lunedì 20 ottobre 2008

3 X 3: Saul, Bernard, Alfred.

Per me è un po' un'epifania: il leone su quell'insolito sfondo verdastro, il ruggito già coperto da un minaccioso rullo di tamburi, quella pioggia incrociata di verticali e diagonali, a simulare una misteriosa geometria della condizione umana, piuttosto uno schema di parole incrociate dove si incasellano i titoli di testa, anzi la facciata di un grattacielo. Avevo 12-13 anni, e forse il film rimase incastonato nella mia memoria perché quella sera mi ci portò mia madre (una sala dei "7 parnassiens"), l'indomani dovevo andare in colonia per un mese, e stavolta non c'era niente da fare, ero spacciato, come provavano le etichette col mio nome inesorabilmente cucite sui miei vestiti. Credevo che questo sarebbe stato l'ultimo film che avrei visto in vita mia, e probabilmente era vero (ma anche no).






Banalità in corpo minore. Qui si assiste a un doppio e incrociato movimento. Da una parte, Hitchcock realizza tre film e chiede ai complici Saul Bass e Bernard Herrmann di comporre titoli e musiche all'altezza dell'opera; dall'altra, lo spettatore assiste a una promessa fatta di sublimi astrazioni — suoni e figure geometrici — che Hitchcock dovrà mantenere, dandole corpo. L'operazione riesce, e si ottengono non tre capolavori, bensì tre manifestazioni divine (grazie alla trinità artigianale). Oggi forse succede ancora, ma di certo è alquanto raro.

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