lunedì 5 gennaio 2009

C'est vraiment Deguello

Alla fin fine la storia di un uomo è un po’ noiosa;
la storia di un’amicizia offre scene migliori.
Howard Hawks intervistato da Joseph Mc Bride
in Hawks on Hawks (University of California Press, 1982).


Un dollaro d'onore è pura alchimia. Anni fa, rivedendolo capii perché alcuni sostengono che John Wayne è un grande attore (su Walter Brennan e "Dude" Dean Martin già da tempo non nutrivo dubbi). Lo sanno anche i topi, ma è bene ripeterlo: è un western senza frontiera né cavalli, senza fiumi né ferrovie, senza mucche né piantagioni. Solo i segni essenziali: il dettaglio di uno sperone, due tre colpi di pistola, la stella dello sceriffo e una diligenza appena menzionata. Un’azione sostanzialmente ridotta a due luoghi: il carcere e la stanza d'albergo, con alcuni personaggi che fanno la spola. Hawks ha l'America a disposizione, e sceglie due camerette. Dentro, ci mette la vita. Tutta la vita. Più che una gabbia, è un'ideale bilancia dove ogni evento, azione, passione, sesso, età, dolore, canzoni, nostalgia, commedia, dramma ha il suo esatto peso specifico. E nessuna urgenza o necessità da colt o winchester può mai permettersi di frenare completamente il movimento legittimo di ogni essere umano, fino al singolo, gaudente atomo epicureo. In una sorta di logica d'acciaio (o di aurea verosimiglianza, se preferisci), tutto ha diritto d'esistere nel Kammerspiel hawksiano, tranne la morte. Roba da perdere la testa.



“Sei tu, Howard? Credevo te ne fossi andato” disse Ford, aspirando il sigaro.
“Son tornato a dirti arrivederci, Jack.”
“Arrivederci, Howard.”
Hawks stava per uscire dalla stanza quando venne richiamato da Ford: “Howard”.
“Sì, Jack?”
“Volevo dire veramente arrivederci.”
“Veramente arrivederci, Jack?”
“Veramente.”
Si strinsero la mano e Hawks si allontanò.
Tre giorni prima di morire, John Ford dice arrivederci all'amico Howard Hawks.
Lo racconta Peter Bogdanovich nel libro Il cinema secondo John Ford (Pratiche).

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