lunedì 15 settembre 2008

Orson Welles — Un fogliettone

VII
1955-1958: CONTRO TUTTI

Nel 1955 Welles iniziò a lavorare su un adattamento di Don Chisciotte, ambientato nel presente. Cercherà di portare avanti il progetto per oltre quindici anni, girando il mondo con la sua macchina da presa e impressionando pellicola ogni volta che le circostanze — tempo, denaro, attori — lo permettevano. Non riuscì mai a terminarlo: il film, che ironicamente Welles ribattezzò When are you going to finish Don Quixote? (“Quando finirete il Don Chisciotte?”) rimarrà incompiuto, e il materiale raccolto, variamente montato da altri, circolerà qua e là nei festival. È in assoluto il suo più celebre progetto irrealizzato, la cui lista immensa comprende il thriller The Deep (da un romanzo di Charles Williams che verrà portato sullo schermo da Philip Noyce, Ore 10: calma piatta, 1989), l’adattamento del racconto di Karen Blixen The Dreamers e The Other Side of the Wind, satira del mondo hollywoodiano con John Huston (nella foto) nei panni di un anziano regista, che Welles continuerà a girare e montare fino alla morte, aiutato dalla compagna Oja Kodar e dai registi Gary Graver e Peter Bogdanovich.

Alla fine dell'anno, Welles tornò negli Stati Uniti per allestire il Re Lear, annunciato in pompa magna dal sindaco di New York in persona. La settimana prima del debutto, si ruppe una gamba. La sera della prima, zoppicante, si ruppe l’altra. Ma rispettò l’impegno e le rappresentazioni proseguirono, con Welles-Lear su un trono a rotelle. Quindi riallacciò i rapporti con Hollywood, recitando in film minori dove dondolava, gigione olimpico, la sua sempre crescente corpulenza, dicendo le battute a tutta velocità per poter tornare al più presto ai suoi molteplici progetti.
Il 26 dicembre 1956, la Universal contattò l’attore Charlton Heston per chiedergli di recitare con Welles nell’adattamento di un giallo di Whit Masterson, Badge of Evil. Heston rispose che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di lavorare sotto la direzione del regista di Quarto potere. In realtà i produttori pensavano a Welles solo in quanto attore, ma era troppo tardi per chiarire il malinteso: Heston aveva appena interpretato Mosé nei Dieci comandamenti, ed era meglio non contraddire un uomo in grado di separare le acque del Mar Rosso. Convinto di essere agli inizi di una nuova carriera, Welles riscrisse in cinque giorni la sceneggiatura di Paul Monash, e in poco più di un mese terminò le riprese del film. Dopo due mesi di moviola, L'infernale Quinlan (Touch of Evil) era pronto. I produttori si aspettavano un normale poliziesco di serie B, e non erano preparati alla stralunata violenza visiva del film. Nominarono un nuovo montatore, vietando a Welles l’accesso alla moviola, fecero girare da Harry Keller scene aggiuntive fuori tono, imposero i titoli di testa sulla scena iniziale, passata alla storia come uno dei più straordinari piani sequenza mai realizzati. Il film uscì tagliato di una ventina di minuti; nel 1976 fu ripresentato in una versione più lunga, che nella sostanza si limitava ad aggiungere brutte inquadrature non girate da Welles. Fortunatamente il regista aveva scritto un disperato “memo” dove il suo montaggio era scrupolosamente dettagliato. Sulla base di tale documento, il montatore Walter Murch e il critico Jonathan Rosenbaum procedettero nel 1998 a una nuova edizione del film.



Collaboratore del Ministero della Giustizia messicana, Mike Vargas (Charlton Heston) è in viaggio di nozze con la moglie Susie (Janet Leigh) quando improvvisamente, a Los Robles, cittadina di frontiera con gli Stati Uniti, l’automobile del potente Linnekar esplode davanti ai suoi occhi. Vargas si trova così coinvolto nelle indagini, dirette dall’ispettore Hank Quinlan.(Orson Welles). Stimato da tutta la comunità, Quinlan ritiene che l’efficacia dei risultati vada ottenuta a scapito del rispetto della legge. Con metodi poco ortodossi, Quinlan arresta il giovane Sanchez, membro di una gang locale diretta da “Zio” Grandi (Akim Tamiroff), per l’omicidio di Linnekar. Fermamente convinto della supremazia del diritto, Vargas inizia a dubitare dell’integrità dell’ispettore, e sfugge per un pelo a un attentato. Quando la sua reputazione viene macchiata dal sospetto, Quinlan perde le staffe, e dopo aver fatto violentare e drogare la moglie di Vargas, in un raptus strangola Grandi e arresta Susan per l’omicidio. Vargas riuscirà a smascherare l’ispettore, ma affinché la legge trionfi dovrà scendere a patti con la propria morale. E, Quinlan morto, si scoprirà che il colpevole dell’omicidio di Linnekar era proprio Sanchez.



Nell'Infernale Quinlan Welles offre una delle sue più riuscite prove d’attore: trasudante grasso da tutti i pori, Quinlan è un ispettore psicopatico, razzista, brutale, corrotto e omicida, che regna indisturbato su una cittadina di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti. Un essere diabolico, che in nome della giustizia è pronto a fabbricare prove per incastrare i colpevoli, da lui riconosciuti grazie a un intuito tanto infallibile quanto moralmente osceno. Convinto che lo stato di diritto debba sempre prevalere sull’arbitrio, il regista Welles non ha tentennamenti nel tratteggiare la figura di un mostro; ma come attore, è tenuto a farsi l’avvocato di Quinlan, che un tempo era stato un poliziotto esemplare, onesto e coraggioso. Una contraddizione che fa dell'Infernale Quinlan un’insuperabile riflessione cinematografica sul Bene e il Male, con un ritmo incalzante ottenuto grazie a un alternarsi di lunghi piani sequenza e brevissime inquadrature, lampi di immagini violente e contrastatissime dovute al fotografo Russell Metty. Accompagnato dal rock latino di Henry Mancini, Quinlan attraversa il film come un bolide impazzito, facendo tremare con la sua mole gigantesca bodegas che spacciano droga e tequila, commissariati da dittatura sudamericana, squallide stanze d’albergo, vicoli oscuri e strade immerse nel sole abbacinante del deserto, succhiando caramelle e vomitando fiele, livore e odio contro tutti (è il titolo italiano del romanzo di Masterson). Finirà abbattuto dal suo migliore amico e collega in una lurida pozzanghera, mentre non lontano risuona la pianola meccanica della chiromante zingara la cui maschera di cera nasconde un’irriconoscibile Marlene Dietrich, con la sigaretta perennemente pencolante dalle labbra sporche di rossetto. E guardando Quinlan riverso nel fango — ossia l’amico Welles, che vent’anni prima si divertiva, da esperto illusionista, a segarla in due per il divertimento dei G.I. —, sarà proprio la Dietrich a chiudere il film, con una formula definitivamente ambigua: “He was some kind of a man”. L'infernale Quinlan non è un film poliziesco; è un’allucinazione morale.



(CONTINUA...)

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