sabato 26 dicembre 2015

domenica 11 ottobre 2015

Stenshots

domenica 9 agosto 2015

Lauren Bacall

Lauren Bacall faceva solo un film all'anno, per star vicino a suo marito Humphrey Bogart. E anche perché era una donna molto esigente, proprio come i personaggi che interpretava.
La cosa le causò qualche problema con le major, perché Bacall non era pronta a girare qualsiasi cosa, rifiutava un copione dietro l'altro. E quindi girò pochi film, perché lei voleva girare con registi bravi, con i mestieranti si trovava a disagio, e questo le causò varie frizioni con gli studios.
Infatti girò relativamente pochi film, perché era esigente, non era di quelle che accettavano qualsiasi ruolo, lei voleva lavorare con registi seri, non con scalzacani, era davvero molto molto esigente.

Tutte queste informazioni le sto imparando ora grazie a un documentario trasmesso da skyTG24, di quelli che la gente parla in inglese e sopra senti la voce in italiano, serissimi critici ripresi in casa, seduti, e nello sfondo un pianoforte assurdamente grande in legno finto, o vecchiette di Hollywood, sempre in casa, sempre sedute, e dietro un vaso pieno di fiori color pastello, natura morta barocco-californiana.

lunedì 8 giugno 2015

This is my blog and this is for fun

"quest'ermo colle, / E questa siepe"

Circa trent'anni fa il migliore amico di mio padre, figlio di un fascista monarchico, che viveva con il padre quasi centenario e ancora al volante di un automobile con la quale causava numerosi incidenti, automobile che prestava al figlio amico di mio padre per permettere a lui, a mio padre e a me di "fare una rotolata" per Roma, e una volta la polizia ci fermò sotto la statua di Goethe, ci fece uscire e ci puntò contro le armi mentre controllavano i documenti, e c'era un giovanissimo con un mitra e quel mitra tremava, ma tremava ancor più l'amico di mio padre o piuttosto non tremava, sudava freddo e io non me ne accorsi, solo quando ci lasciarono andare e riprendemmo la nostra rotolata vidi che sudava freddo ed era pallido come un cencio e allora gli chiesi Che c'è e lui balbettò Apri il cruscotto, e dentro c'era una pistola, l'amico di mio padre chissà cosa ci faceva con una pistola che bastava guardarlo di traverso e cadeva vittima d'infarto, lui finissimo letterato spiantato a sessant'anni ancora a casa del padre a studiare letteratura e filosofia francese e a tradurla splendidamente per nessuno, lavorando su libri che rubava in tutte le librerie di Roma, rubava persino le enciclopedie e quando arrivarono le telecamere aveva identificato gli angoli morti della Hoepli della Herder della Procure, poi arrivarono le fotocellule e lì lo persi di vista ma allora lo frequentavo praticamente ogni sera, avrò avuto poco più di tredici anni e lui mi disse che tutto sommato se volevo avere una vaga idea di quel che raccontavano i Canti di Leopardi mi conveniva procurarmi l'edizione annotata di De Robertis perché lì si spiegava bene quella cosa che si chiama DEITTICO.

Treccani:
"Il termine deittici indica un insieme eterogeneo di forme linguistiche – avverbi, pronomi, verbi – per interpretare le quali occorre necessariamente fare riferimento ad alcune componenti della situazione in cui sono prodotti. I deittici coinvolgono dunque due realtà diverse: una realtà linguistica, interna alle frasi, e una extralinguistica, esterna alle frasi."

Credo che tra le prime cose che ho scritto ripetutamente in rete ci sia il mio problema con i deittici. Nella vita reale ho litigato ferocemente con gente che mi diceva là, lì, quello. Non capivo mai cosa indicasse, anche perché non indicava nulla. Alcuni di loro ho smesso di frequentarli solo per quello.
Ho fatto pace con i deittici quando, una sera, trovai finalmente "la mia anima gemella", come si legge nei romanzi di Chrétien de Troyes, forse.
Si chiamava Paula Trent.
Le sue parole furono un colpo di fulmine:
"I dischi volanti sono lassù, e il cimitero è laggiù: io resterò chiusa qui. "

domenica 10 maggio 2015

Considerazioni sull'Expo 2015 svoltasi attualmente a Milano nel 2015

Car*, car*,
Ora che i tumulti (che naturalmente condanno) attorno all'Expo vanno spegnendosi e l'evento è ben avviato alla sua conclusione, vorrei approfittare dell'occasione per buttar giù qualche idea in modo sintetico, come richiedono le nuove tecnologie e anche i tempi abbastanza moderni.
Va sottolineata anzitutto la contraddizione tra una fiera che pur ponendo al centro del dibattito la questione agroalimentare, non disdegna la sponsorizzazione di brutte multinazionali che fanno male a quasi tutti. Questo per esempio. È uno scandalo infatti pensare che il padiglione intergalattico proponga un bacarolpo ynglossato che pur rispettando la buona norma del chilometro 3.947.832.576,3333 periodico, con bollitura a metà strada, viene poi servito ai visitatori di tutto il mondo riscaldato in un volgare forno a microonde.
Son cose di alimentazione, d'accordo. Però tutti mangiano, anche quelli che muoiono di fame!
Il raccordo anulare per le bici mi ha entusiasmato, ma se ciascuno di noi nel suo piccolo non "fa il suo piccolo" puoi inventarti tutti i manubri equi e solidali che vuoi ma non avrai mai piste a dimensione umana. La bistecca alla fiorentina piace a molti, e ci mancherebbe! Ma se la cuoci per venti minuti la filiera macrogenetica non puoi difenderla, lo capisci sì o no? Sì o no?! Ma no che non lo capite, dai. Lo sanno gli italiani e soprattutto le italiane che ogni bistecca comporta lo spreco di mezzo litro di acqua potabile per far crescere i conigli che vengono poi ingrassati con diserbanti transgenetici per nascondere le orecchie nel piatto si fa per dire offerto dal padiglione? Una fiorentina all'amiantide a 1348 euro e 33,3 centesimi periodici all'etto a te vi pare offerto? E allora hai voglia a parlare dal consumatore al produttore e ritorno, di biogelato allo stracchino igienico senza se e senza ma.
No! Se! Ma! Mai mais, tuttalpiù! Perché anche expo ha un cuore, il cacao è il cibo di Dio (ma anche di altri che non si chiamano Dio e che hanno comunque grossi superpoteri) come si dice. È molto molto salutista, perché se uno mangiasse UN ICTUS DI CACAO di 8% riduce il riscaldamento globale di 22 grammi e questo è molto molto importante, per dire.
Eh.
Voi credete che non dico i fatti ma io so bene COME GIRA IL MONDO, ho scritto UN LIBRO che ha venduto più di 600 pagine e questo vuol dire una cosa!..
Ho fatto un sogno! Io sogno che vorrei che Milano come un salotto GENETLIACO MODIFICATO per tutti, questo è molto molto importante per me e il concetto 2.0 di salotto mi ricorda quella volta quando vinsi l'OSCAR bambino di quattordici anni e mia CUGINA MIRELLA su una scogliera cementificata dell'Isola del Giglio con il sole a picco e lei disse Guarda, guarda Stenelo che bel tramonto allora io tirai giù lo slippino e la guardai completamente basito chiedendolo SGNAPPAMELO ora subito che zio non guarda! e lei Forse zio NON gUARDA, ma ricorda che zio è anche mio padre!


venerdì 24 aprile 2015

Un'avventura della libertà

Cercando (e trovando, vedi sotto) in rete Sobibór, 14 octobre 1943, 16 heures di Claude Lanzmann, che in Italia non è mai uscito, mi son ricordato di questo testo. Me lo aveva chiesto un quotidiano, per il 25 aprile di 10 anni fa.

Anzitutto il volto di un uomo, sulla sessantina. Poi, fuori campo, una voce chiede: “Signor Lerner, aveva già ucciso, prima?”. E Yehuda Lerner risponde: “No, non avevo mai ucciso nessuno”. La cinepresa fissa il suo volto. Che sorride. Se mai c’è qualcosa di vero nel luogo comune di quel che si dice un “sorriso enigmatico”, questa verità deve trovarsi nelle pieghe del sorriso di Lerner. Il film è Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heures. È un’unica, lunga testimonianza raccolta da Claude Lanzmann. Sobibor era un campo di sterminio. Vi finirono 250.000 ebrei. Un giorno, guidati dall’ufficiale ebreo russo Alexander Petchersky, i prigionieri si ribellarono. Lerner era appena un ragazzino: con un’accetta, tagliò in due il cranio di un nazista. “Lei sta impallidendo, signor Lerner.” “È normale impallidire, quando si ricordano cose simili.” La Resistenza passa attraverso “l’esercizio effettivo della violenza”, che secondo Lanzmann “richiede due precondizioni indissociabili: una disposizione psicologica e una conoscenza tecnica”.
    Nell’attesa (della disposizione psicologica, della conoscenza tecnica, dell’accetta), si può cominciare a resistere da soli. Anzitutto sopravvivendo per cinque anni interi, quando si è un pianista ebreo naufrago nella Varsavia occupata; nutrendosi di quel che capita. Obbligando la mente a non dimenticare la manciata di note di un notturno di Chopin, tra le scariche di mitra e le bombe, nel Pianista di Polanski. Si può resistere burocraticamente: a Schindler è bastato spostare da una lista all’altra mille nomi per salvare altrettante vite. È grazie a lui che Spielberg ha potuto farci vedere mezzo secolo dopo i veri sopravvissuti. Si può resistere tacendo, nel Silenzio del mare di Melville, come fanno un padre e sua figlia, lasciando l’ufficiale tedesco intrappolarsi nelle contraddizioni del suo monologo, e suggerendogli in extremis la rivolta nelle parole impronunciate di Anatole France: “È bello che un soldato disobbedisca a ordini criminali”.
    C’è poi la resistenza organizzata, partigiana, armata: quella ad esempio di Paisà di Rossellini; del post 8 settembre, da Tutti a casa di Comencini al Partigiano Johnny adattato da Guido Chiesa. E il suo ricordo, crepuscolare e spietato, nello splendido L’armata degli eroi di Melville: titolo italiano assurdo, per l’originale L’Armée des ombres. O ne I nostri anni di Daniele Gaglianone. Si resiste fermando Il treno di Frankenheimer, per salvare Monet e Cézanne. O cercando di non perdere L’ultimo metrò di Truffaut. “Essere o non essere”: anche ridendo, per il Lubitsch di Vogliamo vivere, “that is the question”: e il monologo di Amleto, infatti, contiene messaggi in codice per la Resistenza.
    C’è infine la rivolta di massa, popolare. Le città resistenti, da Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy alla Praga ricostruita a Hollywood in Anche i boia muoiono di Fritz Lang (e Brecht); dalla fantasticata e borgesiana Tara de La strategia del ragno di Bertolucci a Roma, città aperta, che fu insieme film su e di Resistenza. Girato in condizioni avventurose nelle strade della città, l’opera di Rossellini è anche un gesto di autocritica linguistica (il regista aveva realizzato opere di propaganda), le cui conseguenze, nella storia del cinema, sono ancora visibili.
    Lerner: “Sono entrato nella foresta e a questo punto credo che l’emozione per tutto quel che mi era successo, la fatica, la notte… le gambe non mi reggevano più, e sono crollato. Sono caduto e mi sono addormentato”. E in Sobibor Lanzmann si concede un commento personale, che mai si era permesso nelle nove ore del suo Shoah: “Fermiamoci qui. È troppo bello quando dice che è crollato nella foresta. Il seguito è un’avventura della libertà”.

lunedì 20 aprile 2015

e se all'orecchio ti sussurassi 900 morti in mare, ciccina?

Un jour, camarade, il faudra quand même comprendre.

Stamattina ho letto un post sulla pagina facebook di Loredana Lipperini e stavo per commentarlo. Man mano che idee e parole trovavano una collocazione precaria in un ordine simulato a un passo dal delirio il numero degli interventi altrui aumentava, all'una circa erano già più di cento, quasi tutti accompagnati dalla minuscola fotografia dei loro autori, scattata chissà quando e da chi e senza alcun rapporto con quello che stavano dicendo in quel momento (bene, male, giustamente, erroneamente, sinteticamente, verbosamente) in modo tale da rendere se possibile sempre più ridicola la mia opinione. Alle due ho smesso di leggere il thread.
   Fin lì mi erano venute in mente varie idee, purtroppo tutte sinistre, che in definitiva andavano però nella medesima direzione, ossia che il fascista leghista razzista medio stigmatizzato da 24 ore in vari modi da "noi" è in realtà assolutamente irresponsabile di quei morti in mare. Non è neppure una pedina di quei poteri che hanno segnato la sorte di quelle 900 persone; si colloca in uno spazio del tutto parallelo e sostanzialmente innocuo. Il potere non ha neppure bisogno di lui.
   Nel suo post Lipperini parla di due funzionari statali (o comunque con uno stipendio assicurato), in coda per una mensa aziendale di alta qualità. Avranno anche un veicolo costoso e molto pubblicizzato, immagino io. Dicono le loro porcherie, lei che sta dietro interviene, quelli le rispondono di farsi gli affari suoi (e un po' lì destano una mia cupa simpatia, lo confesso). E allora chiede alla sua platea indistinta di fb come si fa a far cambiare idea a questa gente. Lo chiede con toni accorati, sentiti come le condoglianze d'ordinanza, ma con dirittura morale, già prevedendo e scansando con alterigia le accuse di "buonismo".
Mai però ci si preoccupa di avvicinarsi al ritratto di quei due. Si prendono per buoni i segni di ricchezza materiali nella convinzione che essi portino con sé una "mitologia", come nei Cinquanta e Sessanta, apice e quindi ultimo capitolo del progresso occidentale. Quei due vengono confusi non dico con i loro padri, ma addirittura, ormai, con i loro nonni. Quel posto fisso, quella mensa di lusso, quell'automobile costosa e molto pubblicizzata valgono la DS Citroën descritta da Barthes. Non sono forme vuote ma monumenti, testimonianze/testamenti performativi di una fede. Alla mensa aziendale di lusso si crede che i due addenteranno la loro fiorentina eucaristicamente, e quella fiorentina con contorno di buon gusto tradizionale slowfood verrà a collocarsi naturalmente in un cosmo in piena attività che ancor prima di una promessa inalienabile di futuro garantisce un senso a tutto.
   Perché, si chiede Lipperini, questo cosmo allora è così orrendo? In realtà non se lo chiede, lei dice che vorrebbe parlargli, suppongo per cambiarlo. Prima ancora di sapere come è fatto, e soprattutto "se" è fatto. Dopo aver fallito nell'esportare la democrazia in Libia, o in Irak, o in Afghanistan, ora cerchiamo la strategia vincente per compiere una rivoluzione (colorata? profumata? floreale?) nella nostra mensa aziendale.
   Invece quel cosmo, orrendo o meraviglioso che sia, non c'è più da mezzo secolo, o se c'è è sottoposto a falso movimento, a un'entropia percepibile persino dal più truce dei leghisti, figuriamoci se non ne sono perfettamente consapevoli i nostri due impiegati romani. Ma Lipperini sembra non rendersene conto. E quanti, insieme a lei?
   Un commentatore tira fuori la solita soluzione, letta sempre più frequentemente negli ultimi anni, nei social network si contano interi thread dedicati a quest'idea francamente geniale per non dire rivoluzionaria: il diritto di voto limitato. Ad alcuni dovrebbe essere tolto; oppure, se il loro voto vale "uno", allora il "nostro"  deve valere due. Nel thread di Lipperini il tizio mi pare complichi le operazioni di scrutinio con un suggerimento che rallenterebbe di qualche giorno il conteggio: per lui il voto di "questi" dovrebbe valere il 35%. (Forse non è il numero esatto, forse ha scritto 25 o 45).
   Anche lì non è ben chiaro che cosa si auspichi. L'esito che si vorrebbe così ottenere mi sembra sia già stato ampiamente raggiunto. In Francia è ormai percepibile la certezza che votare Hollande o Sarkozy non produca alcun cambiamento sostanziale. In Italia appena prima di diventare il padrone assoluto il Partito democratico ha escogitato la grande festa delle primarie, dove si concentrano artificialmente tutte le passioni politiche dell'elettorato "serio" (quello che dovrebbe valere un unico uno, oppure due, oppure 65%), in modo tale che le elezioni "reali" siano consegnate alla loro monotona sorte. Al momento regna incontrastato un pupazzo imbarazzante che dice ogni giorno, più volte al giorno, di aver stretto "un patto con gli italiani" e che "niente e nessuno ostacolerà le riforme". Nessuno ha visto quel patto, le riforme oltreché oscure non son state mai sottoposte a dibattito seguito da suffragio, eppure nei sondaggi sembra apprezzatissimo: che bisogno c'è allora di soluzioni elettorali complesse, che comporterebbero censimenti, esami, test attitudinali, se non addirittura l'oneroso acquisto di calcolatrici ad hoc?
   Intanto i diritti vengono eliminati uno dopo l'altro, o erosi, o concessi con disprezzo e a tempo determinato: sono comunque "ridicoli", e nessuno può esercitarli o difenderli senza vergognarsi. In compenso aumentano i doveri, sempre più imbecilli, umilianti, insultanti: mangiar sano, non fumare, non bere, adottare un vocabolario adeguato, di genere se non di specie, al passo con i tempi e persino hype.
   In un simile contesto i due agiati mentecatti della mensa aziendale mi sembrano caricature polverose. Dicono le loro porcherie gratuitamente, oserei dire con generosità, sapendo segretamente di essere persone irrilevanti e di non aver più nulla da perdere. Un po' come lo straniero di Camus, se quel giorno magari il sole li avesse colpiti in modo leggermente diverso, li avresti ascoltati esprimere opinioni diametralmente opposte.



Quello che è successo è frutto di una serie di decisioni geopolitiche, economiche, militari e di sicurezza prese sia a livello nazionale che a livello transnazionale da governi e maggioranze nonché da istituzioni dove sono esclusivamente rappresentate forze politiche tradizionali e presentabilissime. E sono tutte forze politiche legittimate direttamente e indirettamente dal voto popolare di un elettorato mediamente acculturato e ragionevole. Quell'elettorato che dovrebbe valere il doppio, o il 65%, rispetto a zero o uno o il 35% degli altri elettori, giudicati responsabili e colpevoli.
"Nello specchio congelato dello schermo, gli spettatori non vedono in questo momento nulla che evochi i cittadini rispettabili di una democrazia. Ecco appunto l’essenziale: questo pubblico, così perfettamente privato di libertà, e che ha sopportato tutto, merita meno di ogni altro di essere trattato con riguardo."
Il lessico dominante ha già deciso quale debba essere la parola più adeguata da diffondere per definire l'eccidio compiuto ieri: è "tragedia".

sabato 18 aprile 2015

Leggendo "La Carte et le territoire"

Quell'incrocio tra rue d'Assas e rue Vavin è un punto fermo della mia topografia anni Ottanta. A pochi metri (rue Vavin) si trovava il primo videoclub che frequentai, all'epoca ce n'erano pochissimi, una mezz'ora buona a piedi dal ciglio di Montparnasse, sul punto di diventare "Duroc": esisterà ancora, quel no man's land chiamato "Duroc"? e quel cinema storico, chiaramente una sala di teatro ottocentesco, dove rividi bambino, a colori, tutti i Jerry Lewis adorati pochi mesi prima a Roma sulla tv in bianco e nero? (Perché già allora non mi facevano più ridere? perché a quarant'anni, mostrandoli a mia figlia, mi fecero ridere di nuovo? E mi fecero ridere come una volta? O diversamente?) Come si chiamava? Le Ranelagh? Ma no, quello era dall'altra parte della città, all'epoca la padroneggiavo tutta, quell'immensa metropoli; poi qualche anno fa scoprii che non era affatto immensa; era piccolissima. È vero, te lo garantisco, Parigi è molto piccola, tranne il quindicesimo arrondissement che ha dimensioni variabili e infernali, ma quando feci questa scoperta, quando scoprii che il quindicesimo era infinitamente più grande di Parigi, non padroneggiavo più neppure il mio spazzolino da denti. Anche Le Dingue du palace era a colori, in quel cinema ("Les Ursulines"? macché). No, non è vero, The Bellboy l'ho scoperto con mia figlia pochi anni fa senza poterglielo spiegare, io ai bambini posso insegnare il cinema, non la lineare A.
Avrò avuto undici anni, al massimo dodici. È in quel negozietto che recuperai tutto Romero, Non aprite quella porta, The Toxic Avenger e tutto il peggiore orrore trash che puoi immaginare (ma anche Rohmer, Godard, La furia umana di Walsh, Buñuel, qualsiasi cosa mi capitasse a tiro). Mia madre mi lasciava prendere tutto, solo un film era verboten: Cane di paglia di Peckinpah. Ovviamente lo presi alla prima occasione buona, mentre lei era in viaggio.
A rue d'Assas invece c'era quel palazzo demente in mattoni rossi davanti al quale si siede il protagonista del romanzo di Houellebecq. Pochi anni dopo ci andai con Bohdan Paczowski, voleva fotografarla, non ricordo più perché. Ricordo (ma forse sbaglio) che era notte. Voleva fotografarla di notte? E perché?






sabato 11 aprile 2015

Una eternidad agradable



La casa di Lucah è in lavori perpetui.

Un flame demenziale, che arriva a 782 commenti, su Pisapia, expo e coca cola. Nel 2734 volano ancora gli stracci.

Due povere pazze litigano su uno screenshot e una foto, poi per metà del tempo i commenti di una delle due scompaiono. Poi il post ricomincia: screenshot, foto, i due casi charcotiani, scomparsa di una matta, ricomparsa, ecc.

Una battuta fulminante e originalissima si prende centinaia di like, fiottano :-D e ahah. Ogni settimana ricompare puntualmente, sempre identica, sempre massimamente esilarante, né più né meno.

Una battuta loffia scritta in lettere maiuscole e piena di errori di grammatica produce lo stesso identico effetto, seguendo il medesimo itinerario: è il pagliaccio Mariotto, simile a quei peluche che pigiavi la schiena, cigolio di ingranaggi e poi "Ciao sono l'orso Camillo e voglio bene a tutti i bambini buoni e cattivi".

A qualcuno muore un animale domestico, un non meglio definito "Ciccino". Pioggia di :-(, mi dispiace, abbraccio, :-(((, hugs, :-((. Ciccino muore una volta alla settimana, provocando infallibilmente un moto collettivo di sincero cordoglio.

Intanto Lucah mostra la cucina. Non è ancora finita, ma è comunque un bel progresso rispetto alla foto di tre giorni prima. Poi, inspiegabilmente, è di nuovo un cumulo di macerie ma Lucah altrettanto inspiegabilmente non si abbatte, per lui ricominciare da capo non è un problema, è un ragazzo pieno di buona volontà.

Di punto in bianco appare un paio di chiappe femminili eccezionalmente sode, destando l'ammirazione generale. Nel 2987 si presentano ancora perfette, la gravità non esiste più.

Per metà del tempo la home è piena di nuovi personaggi spuntati da chissà dove. Molti di essi si sono slucchettati "mercoledì".

Una roba chiamata "Baustel" vince un concorso, una volta alla settimana, per l'eternità.

Iniziano a spuntare post in cui vengono estratti "sassolini dalle scarpe". Ogni settimana, nei secoli dei secoli, rotolano a terra gli stessi identici sassolini dalle stesse identiche scarpe.

Ogni settimana, a un certo punto, Aldo "è a Catania". E ogni settimana, ma in un altro momento, Kaplan "torna da Catania". I due si incrociano senza incontrarsi mai.

Ogni cazzo di settimana Aretha Franklin compie cent'anni.

Lucah si informa su un'osteria tradizionale con ottima reputazione ma un po' fuori mano. Molti intervengono, Lucah si appunta tutti i consigli, tendenzialmente favorevoli se non entusiasti. Quattro giorni dopo ha provato personalmente e offre a tutti la sua recensione circostanziata e impeccabile. Tre giorni dopo torna impassibile a chiedere notizie.

In pratica sarebbe la gif animata più lunga della storia.

Ada nasce ogni settimana, la moglie di Jason è sempre incinta, Pancho Guerrero prende i preservativi e va e viene non parlando mai di Michelangelo.

Alcuni commentano solo le foto piccanti con fip e fap, in sostanza si masturbano compulsivamente per i secoli dei secoli senza mai riuscire a venire, altri invece rivendicano un risultato sempre raggiunto con "sborra": un disperato autoerotismo con da una parte solo le cause e dall'altra solo gli effetti.

porcaputtanalestronzate virgola (o punto) "per dire", solo che dicono porcaputtanasemprelestessestronzate una volta alla settimana, per un numero infinito di settimane, sempre virgola (o punto) "per dire".

In un thread della stanzetta dei bottoni lo scemo che dice la sua opinioncina sperando di renderla oggettiva con un "Punto." finale. La settimana dopo la ripete paro paro, sempre convinto di avere in pugno l'argomento definitivo.

Villa Manin è perennemente occupata da Patti Smith eppure a Codroipo non si registrano suicidi di massa.

Io sono condannato a indicizzare un libro senza senso imbattendomi sistematicamente in "Battistrada, Lucio 52, 60, 292, 316".

Matteo Renzi è un giovane Presidente del Consiglio per l'eternità, "piaccia o non piaccia". Mattarella Presidente della Repubblica per sempre, "poteva andare peggio". Maria Elena Boschi è "comunque bombabilissima" assolutamente. La disoccupazione crolla a picco grazie al Jobs Act o sale smentendo tutte le aspettative, tanto è uguale. Matteo Salvini usa in modo osceno, irrilevante, scorretto, pericolosissimo, monotono e scandaloso la parola "zingari" come già faceva sua nonna tutti i giorni tranne "martedì".

La cucina di Lucah è finita, ora ha addirittura un forno nuovo di zecca. Pochi minuti dopo, Lucah è costretto a mangiare dalla suocera pesce finto, riso in bianco e una mela perché nella casa nuova non c'è neppure l'elettricità, la allacciano domani prima di iniziare i lavori.

È curioso il fatto che una settimana rotatoria funzioni particolarmente bene con il Lucah quotidiano: lavoretti domestici, ristorantini, ricettine.

"Qualunque sia la settimana che passeremo insieme, sarà piacevole soltanto se non ci sentiremo costretti a occupare bene il nostro tempo." Quindi Lucah funziona meglio di altri, perché la sua avventura è costituita da microperipezie (acquisto del frigo, trattamento del parquet, verniciatura del soffitto) comuni e irrilevanti, almeno per uno spettatore esterno: non è comunque casa sua e sono eventi di importanza nettamente minore rispetto a, mettiamo, il settimanale massacro in Kenya (147 morti). Eppure, con il passare degli anni, la ripetizione produce un'entropia in cui tutto si ritrova alla medesima temperatura media, sia i traumi sia le inezie, a ovvio beneficio delle seconde. E mentre ci si abitua a quel "genocidio di palestinesi" sistematicamente annunciato in Siria che non si produce mai, nei secoli suscitano un torpido divertimento i piccoli progressi descritti dal nostro, divertimento associato al leggero disagio di vedere sistematicamente e incomprensibilmente tracollare quella narrazione simbolo dell'ascesa borghese, come in un pauperistico e ridicolo mito di Sisifo.

Poi ci sono dei punti di riferimento zen: colti in stato di atarassia dalla casuale "istantanea ebdomadaria", garantiscono un'immobile continuità. Quello che sta solo "leggendo Bagnai": tutti i giorni. Quello che retwitta phastidio e basta: tutti i giorni. Una non fa altro che strapparsi i capelli e piangere per la "chiusura di ff", un posto "molto molto" importante per lei che sta malissimo anche perché oggi ha "mal di testa". Solo che "oggi" è: tutti i giorni. Un'altra scrive solo post in cui strilla e inveisce contro "i grillini" e "gli sciichimisti", scrive "gombloddo" e "ka$ta" e nessuno le risponde, forse sta rivolgendosi a un campione di umanità non rappresentato nell'isola e di cui secoli dopo si son perse le tracce. A quel campione sembra comunque rivolgersi, tutti i giorni, una delle tante emanazioni di quelle certezze monolitiche, inossidabili, letteralmente "assolute". Da secoli gli osservatori chiamano questi strani esemplari: gli dei.

Una con un nome chiaramente falso scrive "ciao sono nuova qui che si dice?". Tre giorni dopo viene riportata una frase della stessa persona, da facebook: "La chiusura di Friendfeed mi ha fatto scoprire che un discreto numero di persone non accetta ancora l'imposizione nome/cognome di Facebook, complimenti compagni, ci sono battaglie degne di essere combattute." La continuità lascia interdetti gli studiosi. Nel 3721 si ripristina l'ordine corretto: prima il post proveniente da fb, poi l'allegra comparsa su ff. L'incartamento viene fatto slittare dal reparto metafisica a quello psichiatrico, dove sembra essersi arenato da tre secoli.

Una povera schiantata dall'italiano stentato, tale "Marilia Bubic", riceve vari commenti tanto salaci quanto inconsistenti: infatti continua a "zercare marito" sperando di ammaliare il malcapitato passante offrendogli santini di Gromyko.

Si rintracciano lacerti di una religione poco decifrabile, una religione al negativo, costruita intorno a un'immagine del Male, chiamata "marcoscud", e che (forse seguendo la particolarissima logica di un Tertulliano) non necessita di alcuna giustificazione. "marcoscud" per alcuni sembra essere il Satana indiscusso di questo universo settimanale.

martedì 31 marzo 2015

Rampini nel vuoto

Nella notte del 30 marzo 2015, durante la trasmissione "Piazza Pulita" condotta da Corrado Formigli si poteva ascoltare l'intervento di tale Severgnini, non ricordiamo su quale tema comunque di scarso interesse per gli studiosi.

 

 Pronta la risposta di Federico Rampini, all'epoca editorialista del defunto quotidiano "la Repubblica", in collegamento satellitare da New York.
Questa è una provocazione sul futuro diciamo digitale. Severgnini ha detto una cosa interessante – sì – citando crozza [impossibile ritrovare oggi il significato del lemma "crozza"], cioè, la tachipirina, no? Be', guardate che in America già adesso il primo medico di famiglia è diventato google. Nel senso che l'americano medio quando ha dei sintomi influenzali prima di tutto va sul motore di ricerca google consulta l'enciclopedie mediche e si fa l'autodiagnosi poi semmai va dallo specialista. Ora questo non è attenzione a… a non essere a non demonizzare queste innovazioni perché attraverso eh… il motore di ricerca attraverso l'accesso al sapere che ci offre internet si sono anche evitati molti errori medici. Perché…
Intervento di C. Formigli: "Allora fermiamoci qui."
F. Rampini e C. Formigli [in coro] : "… la classe medica a volte sbaglia. / Fermiamoci qui Rampini."

Pochi anni dopo, ritroviamo F. Rampini nella struttura fortificata di Edonia, ricostruita in seguito alla sanguinosa guerra civile. Rampini sta perorando, in uno spazio circolare, in gilé rosso e mutandoni ascellari. Quegli unici indumenti nonché il corpo sono ricoperti di chiazze marroni, verdastre, o di transopaco unto. Si rivolge a una platea che solo lui conosce, ripetendo gli argomenti ascoltati in quella notte dell'inizio primavera 2015: il futuro diciamo digitale, "crozza", l'enciclopedie, ecc. Gli studiosi sembrano concordi nel rimandare l'intera (auto?)rappresentazione nonché il turbinare caotico di parole e sintagmi alla "libertà d'espressione", valore abbastanza riconosciuto negli anni che precedettero il cataclisma mondiale, di cui la guerra civile in Edonia fu solo una delle periferiche e trascurabili propaggini. Molti hanno notato la strana distorsione sonora, in cui le parole di Rampini si trovano ripetute, non tanto in "loop" ma con un effetto eco: "provocazione… cazione… azione…; autodiagnosi… diagnosi… gnosi…; americano medio… nomedio… dio…".
Improvvisamente la macchina da presa, con un repentino zoom verticale all'indietro, abbandona Rampini al suo appassionato intervento rivelando più precisamente lo spazio: un gigantesco tubo di lamiera qua e là arrugginito e trasudante umidità, di diametro congruo ma non ragguardevole, culminante in una ringhiera. Attorno a quella ringhiera: i mostri.
 Non sono mostri. Sono esseri umani. Gli ultimi esemplari? Mai dire mai, la nostra, dobbiamo prenderne atto, è una lotta che durerà secoli. Seminudi, scheletrici, inzaccherati di ogni possibile lordura, si aggirano intorno al tubo-baratro e ridono orrendamente, piangono, si strappano i capelli. Primi piani fulminei, quasi subliminali: quella bocca parzialmente sdentata e i denti rimasti accusano carie devastanti eppure quella bocca è ilare, quei piedi dai quali scoppiano vesciche con effetti sonori mai registrati dagli archivi di missaggio, una mano che strizza freneticamente e senza costrutto un'appendice floscia e sgocciolante (ma di cosa?) tra due cosce assurdamente adipose e forse purulente. Molti si sporgono verso il fondo, verso l'origine di quell'oscuro richiamo: non demonizzare… monizzare… are… Alcuni di essi sporgono l'ano cosparso di emorroidi e spruzzano misere gocce di feci verso la latrina gigantesca al centro della quale si staglia l'oratore Rampini (così si spiegano le sue molte chiazze?). Non intenzionalmente, si badi (è importante): il loro corpo rachitico è continuamente scosso da convulsi accessi di tosse, dilatando lo sfintere e provocando l'involontaria espulsione.
Ma costoro stanno realmente guardando in fondo a quel fosso? Stanno ascoltando? È ancora possibile garantire un'intenzionalità in questa sarabanda di cui gli odierni ricercatori rintracciano echi iconografici di Dürer, di Charcot, di Tod Browning, di Lovecraft e del film "Alien 3" (secondo l'audace interpretazione di HGVG XII tutti gli esseri viventi della struttura edoniana sarebbero cloni di "Danny Webb")? E ancora: questo ennesimo, fastidioso ma comunque in medio termine condannato bubbone di umanità provvede al proprio sostentamento? E come? Forse ricorrendo al cannibalismo? Oppure dobbiamo prendere in considerazione l'assurda eresia di JHGYE XYV, che dietro Rampini si illude di intravedere un rettangolo di luce, a livello del suolo, dal quale – ma è solo un'illazione pseudoaccademica – verrebbe passato "del cibo" non meglio determinato, in modo tale da assicurare la preservazione del "corpo Rampini" e quindi del valore "libertà di pensiero"? Abbiamo seri motivi di dubitarne.

mercoledì 4 marzo 2015

Su "Birdman"

I bambini ci guardano; e noi esegeti, noi camarlinghi dell’estetica cinematografica,
maneggiamo camorri verbali come valido e messaggio; estendiamo, fino a non capirci più nulla,
i participiali vibrante e allucinante (rampini nel vuoto), e alimentiamo il debole pensiero con troppo comode atmosfere e suggestioni.
Leo Pestelli, Parlare italiano, Longanesi & C., Milano 1967, p. 44.
 
Non è tanto che scoprano solo ora il piano sequenza. È che scoprendolo male, senza porsi il problema di sapere cosa sia, le questioni che implica, quando è nato, come si è sviluppato e infine come è morto ECCO il punto è che lo scoprono da morto. Ricordo mesi fa una conversazione in un social network, qualcuno sosteneva che un virtuoso e lungo movimento di macchina girato al computer in non so quale produzione Marvel non fosse neppure lontanamente paragonabile, mettiamo, all'inizio de L'infernale Quinlan. E non lo è, si badi, a monte ma anche a valle (e a valle i commentatori digrignavano, lanciando "rampini nel vuoto"). Portando all'estremo quel discorso, direi che ormai il pianosequenza è un espediente kitsch, da sbruffoni maleducati, e probabilmente persino un De Palma oggi lo userebbe solo in quel senso (ma in realtà credo che lo abbia sempre fatto). Ma come, nel 2015 giri due ore e mezza senza mai tagliare e te ne vanti pure? Forse i piani sequenza che salvo sono ormai solo quelli "fantasticati in diretta" e che "in realtà" comportano un numero notevole di stacchi.




P.S.: La prima immagine della sequenza (inizia prima, ed è proprio l'inizio la parte più bella, ma purtroppo in rete non si trova intera) è un omaggio all'ultima scena di Barry Lyndon. Pochi giorni fa mi son reso conto che probabilmente in tutta l'opera di Kubrick non si trova un solo piano sequenza. Forse non era nel suo character.

giovedì 15 gennaio 2015

Same player shoots again?

"La laïcité point final."
Punto e basta. End of story.
C'est du jamais vu/C'est du déjà-vu. Un hebdomadaire (sept jours de réflexion, ça itch rien du tout?) qui se présente comme la résistance suprême aux pouvoirs, aux violences, aux pensées uniques et qui adopte la phraséologie de Tony Soprano et des polémistes les plus démunis des réseaux sociaux. Le tout pour ne rien ébrécher d'une "valeur" dont la solidité ne devrait plus être prouvée, et donc prête à affronter toute discussion avec une cargaison d'arguments relevants d'une sprezzatura universelle. Non, la laïcité-point-final est "intouchable", comme la mère de Bardamu et les vierges qui nous attendent dans l'au-delà.
C'est dément.


domenica 11 gennaio 2015

Fly me

– What in fact has been created? An international community. A perfect blueprint for world order. When the sides facing each other suddenly realize that they're looking into a mirror, they'll see that this is the pattern for the future.
– The whole world as the Village?


– That is my dream. What's yours?

mercoledì 7 gennaio 2015

Come se

Stavolta, invece di ipnotizzarvi come al solito sul momento della sigaretta o su quello della caffettiera bollente, guardate piuttosto come pazzi il modo in cui Fritz Lang inquadra durante i cinquanta secondi che precedono l’esplosione dell’automobile, la scena in cui Glenn Ford e sua moglie dicono buonanotte alla figlia, quella piccola correzione d’inquadratura, sembra che serva ad avvicinarsi a Glenn Ford, non sappiamo che serve ad avvicinarsi alla finestra oscura, è come se Lang ci dicesse che avremmo potuto prevedere, ma che non prevediamo mai. È terribile.
Jean-Patrick Manchette a proposito del Grande caldo (Fritz Lang, 1953), "Charlie Hebdo", n° 483, 13 febbraio 1980.

domenica 4 gennaio 2015

L'ultimo gioco in città

I – THE WIND DOESN'T BLOW

Chi non muore si rivede, come dice un vecchio proverbio haitiano. Tra i motivi dell'interruzione del quiz più in-famous della storia, la legge secondo la quale nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto è googlabile. Immagini e suoni vengono analizzati e subito riconosciuti dalla rete: imitati, duplicati e replicati in varie forme, assimilabili a nuove immagini, a nuovi suoni, della stessa opera. È il trionfo dell'altro e dello stesso. All'ossessione comune di una Deneuve moltiplicata sulla catena di montaggio di pacchetti di sigarette non resta che rispondere con il sublime feticismo di questi assurdi occhiali infiocchettati di rosa confetto. Una cozza, su questo non discuto, ma almeno unica, in un film senza donna. Se riconosci dove appare, ella sarà tua.
Aggiornamento 05/01/2015. Ice walk with me.
Aggiornamento 06/01/2015. Barbed wire and women are the two greatest civilising agents in the world!
Aggiornamento 06/01/2015. Let's have a game, a little lovely game of Roman ping pong – like two civilized senators. Roman ping… You're supposed to say roman pong.

https://picasaweb.google.com/lh/photo/141FMPfHHIrNYMUfxNhNuRThw7QbEpop4Blw07ajo60?feat=directlink



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