martedì 13 luglio 2021

Benaltrismo

È un termine che a metà anni Ottanta fu introdotto principalmente da firme de "la Repubblica", quindi da un'area che all'epoca era identificata a torto o a ragione come "di sinistra": per esempio di fronte a un'impennata vera o presunta della criminalità o microcriminalità nel territorio, la sinistra rispondeva chiedendo più stato sociale, più istruzione, più prevenzione, più rieducazione, più riabilitazione. Questo secondo "la Repubblica" e "l'Espresso" era: "benaltrismo". Bisognava invece ascoltare la sofferenza della popolazione per bene, tutta la retorica delle vittime che meritavano riconoscimento e risarcimento (è ironico che allo stato attuale della riforma Cartabia pur lodata da tutti, si può per quelle vittime azzardare un "risarcimento mai", e l'azzardo non suoni più esagerato della precedente riforma Buonafede, dove il "mai" si sprecò senza scrupolo alcuno per il "fine pena"). Ascoltare il dolore del popolo (all'epoca si chiedeva alla sinistra di diventare populista, anche se non si usava quel termine) significava: inasprire le pene, aumentare la spesa pubblica dedicata alle forze di polizia, eventualmente costruire nuove carceri (ma quest'ultimo punto era secondario). Il termine "benaltrismo" era molto amato da un Giampaolo Pansa, per ricordare un nome noto a tutti e identificato da molti come espressione della destra, ma solo perché molti non sono abbastanza vecchi per ricordare che Pansa era all'epoca convenzionalmente collocato a sinistra. All'epoca presso le elites, che erano principalmente state formate a sinistra, c'era un piano, precisissimo, per svuotare la sinistra e quindi in particolare il PCI (e naturalmente il piano era anche svolto all'interno stesso del PCI) di qualsivoglia "struttura": per, letteralmente, smidollarlo. In molti erano convinti che questo fosse indispensabile per imboccare la strada del "progresso" e delle "riforme": e infatti proprio in quegli anni si comincia a vedere e a vendere una nuova sinistra, già quasi un centrosinistra, "riformista" e "progressista". Molti la pensavano davvero così, presumo: e del resto il mitterrandiano "tournant de la rigueur" era del marzo 1983 e chiudeva bruscamente la storia del Ventesimo secolo: e infatti molti si convinsero che stesse finendo la Storia tout court. E per alcuni era, puramente e semplicemente, il Piano di Rinascita Democratica della loggia denominata "P2".
Di questi piani il termine "benaltrismo" fu chiave di volta.
Sorprende, e offende, che parlando per esempio della legge Zan e più estesamente delle questioni cosiddette di genere, il termine sia sprecato, abusato e alla fine lasciato alla mercé di logorroiche mani di personaggi poco seri presentati come "linguisti" e che della lingua, delle parole, non conoscono minimamente la storia e di conseguenza il senso (e il tono, e il registro, e tutto quello che fa di una parola un mondo, quasi "una cosa"). (Ma del resto sono mesi che ci presentano un banchiere come la persona più competente per governare uno Stato repubblicano.)
L'obiezione più onesta all'odierna accusa di benaltrismo è la seguente: la mente umana è in grado di occuparsi contemporaneamente di più cose allo stesso tempo, tutte importanti, tutte persino cruciali, e persino di importanza diversa. Ovviamente non è così, ma vogliamo credere che lo sia. Il multitasking va bene se si parla di fornelli o stampanti; la mente umana fa cose più serie, ma non tutte insieme, o quasi mai.
Stasera Alessandro Zan lo ha esplicitamente e neanche troppo tortuosamente riconosciuto in quell'inqualificabile trasmissione estiva de la7 interamente dominata da Concita de Gregorio: la sua legge rischia seriamente di venir discussa a settembre, è un peccato, ammette, perché se fosse accettata (come auspico anch'io) così com'è si potrebbe finalmente discutere di altre questioni ben più importanti (come considero anch'io), mentre questo non avverrà perché l'estrema destra lo impedisce con infiniti emendamenti, invocando paradossalmente, ma purtroppo logicamente, purtroppo inevitabilmente, il "benaltrismo".

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