Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di F.W. Murnau.
sabato 29 novembre 2008
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Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di F.W. Murnau.
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8 commenti:
Un "taglio" molto suggestivo. Ha qualcosa dei tragici greci e nello stesso un sapore infantile.
Bianca
Faceva impazzire i surrealisti francesi, e io lo ricordavo diversamente (forse un'altra copia del film, che non possiedo): "Dès qu'il eut franchi le pont, les fantômes vinrent à sa rencontre". Ironia vuole che la didascalia originale tedesca sia meno bella.
P.S.: Però è vero che il Jonathan Harker (nel film si chiama Hutter) di Murnau ha un che di bamboccione: sempre a ridere come uno scemo, per tutta la prima parte.
Grazie Alt. Io mi riferivo anche solo alla forza dell'immagine contenuta nella tua citazione: la hýbris di chi osa "dépassér le pont", e la conseguente némesis, la vendetta degli dei, o l'ira, inflitta attraverso la paura. Ma i fantasmi evocano anche un incubo che ha il sapore dell'infanzia, talmente era comune a tutti i bambini. E comunque a me spaventava più Belfagor il fantasma del Louvre che Nosferatu (sarò stata una bambina surrealista?)
Bianca
No, è che "Nosferatu" fa paura più ai grandi che ai bambini, secondo me. Io lo trovo assolutamente glaciale, per anni ho detto che era il film più pessimista della storia del cinema assieme a "La grande abbuffata" e a "Full Meta Jacket". Poi ho smesso di credere sia a categorie quali il pessimismo sia all'esistenza (o perlomeno all'interesse) di qualcosa che possa esser definito "storia del cinema". E quindi non lo dico più.
Credo di poter condividere la diffidenza verso le categorie. Magari ne hai parlato altre volte anche in queto blog, non lo so... ma a proposito di "storia del cinema", se mi permetti, colgo la palla al balzo per dirti che ho trovato chiarissimo l' “Alt pensiero” in una delle schede che hai redatto per l’Enciclopedia Treccani, quando, tematizzando su "Pulp fiction", scrivi: «Tarantino ha appreso la storia del cinema dentro il videoclub che gestiva con gli amici, e nel caos dei VHS ha ricostruito gerarchie private, allegre coerenze, accostamenti singolari ma mai incongrui. In tal senso, il suo film è l’esempio più felice della mutazione antropologica che segna la fine del cinefilo e l’avvento del cinefago […]: da Hawks a De Palma, da Melville a Fuller, da Scorsese a Cimino, da Godard a Leone, da Woo a Besson, da Aldrich a Warhol, dal cinema di kung fu alla soap opera, dai cartoni animati alla pubblicità, dai fumetti al trash […]. Non sapremo mai cosa contenga la valigetta di Marsellus; quel che conta è che dentro ci sia il cinema, ossia — rubando l’espressione a Douglas Sirk — lacrime e velocità».
Bianca
Be', una cosa è certa: Tarantino non è un bluff. Le righe che citi si trovano anche in un mio vecchio articolo per un quotidiano, dove volevo parlare appunto della cinefagia e temo di aver dato piuttosto l'impressione di quello che arrivato al XXI secolo scopre l'esistenza del post-moderno. Oltretutto più tardi mi sono accorto che la frase su "lacrime e velocità" Sirk non l'ha mai detta. È il titolo di un testo di Godard, pubblicato nel numero di aprile 1959 sui "Cahiers" e dedicato a "Tempo di vivere". Su Sirk invece John Patrick Headline scrisse come suo solito parole definitive:
"Si potrebbero scrivere pagine e pagine su quel che Douglas Sirk fa con l’immagine, nell’immagine, semplicemente perché Sirk, che non è un regista di primissimo piano, sa tuttavia che l’immagine si fabbrica, il cinema si fa, e non consiste nel registrare la natura, ma nel rendere le idee visibili."
Bè, il cinema che si "fa" credo sia quello che più amiamo, come anche la letteratura, dove pure cerchiamo delle idee. Nel senso ovvio che quel fare è, continua a essere poiein, riferito all'abilità del poeta, alle sue doti di facitore, costruttore, creatore, anche quando è dietro la macchina da presa. Però l'idea di "fabbrica", al giorno d'oggi, mi sembra interessante
Bianca
A proposito di fabbriche temo di aver rubato un'idea proprio a Manchette, in un vecchio post in cui parlavo di Cimino. Mettendo "Il cacciatore" nella sua top ten del '79, scriveva infatti: "[…] souvent très satisfaisant plastiquement, et qui traitait de questions de la première importance: pourquoi les ouvriers acceptent-ils d'aller à la guerre? Et qu'est-ce que ça leur fait? En face de ces questions, l'agacement de quelques spectateurs de gauche, qui se plaignaient que Cimino eût caricaturé les militaires de l'autre bord, est ridicule.
Avec tous ses fastes technologiques, pécuniers et saignants, c'est Apocalypse Now qui est un supplément à The Deer Hunter, et non l'inverse, parce que Cimino pose les questions centrales, quand Coppola disserte (sur l'instinct de mort d'une société, d'un mode de production, et finalement de l'espèce) sans poser de questions."
Poi posso non essere d'accordo su "Apocalypse Now" ma il discorso di Manchette resta acutissimo. E il sospetto che NON abbia visto nessuno dei due film di cui parla mi dà una lieve vertigine.
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