manchette li trovi qui e qui (ma il testo del post l'ho scritto io).
Credo di capire (è scritto), collegando un punto con un altro, come sempre. La profondità è nella pelle. Ma per saper leggere quella superfice devi aver attraversato oceani di profondità. Non c'è scampo, e Baricco lo sa bene. Lo dica, no?
Ma non lo dirà, perché ha terrore di annoiare: il suo compito nel cielo delle stelle è quello di tenere desti l'emozione e il divertimento del folto pubblico dei suoi lettori.
Strel: su Manchette stessa voglia, ma non so ancora da dove iniziare.
Concordo pienamente con quel che dici su Baricco.
Il testo è un sunto rapidissimo dei "Barbari", nulla di nuovo. Baricco scrive bene, ma scrivere "bene" non basta (su "c'est bien écrit", cf. Barthes). Bisognerebbe criticare Baricco giustamente. Cominciando appunto col dire che "scrive bene". E poi magari dargli addosso. Invece tutti: Baricco, bleah. Che ci fai la figura dell'invidioso. È come con Muccino. Muccino sa girare. Benissimo. Poi mi fa schifo, ma parliamone.
Insomma, il problema è che il discorso di Baricco si incarta. Oppure si riduce a una scommessa sul futuro, a un wishful thinking all'interno del quale lui spera di trovare uno spaziotempo che gli permetterà di tirar fuori le castagne dal fuoco.
la mia domanda però è questa: "L''unica residua dimensione" di cui sarebbe "capace", il barbaro, ossia (secondo Baricco) "la superficialità", che cazzo produce?
(E lì l'unica novità del testo, ossia il suo proiettarsi nel futuro: perché quel che aveva notato e non descritto con un pizzico di dubbia euforia Baricco qualche anno fa non ha prodotto un bel niente, credo)
Ok, mettiamola così.
Sulla "profondità" (?) la cultura occidentale (??) ha scommesso per millenni. Ora (???) ha fallito (????). Cosa traspare tra le righe di Baricco, di questo testo, intendo? (Quel che lui sa bene e non dice, per intenderci.) Che la superficialità (?), barbarie (??) degli ultimi anni (???) sta già fallendo.
Quindi per non sputtanare quel che ha scritto pochi anni fa, Baricco lo ripete, ma proiettandosi in un futuro a rischio zero o poco più.
Un po' come i gialli vintage, al cinema, per non porsi il problema dei cellulari.
A rovescio, no?
Per quel che mi riguarda, prima cosa.
Superficialità vs. profondità, frega nulla.
A me interessa solo sapere qual è il punto d'osservazione.
Qualcuno me lo dica.
Da sopra, tipo filosofo planante a fine giornata, con sguardo d'aquila o di cormorano o divino?
Da sotto, con gli occhi emergenti dal fango, tipo zombi di "Land of the Dead" o Goodman e quell'altro in "Raising Arizona" o Rimbaud ("Il faut s'encrapuler")?
Raso terra, tipo serpente?
Basta che me lo dicano, poi vedremo se saremo superficiali o profondi.
Punto due.
Superficialità vs. profondità, frega zero.
Accostamenti, parallelismi, stratificazioni. Alla Tarantino, insomma.
Al massimo, sprezzatura.
Che poi non vuol dire superficialità.
Tu lisci la superfice.
Poi ci scivoli sopra.
Magari da perdente, con (come) una palla da bowling.
Ah, su Manchette ho dei preferiti, posso anche dirli, ma in realtà di lui va bene tutto. Tutto, anche la lista della spesa. Possibilmente in francese.
Cosa produce, dici? Me lo chiedo anch'io, insieme al resto. Attualmente so di certo che in generale quel che non produce sono proprio le domande.
Grazie per Manchette (conto nel suo traduttore per Einaudi).
Comunque un amico keatoniano mi fa notare che "non si tratta della porta della facciata ma di una finestra quadrata e piuttosto piccola".
Ho verificato e in effetti ricordavo male: http://www.youtube.com/watch?v=zsyRhRR5Iu4
Allora, siccome il testo e il post nel suo insieme meritano, perché non borreggere quel porte ouverte e aprire une fenêtrelle?
Perché il testo e il post meritano solo per quattro gatti simpaticissimi e indulgenti, perché quando faccio il blogger non correggo bozze, perché sono pigro e stanco.
Perché è inutile correggere una porta per ritrovarsi in una finestra. Sul tavolo c'è sempre lo stesso cazzo di minestra.
Mangiala Sten, che è meglio.
Rinforza.
Siamo tutti un remake.
Ma, qualche volta, per puro caso, qualcuno make meglio.
Non amo i critici. Ed ancora meno i professori di scrittura creativa.
Amo i lettori. Gli ascoltatori.
Apprezzo poco i blog. In genere sono asfittici, sterili. Autistici.
Ma, guarda caso, quelli dei frequentatori di questo non cinema, ed il suo proezionista, sono generosi. Non autorefenziali.
E anche Dust ha ricominciato a pubblicare. Meno male.
Non capisco, a volte.
Ma vi leggo, vi ascolto.
E la minestra è più saporita.
Bonne appetit.
Sì, però ci son giorni in cui uno non ha più tanta voglia di ascoltare, non trovi?
...di solito in quel tipo di giorni vorrei davvero essere come lui in quella scena della mensa,ma siccome pare poco opportuno,anche poco afattibile,preferisco sempre ascltare...a me piavce sempre ascoltare...mi piace tanto..anche solo perchè va a finire che il mio punto di osservazione è sempre da dentro, e da dentro si vede confuso...cos' ascolti ed esci un po' fuori, fai sempre un giro in un posto diverso,spostamenti laterali,o di altezza quando ti va bene davvero..e i panorama cambia,a volta non pare neanche più lo stesso...così anche da dentro poi le cose le vedi in maniera un po' diversa,meno sfocata, più pulita, sebbene più detagliata...da dire non ne ho molto, ma da ascoltare invece parecchio, tantissimo...non mi stufo mai...poi dipende da cosa e chi s' intende....
Schifani? Quello che ha passato anni a esser ripreso dal tg 1 per dire "Purtroppo ancora una volta la sinistra ha dimostrato di essere"? Quello là? Alla mensa?!
..schifani sta nell' impasto degli hamburger..si sa che a mensa nelle polpette ci mettono gli avanzi immangiabili...e pure indigeribili
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