martedì 27 dicembre 2011

BB

“Ogni mattina per guadagnarmi la pagnotta mi reco al mercato delle menzogne e pieno di speranze mi metto a fianco dei venditori.”


“ho registrato questa frase di Brecht
e ho chiesto a Fritz Lang
di dirla a Brigitte Bardot
e ho chiamato il film
il disprezzo”

sabato 12 novembre 2011

Sabato 12 novembre 2011, 21h41

domenica 6 novembre 2011

Un risveglio 5

"Concludo con le parole del nostro Inno nazionale:
Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta."
Eugenio Scalfari, "la Repubblica", 6 novembre 2011.


sabato 5 novembre 2011

It's the Berlusconi's mind

Deludo i nostalgici della prima Repubblica, non me ne vado.
Continuo la battaglia.



lunedì 17 ottobre 2011

Uno, nessuno, Lavitola


Il fatto è che non si riesce a capire se e quanto sia influente, questo Lavitola. Le intercettazioni audio rispettano sempre lo stesso, stranissimo e straniante copione: quello telefona, accenna un "buonasera presi…" e va SUBITO al dunque: "Sa, per quella cosa…". La voce dell'altro sembra sempre provenire dall'oltretomba: rantola, è chiaro che è stato svegliato dallo squillo. Altro che nottate da sballo, piuttosto quei centenari che ormai sonnecchiano 22 ore su 24. Lavitola parla e lui mugugna, sembra più infastidito che altro. Niente, al telefono non si riesce a cavargli nulla. E quindi: "Senta, quando ci vediamo". E l'altro, chissà perché improvvisamente prontissimo (tanto non ha niente da fare, non deve mica consultare l'agendina, non fa mica il Presidente del Consiglio): VENERDÌ. Un fantomatico venerdì, lui venerdì è sempre libero, tanto c'è sempre un venerdì (e viene sempre dopo giovedì, che arriva sempre all'improvviso, come diceva Holly Golightly). Poi parte il disco, sempre uguale, sempre senza alcun rapporto con le richieste di Lavitola: i magistrati, repubblica, la rivoluzione, io sono stufo, conta un cazzo. Lavitola lo lascia blaterare, poi torna a bomba, ossia a bresaola: notare che quando tira fuori gli insaccati non si capisce mai se si stia appellando a grasse metafore massoniche o se si illuda di parlare in codice. Tutto sempre al telefono, ovviamente, quando persino i "goodfellas" scorsesiani (ossia mezze calzette, manovalanza di Paul Sorvino o Tony Soprano, mica Corleone e Clemenza) sanno che in certe circostanze si addice il sussurro nell'orecchio, e finanche la mano, a coprire il labiale nel retrobottega, con i camion che arrivano proprio giovedì, pieni di pellicce surgelate, anche d'estate. E infine la chiusura brusca, anche un tantino irrispettosa, ammonitrice: "Presidente, lei si limiti a fare ciò per cui ci paga e rompa meno il cazzo". Il tutto è imprendibile: quanto Lavitola influenzi Berlusconi, Lavitola di cui fino a ieri non sapevamo nulla e ora si scopre che era il direttore dell'"Avanti!", ah, esiste ancora l'"Avanti!", sì, esiste, ma forse non è l'"Avanti!", bisogna fare un passo indietro, in avanti, per capire che l'"Avanti!" non è quell'"Avanti!" là, è un altro "Avanti!", ci sono due "Avanti!" ma un solo Lavitola (forse), pieno di soldi, indebitato fino al collo, l'uomo che nell'ombra ha tramato e controllato l'Italia, forse il mondo o almeno Pomezia, un disgraziato povero in canna, un accattone, un genio, anzi la protesi della sua stessa minchia, che vuol fare affari, piazzare titoli merci persone appalti ombrelloni salumi (e pesci! tonnellate di pesci), tutto sempre di nascosto, ma solo per finire in tv intervistato da Mentana e Travaglio, tutto alla luce del sole nell'ombra, telefona così lo beccano, magari il prossimo ferragosto va in turné con Manila Gorio, un giro di conferenze sulla massoneria vitto e alloggio tutto compreso, poi garrota la cuginetta in uno scantinato, felice e contento si fa un dieci anni in galera e quando esce si autocondanna all'ascesi mistica in una sperdutissima isoletta dei famosi. Più o meno. Che tanto lui non conta un cazzo: è un signor nessuno, come tutti.

venerdì 14 ottobre 2011

Punto di fuga


Sì, lo so che è la seconda volta che ti mostro questa scena. Ma sono due minuti di ripasso che levati: un piano sequenza di perfetta semplicità, almeno in apparenza. Panoramica di 90°, poi mdp inchiodata a guardare il lungomare della versiliana, con profondità di campo infinita e punto di fuga prospettico centrale, a perdita d'occhio (anche nel senso del "Boom", con lo stesso attore). Eyes Wide Shut con ottusa ostinazione, nella luce "tra cane e lupo" del crepuscolo. (Non so chi fosse Leonida Barboni, ma di certo non è mio suocero.) Intenso sviluppo economico e sociale promesso a tutti da un Paese sul punto di diventare Terra di Nessuno, mostruoso circolo vizioso la cui circonferenza non è da nessuna parte e il centro in una località che si chiama Ronchi Poveromo (manco a farlo apposta). Pasolini e Antonioni forse in segreto se la sognavano, una scena così. (Il secondo credo che lo dichiarò apertamente.) Come sfondo sonoro, una gran bella canzone in oscena versione "melodia d'ascensore", aspettando di sentirla risuonare nelle grandi Stande di Milanodue a uso e consumo di zombi leghisti. La mdp copre uno spazio infinito, come dicevo, ma in realtà non si allontana mai dal perno (l'uscita del locale). In attesa di buttarlo in faccia a qualcuno, all'epoca un treppiede serviva ancora a quello: far credere allo spettatore che Piove sia musica di commento, mentre è ancora, è sempre e solo musica di scena. (E infatti Modugno era cliente abitudinario dell'"Oliviero" di Comparini, topos cinematografico per eccellenza.) Il carrello non è sempre necessario, a volte anche una piccolissima panoramica può essere una questione morale.

In mezzo all'inquadratura, gesticola il più grande attore di tutti i tempi. Si vede solo lui, anche quando ormai è un puntino che corre in lontananza: non come nei finali di Charlot, dove lui si allontana con fiduciosa sprezzatura. No, lui qui sta scappando: è lui, il punto di fuga.
Un minuto e quaranta di cinema puro.
Notare che per quasi tutto il tempo dà le spalle allo spettatore. Un interprete fuori classe si riconosce dal fatto che recita anche di spalle (in Toro scatenato è così per quasi tutta la scena, quando lui chiede a Joe Pesci "Iufacmaiuaif?"). Dice: "Ahio. Me so' fatto male. A 'a mano". Il resto è danza, grazia terminale di uno sbronzo elegantissimo, metronomo naturale, a bello e apposta: cravatta a pois annodata alla brutt'e peggio, camicia bianca sgualcita e mezza fuori dai calzoni neri (sbraco millimetrato), giacchetta agitata in una tauromachia che Hemingway, Leiris e Manolete non siete nessuno, e mocassini pronti a inciampare in un ultimo inaudito tip o tap di claquettes (lui iniziò imitando Fred Astaire, infatti).
Quello stendersi in mezzo all'autostrada, tra un Anno Karenino di Frosinone e il vago ricordo di griffithiane donzelle in distress legate alle rotaie del cinema delle origini, per poi rialzarsi subito dopo, in un sussulto pupazzesco. Non tanto perché la vita, sebbene difficile, meriti di essere vissuta, ma quando mai: no, solo perché c'è ancora (sempre) una spider (o una Seicento, o un bus di turisti) su cui scatarrare. Il suicidio può aspettare: intanto ammazziamo gli altri.
Sospetto l'improvvisazione del genio, nell'evidenza di quell'Hitler sputacchiato ai tedeschi.
Magari ce lo meritassimo ancora, Alberto Sordi.

sabato 8 ottobre 2011

"Non siamo carbonari né pugnalatori alle spalle"

Ma sai che invece, magari con la scusa dell'insediamento al Quirinale, certi classici dell'import/export made in Italy potrebbero fare la loro porca figura?
Poi non so, capace che hai ragione tu, Scajola. Forse è meglio dar prova di coerenza: chi di spada ferisce eccetera.

mercoledì 5 ottobre 2011

Dacci un taglio

— Oggi qui c’è molta confusione. È seccante perdere le cose.
— Perdere dati?
— Tutto il Duecento. Abbiamo perso molti computer di tipo convenzionale. Qui è tutto uno spostar cose, un “riorganizzare”, ma stavolta è tutta colpa di ZERO, la più grande banca dati del mondo. Be’, peccato: povero piccolo Duecento… Non è un granché come secolo, solo Dante e qualche Papa corrotto, ma è così perturbante, così fastidioso…
Un bibliotecario (Ralph Richardson) e Jonathan E. (James Caan) in Rollerball (Norman Jewison, 1975).

mercoledì 21 settembre 2011

Telefott

La culona è inchiavabile, crucca e cozza.
E io ho barzellette da riferire
e mille intercettazioni da bloccare prima di cantare.
Mille intercettazioni da bloccare prima di cantare.







lunedì 19 settembre 2011

Spighalatura

Alcuni ricercatori hanno scoperto che la prima registrazione della voce umana non venne effettuata da Edison mediante il suo fonografo nel 1877, come si credeva, bensì venti anni prima dal francese Edouard-Léon Scott de Martinville, con un apparecchio da lui inventato, chiamato fonoautografo: questo tramutava i suoni in un tracciato grafico su carta, senza però essere in grado di riprodurli successivamente. Solo di recente, convertendo un tracciato del fonoautografo in un formato digitale riproducibile da computer, si è finalmente potuto riascoltare la voce d'un uomo (forse lo stesso Scott de Martinville) che nel lontano 1860 aveva intonato la canzone popolare Au clair de la lune: è questa la più vecchia registrazione della voce umana mai sentita sino a ora.
“Spigolatura” n° 61961 de “La settimana enigmistica”, n° 4144, 27 agosto 2011, p. 12.


sabato 17 settembre 2011

"Noi non siamo alti"

Benissimo, non allargherei molto, porterei una, due, tre ragazze da parte mia. Poi facciamo venire i cantanti che sono tutti bravi, le due cantanti cubane, la Gemma, un'altra cantante, non lo so che cosa dici se chiamiamo anche Rossella che c'ha una ragazza che canta in Vaticano molto brava? È anche molto simpatica e magari invitiamo anche Fabrizio Del Noce il direttore della fiction della Reteuno della Rai... Così le ragazze sentono che c'è qualcuno che ha il potere di farle lavorare.


giovedì 15 settembre 2011

Some are born to sweet delight, Some are born to endless night



- Certo che Repubblica poteva fare Di Meglio.
- Te ne sei accorto tu?
- Sì. Mi sono detto: si è fatto pure la Paradis. Stavolta Jack Sparrow s'incazza.
- Guglare come se non ci fosse un domani.
- Bel titolo per un post.
- Lo facciamo?
- No.

lunedì 5 settembre 2011

Habemus papam: la mia recensione!


Sfidando accidia e contingenze varie, ieri notte son riuscito a trovare due ore per vederlo.
Mi astengo dal giudicare la prestazione di Piccoli: la sua presenza si riduce a due brevi comparsate, che poi sono quelle che han visto tutti nel trailer: all'inizio con Stuhr e alla fine con Moretti psicoanalista.
L'ho visto in uno stato d'intorpidimento, ma almeno ho capito che è su Nanni Moretti che gira un film, a volte rivolgendosi direttamente al pubblico. E ci sono almeno tre scene che non dimenticherò.
La prima è quando Moretti torna su Ecce Bombo e dice che in una scena del film c'era un personaggio "invisibile", nel senso che era fuori campo ma non avrebbe dovuto esserlo. Mi scuso se sono impreciso, ma non ricordo bene, non ho il film sotto mano e quindi non posso verificare. Forse più che "invisibile" dice "controcampo". Perché aggiunge che quella persona era il controcampo "anche simbolico" (?) di quella scena. Come a dire il suo segreto significato? O il suo significato oscuro? Fatto sta che al montaggio era stato lasciato "invisibile". Perché "non era compatibile con quel genere di film".
Più tardi si gira una scena, e dato che Moretti fa anche l'attore, dietro la mdp c'è una, tipo l'assistente, che prima di dire "motore" ascolta le direttive di Moretti prendendo (o consultando) appunti. (O forse ha in mano la sceneggiatura, non è chiaro ma non importa.) Quindi lui si mette a correre, scavalca un muretto, scende delle ripide gradinate di pietra, trotterellando e rischiando quasi di investire una coppia di turisti. E lì si capisce che il tutto è in candid camera, perché è chiaro che quei turisti non sono comparse. Infatti mi son persino preoccupato per loro e anche un po' indignato (esagero: diciamo che ho provato un lieve senso di disagio), pensando ai pericoli che il cinema fa irresponsabilmente correre alla realtà fisica. Insomma, mi sono preoccupato per quella coppietta, per l'incolumità di creature comunque e sempre inermi nonché ignare e quasi sicuramente incolpevoli, la cui messa a repentaglio non trova giustificazione alcuna, mai, neppure in nome dell'arte. (Solo ora, mentre scrivo, vedo Gassman, una vecchia, e una piscina: però in bianco e nero.) Ma lì arriva il doppio colpo di genio di Moretti. Prima l'omaggio ai primordi del cinema, al burlesque: lui che arrivato alla fine delle scale si spatascia sul marmo; quindi, la poesia: l'intontito volto post-keatoniano che si alza e la mdp, partendo da e seguendo lo sguardo sobriamente sofferto, a inquadrare in panoramica-soggettiva, prima il biondo Tevere, e poi, come un'epifania, Castel Sant'Angelo.
La terza sequenza è memorabile per motivi strettamente personali (nevrotici). Ero con la mente altrove, e improvvisamente mi sono accorto che una voce femminile (non ricordo neppure le immagini, per dire) cantava qualcosa, forse una ninna nanna incomprensibile. Fonemi in libertà, ecolalie: non ci capivo più nulla. Pensando che il suono fosse troppo basso ho agguantato il telecomando, e appena prima di premere il pulsante + del volume il sangue mi si è raggelato nelle vene e mi sono guardato attorno. La sala in cui mi trovavo faceva pensare al cinema itinerante dello Spirito dell'alveare: un'aula scolastica, o piuttosto un seminterrato, seggiole di vimini portate da casa, sei-sette spettatori al massimo, neppure una donna, tutti con volti scavati dalle rughe, bruciati dal sole, terrosi, appunto spagnoli (pastori abruzzesi? no, questo l'ho pensato dopo). E se col telecomando avessi sbagliato, cambiato canale, spento lo schermo? O anche solo modificato alcunché nell'immagine o nel suono, senza neppure chiedere il permesso? Gli altri se la sarebbero presa? E come? Cosa mi sarebbe successo? Manco a farlo apposta, mi accorsi che mentre me ne stavo impalato, esitante, col telecomando in mano, uno spettatore si voltava: e mi fissava dritto negli occhi, truce. (E qui, più che Victor Erice, per darti un'idea dovrei citarti i "ganados" di Resident Evil 4, ma in quel momento confesso di non averci pensato.) Credo di aver poggiato tremante il telecomando. O forse ho sfiorato un tasto e sullo schermo è apparso per un attimo, verdognolo, onta e terrore imperituri, il "menù". A quel punto, inutile dire che il senso della canzone era diventato l'ultimo dei miei crucci. Ho colto solo una parola (ammesso che non me la sia sognata): "cevàpcici". A quel punto mi sono accorto che la ragazza alla mia destra – quindi in sala c'è una ragazza, in fin dei conti / la mia vicina di seggiola / la conosco, eccome / sono andato al cinema con lei – aveva gli occhi gonfi. Piangeva. Diceva: "Quella canzone. Mia nonna me la cantava tutte le sere, per farmi addormentare".
Faccio fatica ad ammetterlo, ma è chiaro che Habemus papam mi è piaciuto. Anche se volessi mentire, la prova del nove mi inchioderebbe. Son più di dieci anni che appena partono i titoli di coda scappo letteralmente dalla sala (faccio un'eccezione per i cartoni e i film con supereroi, perché ci sono gli outtakes o gli spin o i twist). Stavolta non mi sono schiodato dalla sedia. E Moretti mi ha ripagato. Proprio alla fine dei titoli di coda ho potuto leggere: "Il personaggio invisibile di Ecce Bombo era Massimo Troisi".

sabato 20 agosto 2011

Friture

Tra le sue scartoffie ho trovato, scritta su un solo lato di un foglio di carta velina con strana cura (pochissime cancellature, grafia chiarissima ma leggera, forse per non bucare la carta — ma perché non aver usato una materia più resistente?), un'anamnesi.

Il primo sintomo comparve all'età di 9-10 anni e fu un caso isolato e, al momento, inesplicabile. Mi trovavo in classe — frequentavo la V elementare — e la maestra mi affidò la scolaresca durante una sua assenza. Si doveva risolvere un problema sulla piramide. Mi accorsi che un mio compagno tentava di farsi fare il disegno del solido dal vicino di banco (ricordo pure i nomi). Quando tornò la maestra, tentai di dire, di riferirle, la scorrettezza che si era verificata in sua assenza: mi alzai dal banco e presso la cattedra cominciai a gesticolare senza riuscire a pronunciare parola sensata: hum, hem e simili suoni tipici di chi «non trova le parole». Le parole infatti non le trovavo. Era più l'imbarazzo che il panico. Ma alla fine feci come i muti: mi portai "al banco degli imputati" e mostrai i colpevoli rifacendo la scena e, finalmente, ritrovando, faticosamente, le parole. Sembrava un fatto senza importanza. Un anno o due dopo — all'età di 11-12 anni — ebbi una convulsione nel sonno con conati di vomito. Il mio medico curante, anche se sospettò qualcosa, diagnosticò un'indigestione causata dal fritto pesce mangiato la sera precedente. È da quell'epoca che non mangio più pesce fritto.

Finisce così. Come se il vero scopo del testo non fosse quello di tracciare le origini di una malattia del paziente, ma il suo rapporto col pesce fritto.
 

domenica 14 agosto 2011

venerdì 5 agosto 2011

Entropie 3: Madame Italy

Voglio ricordare che nulla di quello che succede è qualche cosa che si può ascrivere alla responsabilità di uno dei governi di qualunque Paese.
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi,
conferenza stampa straordinaria del 5 agosto 2011.


A peine arrivé chez lui, Rodolphe s'assit brusquement à son bureau, sous la tête de cerf luisant trophée contre la muraille. Mais, quand il eut la plume entre les doigts, il ne sut rien trouver, si bien que, s'appuyant sur les deux coudes, il se mit à réfléchir. Emma lui semblait être reculée dans un passé lointain, comme si la résolution qu'il avait prise venait de placer entre eux, tout à coup, un immense intervalle.
Afin de ressaisir quelque chose d'elle, il alla chercher dans l'armoire, au chevet de son lit, une vieille boîte à biscuits de Reims où il enfermait d'habitude ses lettres de femmes, et il s'en échappa une odeur de poussière humide et de roses flétries. D'abord il aperçut un mouchoir de poche, couvert de gouttelettes pales. C'était un mouchoir à elle, une fois qu'elle avait saigné du nez, en promenade; il ne s'en souvenait plus. Il y avait auprès, se cognant à tous les angles, la miniature donnée par Emma; sa toilette lui parut prétentieuse et son regard en coulisse du plus pitoyable effet; puis, à force de considérer cette image et d'évoquer le souvenir du modèle, les traits d'Emma peu à peu se confondirent en sa mémoire, comme si la figure vivante et la figure peinte, se frottant l'une contre l'autre, se fussent réciproquement effacées. Enfin, il lut de ses lettres; elles étaient pleines d'explications relatives à leur voyage, courtes, techniques et pressantes comme des billets d'affaires. Il voulut revoir les longues, celles d'autrefois; pour les trouver au fond de la boîte, Rodolphe dérangea toutes les autres; et machinalement il se mit à fouiller dans ce tas de papiers et de choses, y retrouvant pêle-mêle des bouquets, une jarretière, un masque noir, des épingles et des cheveux — des cheveux! de bruns, de blonds; quelques-uns même, s'accrochant à la ferrure de la boîte, se cassaient quand on l'ouvrait.
Ainsi flânant parmi ses souvenirs, il examinait les écritures et le style des lettres, aussi variés que leurs orthographes. Elles étaient tendres ou joviales, facétieuses, mélancoliques; il y en avait qui demandaient de l'amour et d'autres qui demandaient de l'argent. A propos d'un mot, il se rappelait des visages, de certains gestes, un son de voix; quelquefois pourtant il ne se rappelait rien.
En effet, ces femmes, accourant à la fois dans sa pensée, s'y gênaient les unes les autres et s'y rapetissaient, comme sous un même niveau d'amour qui les égalisait. Prenant donc à poignée les lettres confondues, il s'amusa pendant quelques minutes à les faire tomber en cascades, de sa main droite dans sa main gauche. Enfin, ennuyé, assoupi, Rodolphe alla reporter la boîte dans l'armoire en se disant:
— Quels tas de blagues!...
Ce qui résumait son opinion; car les plaisirs, comme des écoliers dans la cour d'un collège, avaient tellement piétiné sur son coeur, que rien de vert n'y poussait, et ce qui passait par là, plus étourdi que les enfants, n'y laissait pas même, comme eux, son nom gravé sur la muraille.
— Allons, se dit-il, commençons!
Il écrivit:
«Du courage, Emma! du courage! Je ne veux pas faire le malheur de votre existence...»
— Après tout, c'est vrai, pensa Rodolphe; j'agis dans son intérêt; je suis honnête.
« Avez-vous mûrement pesé votre détermination? Savez-vous l'abîme où je vous entraînais, pauvre ange? Non, n'est-ce pas? Vous alliez confiante et folle, croyant au bonheur, à l'avenir... Ah! malheureux que nous sommes! insensés!»
Rodolphe s'arrêta pour trouver ici quelque bonne excuse.
— Si je lui disais que toute ma fortune est perdue?... Ah! non, et d'ailleurs, cela n'empêcherait rien. Ce serait à recommencer plus tard. Est-ce qu'on peut faire entendre raison à des femmes pareilles!
Il réfléchit, puis ajouta:
« Je ne vous oublierai pas, croyez-le bien, et j'aurai continuellement pour vous un dévouement profond; mais, un jour, tôt ou tard, cette ardeur (c'est là le sort des choses humaines) se fût diminuée, sans doute! Il nous serait venu des lassitudes, et qui sait même si je n'aurais pas eu l'atroce douleur d'assister à vos remords et d'y participer moi-même, puisque je les aurais causés. L'idée seule des chagrins qui vous amènent me torture, Emma! Oubliez-moi! Pourquoi faut-il que je vous aie connue? Pourquoi étiez-vous si belle? Est-ce ma faute? O mon Dieu! non, non, n'en accusez que la fatalité!»
— Voilà un mot qui fait toujours de l'effet, se dit-il.. Ah! Si vous eussiez été une de ces femmes au coeur frivole comme on en voit, certes, j'aurais pu, par égoïsme, tenter une expérience alors sans danger pour vous. Mais cette exaltation délicieuse, qui fait à la fois votre charme et votre tourment, vous a empêchée de comprendre, adorable femme que vous êtes, la fausseté de notre position future. Moi non plus, je n'y avais pas réfléchi d'abord, et je me reposais à l'ombre de ce bonheur idéal, comme à celle du mancenillier, sans prévoir les conséquences.»
— Elle va peut-être croire que c'est par avance que j'y renonce... Ah! n'importe! tant pis, il faut en finir!
« Le monde est cruel, Emma. Partout où nous eussions été, il nous aurait poursuivis. Il vous aurait fallu subir les questions indiscrètes, la calomnie, le dédain, l'outrage peut-être. L'outrage à vous! Oh!... Et moi qui voudrais vous faire asseoir sur un trône! moi qui emporte votre pensée comme un talisman! Car je me punis par l'exil de tout le mal que je vous ai fait. Je pars où? Je n'en sais rien, je suis fou! Adieu! Soyez toujours bonne! Conservez le souvenir du malheureux qui vous a perdue. Apprenez mon nom à votre enfant, qu'il le redise dans ses prières.»
La mèche des deux bougies tremblait. Rodolphe se leva pour aller fermer la fenêtre, et, quand il se fut rassis:
— Il me semble que c'est tout. Ah! encore ceci, de peur qu'elle ne vienne à me relancer:
« Je serai loin quand vous lirez ces tristes lignes; car j'ai voulu m'enfuir au plus vite afin d'éviter la tentation de vous revoir. Pas de faiblesse! Je reviendrai; et peut-être que, plus tard, nous causerons ensemble très froidement de nos anciennes amours. Adieu!»
Et il y avait un dernier adieu, séparé en deux mots A Dieu! ce qu'il jugeait d'un excellent goût.
— Comment vais-je signer, maintenant? se dit-il. Votre tout dévoué?... Non. Votre ami?... Oui, c'est cela.
«Votre ami.»
Il relut sa lettre. Elle lui parut bonne.
— Pauvre petite femme! pensa-t-il avec attendrissement. Elle va me croire plus insensible qu'un roc; il eût fallu quelques larmes là-dessus; mais, moi, je ne peux pas pleurer; ce n'est pas ma faute. Alors, s'étant versé de l'eau dans un verre, Rodolphe trempa son doigt et il laissa tomber de haut une grosse goutte, qui fit une tache pâle sur l'encre; puis, cherchant à cacheter la lettre, le cachet Amor nel cor se rencontra.
— Cela ne va guère à la circonstance... Ah bah! n'importe!
Après quoi, il fuma trois pipes et s'alla coucher.
Gustave Flaubert, Madame Bovary, II, 13.

venerdì 8 luglio 2011

L'uomo che scambiò sua figlia per un cappellaio matto

8 luglio 2011, 16.47
Oggetto: Alice in Wonderland jigsaw puzzle: MISSING PIECE!
A: crownbiz@randomhouse.com

Dear Mr. Crownbiz,
sorry to bother you, but my daughter has a huge problem with the jigsaw puzzle "Alice in Wonderland" by Mrs. Linda Sunshine that I bought for her birthday. I guarantee that we are always very careful with all kinds of jigsaw puzzles and I can assure you that there's one missing piece! To be precise, I am referring to the fourth piece starting from the left in the tenth row starting from above. I join two pictures of the puzzle.
Is there is a possible solution or an arrangement, in your opinion?
Best regards.
The Father





venerdì 24 giugno 2011

Just irresistible, ordinary guys

JOHN CASSAVETES, 09/12/1929 - 03/02/1989
PETER FALK, 16/09/1927 - 23/06/2011


Il più grande pescatore dell'Oceano Pacifico

[…]

Hawks, quindi. Viste Le tigri del pacifico (Tiger Shark) con Edward G. Robinson, impetuoso pescatore portoricano (sic, con baffoni grotteschi). All'inizio del film si fa pappare il braccio da uno squalo tigre. Ma se ne frega, lui è Mike Mascarenas, "il più grande pescatore dell'Oceano Pacifico", come ama ripetere, e per il resto del film gira con un uncino. Grandi discussioni la notte, nella tonnara, su chi andrà in Paradiso e chi no. Edward G. non ha dubbi, per quanto lo riguarda, dato che san Pietro era un pescatore come lui e sarebbe onorato alla sola idea di ospitare il grande Mike Mascarenas. Stile documentaristico (il tonno, dalla pesca alla vendita), scene thrilling con gli squali, di un realismo abbastanza inaudito (ma nei primi due-tre anni dei Trenta, Hollywood non aveva ancora il codice Hays, chissà cosa sarebbe successo, viene da pensare rivedendo i film di quei tempi, se fosse proseguito l'andazzo. Altro che Tarantino, oggi!), i tempi narrativi giusti, come sempre in Hawks: ogni situazione ha il rispetto temporale che merita. Mai la fretta, sempre il ritmo. Perfetto, no?
[…]


Mail del 14-01-2004. No, perché ho scoperto che in occasione del "Cinema ritrovato" lo danno all'"Arlecchino" di Bologna lunedì prossimo alle argh 9 del mattino con replica giovedì alle riargh 10.15.

sabato 18 giugno 2011

A Nightmare on Wall Street



N° 16

Juillet 1970


L'arrestation


***Je suis à Tunis. C'est une ville tout en hauteurs. J'y fais une très longue promenade : route en lacets, rideaux d'arbres, claires-voies, panoramas. C'est comme si le paysage se découvrait dans sa totalité comme un arrière-plan de peinture italienne.

***Le lendemain, la police vient m'arrêter. J'ai commis, jadis, une peccadille. Je n'en garde aucun souvenir, mais je sais qu'elle peut aujourd'hui me coûter vingt ans.

***Je m'enfuis, armé d'un revolver. Les lieux que je traverse me sont inconnus. Il n'y a aucun danger immédiat, mais je sais d'avance que cette fuite ne résoudra rien. Je reviens vers des endroits familiers, ceux où je me promenais la veille. Trois marins me demandent leur chemin. Derrière un rideau d'arbres, des femmes voilées lavent du linge.

***Je redescends en ville par une route en lacets. Il y a des flics partout, par centaines. Ils arrêtent tout le monde et fouillent les voitures.
***Je passe au milieu des flics. Tant que mon regard n'accrochera pas le leur, j'aurai une chance de m'en tirer.
***Je rentre dans un cafè où je trouve Marcel B. Je vais m'asseoir près de lui.
***Trois types entrent dans le cafè (ce sont des flics, évidemment !) ; ils font négligemment le tour de la salle. Peut-être ne m'ont-ils pas vu ? Je respire presque, mais l'un d'eux vient s'asseoir à ma table.
— Je n'ai pas de papiers sur moi, dis-je.
Il est presque sur le point de se lever et de partir (cela voudrait dire que je suis sauvé), mais il me dit à voix basse :
— Copulez !
Je ne comprends pas.
Il écrit le mot dans la marge d'un journal, en grosses lettres creuses:




puis il repasse sur les trois premières lettres en en noircissant l'intérieur :




Je finis par comprendre. C'est extrêmement compliqué : il faut que je rentre chez moi et que « je copule avec ma femme » ; ainsi, lorsque la police viendra me chercher, le fait d'avoir « copulé un samedi », alors que je suis juif, constituera pour moi une circonstance atténuante.
***Le fait d'être juif est, en effet, à l'origine de toute cette affaire et la complique considérablement. Mon arrestation est une conséquence du conflit judéo-arabe et il ne me servirait à rien d'affirmer mes sentiments pro-palestiniens.
***Je rejoins ma villa (ce n'est peut-être qu'une simple chambre). Je suis surtout préoccupé de savoir si je serai prisonnier tunisien en France ou prisonnier français en Tunisie. Dans les deux cas, j'attend une amnistie à l'occasion de la visite d'un chef d'État.

***Je me sens innocent. Ce qui m'embête le plus c'est d'avoir à garder plusieurs années mes socquettes déjà sales.

Georges Perec, La boutique obscure — 124 rêves, Paris 1973.


mercoledì 15 giugno 2011

L'ultimo gioco in città

XI — THING

Tre scatole di biscotti a base di vere bambine scout per chi riconosce il film da cui è tratta maluccio questa immagine. Altri fotogrammi, forse sì, forse no, chissà quando, e soprattutto chissà perché.
AGGIORNAMENTO (sabato 25 giugno): Nuova immagine. Su, ragazzi. Impegnatevi quel minimo, che francamente è difficile.


martedì 14 giugno 2011

Ouaip. Ouaip. Ouaip. Ouaip. … e poi basta!

In famiglia sono cose di cui andiamo fieri. Tipo questa Lina Schwarz. Cugina di cugina di chenneso. Però parente. Faceva la libraia. Un giorno un cliente le chiede un libro. Però uno grosso, eh. Per riempire un buco nella sua biblioteca, capisci.
Lina Schwarz non ha esitazioni.
Gli consiglia L'idiota di Dostoevskij.
Caro Vittorio, mi sarebbe piaciuto raccontarti questa storia direttamente, ma il sito che dirigi mi chiede davvero troppe informazioni personali. Magari scopri che all'ultimo anno di liceo a Parigi sono stato assente ingiustificato per due mesi ma settimane fa ho spedito quattro sì al consolato.
Oppure che questa Schwarz tanto italiana non era.
Oppure che non era tanto italiana quella mia prozia, che Werner Herzog si fece a piedi centinaia di chilometri, per andarla a salutare. Si chiamava come mia cugina, me ne accorgo solo ora: da Berlino a Maida, un plurale di "Lotta".
Oppure capace che mi rovini il vanto del mio albero genealogico, la parentela millantata con un mito assoluto da un'altra prozia, nata tedesca, italiana da più di mezzo secolo. Ma ci si può fidare delle fantasticherie di una che da ragazza saldava allegramente le fusoliere della RAF perché le radessero al suolo la casa berlinese?


giovedì 5 maggio 2011

Barakobama: operazione Geronimo

Questi uomini formavano la cerchia intima di Stalin: erano il gruppo con la “carnagione del Cremlino” (terrea, con chiazze livide), lavoravano con lui tutto il giorno e bevevano con lui tutta la notte. Dobbiamo figurarci le loro facce intorno alla tavola imbandita per cena, o allo sfarfallio del proiettore del cinema privato […] Kruscev racconta che Stalin era appassionato soprattutto di western: “Di solito ne parlava male e ne dava una valutazione ideologica appropriata, ma poi ne ordinava immediatamente di nuovi”.
Martin Amis, Koba il Terribile — Una risata e venti milioni di morti (trad. di Norman Gobetti, Einaudi, Torino 2003), pp. 105 e 161.




Milovan Gilas venne invitato al cinema del Cremlino, e notò che “per l’intera durata della proiezione Stalin si produceva in commenti ad alta voce, reagendo di fronte a quanto accadeva sullo schermo come fanno gli ignoranti che scambiano la messinscena artistica con la realtà”.
Ibid., p. 161.

mercoledì 20 aprile 2011

Quidopo

Stasera "Porta a porta" dedicato all'aldilà. Tra gli ospiti di Bruno Vespa, Pippo Franco e Margherita Hack. Tra gli ospiti a sorpresa, Sten ha declinato (la RAI paga troppo poco), l'ipotesi Clint Eastwood sta sfumando mentre sembra quasi sicuro un intervento di Francesco Tirone.


giovedì 14 aprile 2011

Il processo breve

Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. poiché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato. "Come un cane!" disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere.

domenica 10 aprile 2011

Il cavaliere dimezzato

"Intesa o è meglio dividersi."


venerdì 8 aprile 2011

Too Late the Hero (Scilipoti's List)

Quella volta che arrivò troppo tardi per Ejzenštejn.

E troppo presto per Spielberg.

Quella volta che voleva farsi un tuffetto nel Mar Rosso.


Quella volta che si presentò preparatissimo all'esame di primo soccorso.

Quella volta che disse: "Si nota di più se vengo".

duSTen)

martedì 5 aprile 2011

Yolanda and the wolf

Esercizio 3, p. 111, punto "c)":
"Il y a un intrus dans chaque liste. Recopie les listes sans l'intrus."
sympathique — effrayant — rayonnage — citoyen — aboyer.
È già molto che sgrido figlia9, ma stavolta sono io a fare su e giù per il salone. Dopo molti huff and puff mi avvicino per abbaiarle (effrayant!): "Senti, lascia perdere, son già due ore che facciamo i compiti" (2, dopo ben 8 ore di scuola) quando improvvisamente, eureka! Basta incrociare la singolarità fonetica con quel che manca in casa e l'enigma è risolto.


sabato 2 aprile 2011

Way Out There

È ora che figlia9 cominci a vedere film che la bildunghino come si deve, dico io. È ora che si confronti con modelli paterni migliori di quello che le è toccato in sorte, dico io. Ho proprio qui un dvd che fa alla bisogna, con l'opzione doppiaggio italiano. Io lo vidi a 16 anni.

Il bruttone in moto? Niente, è solo un sogno.

Sì, no, ehm: diciamo che è un sogno diventato realtà, va bene? Ma non aver paura, mica è Chigurh. Cioè, quasi ma non del tutto. Eh? Chi è Chigurh? Ah… Non importa, dai, qui fa ridere. Perché non ridi?

Va bene tutto, capisco i problemi di labiale, capisco che il riferimento geografico negli anni Ottanta poteva sfuggire a un italiano idiota (pleonasma). Capisco tutto. Ma per la spettacolare punchline finale il responsabile del doppiaggio non poteva inventarsi qualcosa di meglio che un miserabile: "Non so, forse era Disneyland"?!


Mentre carico il filmato scopro che quanto scrivo si riallaccia involontariamente non solo all'header ma anche al primo post che scrissi. Quando si dice mordersi la coda.

giovedì 31 marzo 2011

Senza ironia

Prevedo che l'uomo si rassegnerà a imprese ogni giorno più atroci; presto non vi saranno più che guerrieri e banditi; dò loro questo consiglio: l'esecutore di un'impresa atroce immagini d'averla già compiuta, s'imponga un futuro che sia irrevocabile come il passato.
Jorge Luis Borges, Finzioni ("Il giardino dei sentieri che si biforcano"), Einaudi, Torino 1955, p. 82.

Qualche nota in margine a questo post.

Sul sito del "Nouvel observateur", 29 marzo sera, un breve articolo sull'esito dell'incontro Sarkozy-Cameron colpisce la mia attenzione. Firmato da Vincent Jauvert, in un capoverso entra leggermente in collisione con la linea del settimanale francese, che ho già esposto sommariamente. Dice:

- Il y est affirmé que l'intervention militaire a permis de sauver des 'centaines de milliers de personnes d'une catastrophe humanitaire annoncée'. D'où vient ce chiffre très important? Mystère.

Sì, lo so. Nel link che ho messo sopra questo capoverso non lo trovi. Era il primo punto "strano" della dichiarazione franco-britannica, secondo Jauvert. Dopo poche ore è sparito.
(Ieri mattina, da commentatore, gli ho chiesto gentilmente spiegazioni. Non so proprio cosa mi ha preso, tanto più che i commenti del nouvelobs sono un mix di spam e preoccupante spazioazzurro. Per il momento non ho avuto risposta.)

***

Quand'è che ho cominciato a dubitare di quel che leggevo sui giornali (soprattutto di centrosinistra, se non nettamente a sinistra, come "il manifesto") e vedevo in tv? Quando vidi le fosse scavate nella sabbia, davanti al Mediterraneo? Forse sì, non ricordo. Ricordo invece la reazione vergognosa che ebbi di fronte all'editoriale di Vittorio Zucconi, l'indomani, su "la Repubblica". Vittorio Zucconi, per molti giorni, firmò gli editoriali sulla Libia. Mi chiedevo perché, con quali credenziali. (E dire che a me Zucconi sta pure simpatico.) E ricordo ancora di non esser riuscito a trattenermi dal notare la strana costruzione dell'articolo, una "littérature du ressassement" (ma da "roman de gare", con un'ideuzza ripetuta ad libitum pur essendo già mediocre in partenza), l'assurdità di un editoriale che girava freneticamente in tondo, come il trito criceto nell'annosa ruota, per arenarsi esausto su un'immagine grottesca:

Se non ci fosse la maledetta spiaggia, soltanto grigia e malinconicamente fuori stagione e fuori tempo, come nel finale dei film di Fellini. Quale governo rispettabile oserà mai più farsi fotografare mentre ossequia e bacia il macellaio di Tripoli, ci si chiedeva ieri? Quale turista, per quanto disperato, oserà mai affondare la paletta in quella sabbia.

Era il 24 febbraio. La paletta mi faceva ridere. Sardonicamente, ma ho riso. Mi sentivo peggio di Jünger a Parigi, questa è la verità. Da un canto. Ma va detto a mia misera difesa che dall'altro canto, forse, qualcosa non mi tornava.
Il giorno dopo (25 febbraio) leggo, sempre su "Repubblica", un articolo di Vincenzo Nigro, l'inviato di "Repubblica" a Tripoli.
Addio paletta di piccoli Burke & Hare, addio maledetta spiaggia tripolitanriminese, addio turista disperato: "F for Fake". Ma nella chiusa tutto viene miracolosamente riesumato: un capolavoro di prestidigitazione che avrebbe ricevuto il plauso di Orson Welles.

Da Bab Al-Aziziya o dal luogo in cui si ripara, Gheddafi comunque sta provando a dare gli ultimi ordini. Carri armati sono stati visti in marcia verso Misurata, a Zawia si è combattuto, dicono che bombe e missili dell'esercito avrebbero colpito i ribelli, 40 morti e anche una moschea distrutta. Da qui, dalla "calma" di Tripoli è difficile, impossibile verificare, sapere, conoscere i dettagli: in albergo confermano che verso Zawia l'esercito, o i mercenari che siano, si preparano a difendere la strada verso Tripoli. Non c'è nessun modo per confermare i racconti di chi ha visto miliziani entrare negli ospedali a uccidere i rivoltosi feriti e ricoverati. Nessuna conferma nemmeno sulla nazionalità dei mercenari (italiani? Sembra impossibile).
Un libico, arrivando con noi in aereo, guardava le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime. "Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli, vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie in secondo piano". Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono tante notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri.
Tante delle cose di cui accusano Gheddafi oggi sono clamorosamente false. Ma nei 40 anni del suo regno migliaia di ribelli nelle fosse comuni ci sono finiti per davvero: presto qualcuno potrebbe andare a scavare quelle vere. A rovistare nel passato di un regime che questa sera, a Tripoli, ormai sembra senza futuro.

Vertigini temporali, ancora una volta, spiagge dai sentieri che si biforcano. Storpiando l'amico Hayao Yamaneko, "se le immagini del presente sono truccate, usa le immagini vere del passato". Tanto la DeLorean dell'informazione funziona anche invertendo la freccia del tempo, come insegna Martin Amis: back to the past.

26 febbraio. Nigro comincia a essere davvero a disagio. Questo articolo lo lessi sul cartaceo, non avevo accesso alla rete.

I racconti che da Tripoli rimbalzano su Reuters e sulle tivù parlano di decine di morti. È inutile, è impossibile chiedere di andare a controllare, verificare negli ospedali. Una rivoluzione che crolla è pericolosa e bugiarda, una rivoluzione che arriva non è attendibile, e di sicuro usa tutta la disinformazione, le bugie che può inventarsi per rovesciare il regime. Cattive informazioni nella notizia dell' aeroporto militare sotto il controllo dei ribelli, così come bocconi avvelenati sulle fosse comuni in riva al mare che invece sono il triste cimitero di Tayura. […] Troppo tardi il regime si è accorto di alcuni errori, tra cui quello degli ultimi giorni: aver provato a tener fuori i grandi media stranieri, le odiate Al Jazeera e Al Arabiya. [Nigro non pensa o omette di ricordare che Al Jazeera è di proprietà del Qatar, che pare abbia qualche interesse a veder cadere Gheddafi] Dovevano evitare piazza Tahrir, ma è stato un autogol. Dall' estero, parlando al telefono con i libici, inventando e ingigantendo quello che è successo per davvero, i network arabi hanno accelerato la decomposizione del regime. Non è vero che i cacciabombardieri abbiano colpito indiscriminatamente i quartieri di Fashlun, Siahia, Gerganesh: abbiamo visto, ci siamo fatti raccontare le case, le strade, e non ci sono i segni dei bombardamenti. Gli aerei hanno lavorato sulla strada di Misurata contro colonne di ribelli che adesso sembrano di nuovo in marcia verso la capitale.

In questo contesto l'ultima frase è un'ipotesi assolutamente verosimile, ma senza riscontri. Nigro non è sulla strada di Misurata e visto quel che ha appena scritto sorprende l'assenza di fonti. Quel "sembrano" spostato più avanti, tuttavia, mi suona come un'ammissione-lapsus. Ma comunque si noti la differenza che Nigro suggerisce tra i bombardamenti aerei indiscriminati contro i civili (falsi, all'epoca) e quelli contro persone armate (verosimili, ripeto).
Purtroppo sul sito di "Repubblica" l'articolo di Nigro (la cui importanza è testimoniata dal richiamo sulla prima pagina del cartaceo) è indicizzato malissimo. Forse quel giorno non apparve sul sito o più probabilmente ci restò pochissimo, non posso saperlo. Fatto sta che se copi qualsiasi passo e lo incolli virgolettandolo su google ottieni solo quattro risultati (o nove, dipende dal passo citato). E uno di essi rimanda al sito di "Repubblica". Il che è quantomeno strano, se si considera che la rete è un ricettacolo di mammolette pacifiste, complottisti balbuzienti e dietrologi disperatamente alla ricerca del segreto che tramuti in oro la quinta acqua del bollito.
Ed è un peccato perché tra tutti gli articoli di Nigro che ho letto, questo mi sembrava il più documentato, il più interessante, il più onesto.

Il 18 marzo torna Vittorio Zucconi. E chiude definitivamente la questione.

In Libia, come in Egitto, era la voce di una gioventù cresciuta nel sogno di Internet, non nella aspirazione al gilet al tritolo, a chiedere aiuto. A dimostrare di essere pronta a pagare con il proprio sangue la liberazione, mentre qualcuno osava ironizzare sull´esistenza di fosse comuni o distinguere fra sepolture individuali o di massa.

Niente ironia: lo ordina Zucconi. Strano divieto, lanciato da un giornalista che ho spesso apprezzato per la capacità di destreggiarsi nell'arte dell'ironia, che puntella una carriera di articoli sul nulla siderale (buffi costumi locali statunitensi, piccoli cruccetti del nerd, simpatica vita da nonno).
Niente ironia, siamo d'accordo. Ma le notizie? "Non capisco, non si sente!…" Il rumore del Mediterraneo è assordante. In ogni caso la richiesta è maleducata, fortuna che ormai la fa solo "qualcuno": come si permette, come "osa" chiedermelo? Io sono una persona seria, un professionista, per i poveracci che vanno a pesca di notizie c'è Paparazzo.
Visto il tono preferisco ubbidire. Ed è per questo che non ho intitolato il post "Porca paletta".


(1) Lascia sbalorditi, sul sito del quotidiano (diretto proprio da Zucconi) l'assenza assoluta di articoli di esperti. Per settimane la geopolitica si è ridotta a un link che rimandava al sito di "Limes", dello stesso gruppo editoriale. Pochi giorni dopo l'intervento militare il link è stato tolto dalla pagina. Si aspetta ancora il suo ritorno. Forse quel che vi si trova non conforta la linea del giornale, espressa in chiari termini in questa riunione di redazione.

lunedì 28 marzo 2011

Tonsils. Positively tonsils.

Sento or ora la presentatrice del canale francese all-news i>TELE che introduce un reportage sull'avanzata verso Tripoli in questi termini: "Les rebelles ont repris les villes d'Ajdabiya et de Ras Lanouf appuyés par les bombardements de la coalition…". Lo dice senza batter ciglio. L'avanzata militare resta naturalmente la notizia principale e al resto viene assegnato lo strapuntino della proposizione subordinata, di modo che lo spettatore francese possa godersi tranquillamente le immagini dei combattenti, che scorrono davanti alle telecamere sventolando le bandierine della République e ringraziando Sarkozy, senza interrogarsi circa un intervento che non ha più assolutamente nulla a che fare con la legalità.
Se non col senno di poi, stampata in faccia quella comica espressione di sorpresa che gli inglesi chiamano double take e di cui Edward Everett Horton fu maestro indiscusso.

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

X — … AND MIND THE GAP

Un cavallo a chi riconosce il titolo del film da cui è estratto questo fotogramma.


ATTENZIONE: La partita si è conclusa lunedì 28 marzo alle 19.38. arco ha riconosciuto Il bacio dell'assassino (Killer's Kiss) del confidenziale Stanley Kubrick. Vince un cavallo, anche se invece di giocare a scacchi farebbe meglio a linkare il tumblr sul suo blog (o a comprarsi un nuovo pc).
La prossima sfida si terrà lunedì 4 aprile.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 3 cavalli.
Strelnik: 3 cavalli.
oscar amalfitano: 2 cavalli.
suibhne: 2 cavalli.
arco: 1 cavallo.

sabato 26 marzo 2011

e se mi' nonna ciaveva le rote era un T-55 580 hp con motore diesel V-55

Laurent Joffrin è il direttore del "Nouvel Observateur", settimanale francese considerato vicino alla sinistra repubblicana. È stato tra i più ferventi sostenitori di un intervento in Libia, spingendosi ad appoggiare l'odiato Sarkozy persino quando questi minacciò di bombardare Gheddafi e le truppe lealiste da solo, qualora non si fosse riuscito a ottenere uno straccio di autorizzazione multilaterale.
Il suo editoriale di ieri riproponeva il solito nastro. Mentre scorreva placido, tuttavia, l'hardwar(e) Joffrin si è lasciato sfuggire una frase che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta:

Ceux qui réprouvent l'intervention aérienne en Libye doivent se souvenir que, sans elle, les soldats du colonel Kadhafi auraient pris sans coup férir Benghazi, capitale provisoire des insurgés, et seraient aujourd'hui occupés à réprimer sans pitié ceux qui ont eu l'affront de mettre en cause la dictature d'un pouvoir ubuesque.

Una nuova dimensione spaziotemporale, in altre parole.
Oltre la storia fatta con i se, oltre l'ucronia, oltre la fantapolitica, oltre qualsiasi forma di "Minority (o preventive) report".
Qui c'è un balzo evolutivo.
Ora addirittura ci si ricorda di un futuro parallelo.
Devo ricordarmi di quel che non accadrà domani.
Non è difficile, in fondo. Basta equipaggiarsi: nuovi modi e tempi verbali (indicativo condizionato, participio anch'io, strafuturo remoto, passato ritornante, secondo lo schema lasciato intravedere dagli antesignani Pomì e Pummarò), una fialetta di pillole doverosamente bipartisan azzurre e rosse e passa la paura.
Lo sapevate? Lo sapevate che il deserto del reale è in Libia? Benvenuti.

venerdì 25 marzo 2011

La carte routière


Le film de Buster Keaton ne donnait cette image que de façon fugitive ; il ne donnait que son installation, non son état ou sa durée.
C'est donc ici un tout autre champ et une sorte de compensation du scénario (et de cette perte d'image qu'est la possibilité narrative) dont la suite nous est donnée. C'est fantasmatiquement la durée saisie par un corps immobile ; une telle durée ne peut se representer, elle se résout à la production de quelques attributs géants du corps. Ainsi la carte routière n'est plus faite pour dessiner (pointiller) un territoire, des trajets, une échelle qui ne représenteront pas cette anatomie invisible. C'est pourtant ce qui dissimule ce personnage qui devrait le guider… Cette lecture est absurde, elle est sollicitée, elle interprète ? elle n'est pourtant que l'image, elle n'est, de plus, que la solitude de cette image.

Que s'est-il passé ? l'isolement et la destination de cette image — nul n'eût jamais songé (ni réussi) à photographier aussi malicieusement un parent ou un ami — sont une espèce de produit : il a fallu qu'un préalable de mouvements ou d'actions soit encore sensible en elle, que tout un complot d'aventures s'y devine déjà pour que nous la percevions comme un isolement momentané et comme cette suspension de signification dans laquelle notre lecture peut ici rôder et s'affoler dans la composition de ses éléments essentiels. Tout le sens et la force motrice du film disparus ne nous laissent ici (et nous accordent déjà) que la possibilité d'y contempler du destin. Celui-ci n'est pas narratif, et tout juste pouvons-nous soupçonner qu'il l'ait été ; il est physique. Que s'est-il passé ? il reste pour nous ce personnage pourvu d'un poids et d'une surface de papier. C'est donc l'assurance qu'il est lisible, qu'il est caché, que rien n'est écrit sur lui, qu'il est donc indéchiffrable. C'est, avant même, la certitude que cela est un jeu, que ce poids de papier n'est pas destiné à durer mais que nous seuls pourrions lire la carte dans laquelle il s'est collé comme un insecte. Un personnage a été englouti par ce planisphère, l'Amérique dessine vaguement un sexe à ce corps plaqué à du papier tue-mouches.
Jean Louis Schefer, L'Homme ordinaire du cinéma, Paris 1997 (prima ed. 1980), pp. 66-7. (Traduzione eroica di Michele Canosa, Quodlibet, Macerata 2006, ma dannazione non riesco proprio a ritrovare il libro nel caos domestico.)

mercoledì 23 marzo 2011

La marseillaise

Lyrics:

Nos partenaires
la population
d'ores et déjà
d'ores et déjà
nos avions
des civils désarmés.

Dès hier
l'avertissement suivant
les populations civiles
nos pays
tous les participants au sommet.

Se libérer de la servitude
ces révolutions
une immense espérance
les valeurs de la démocratie et des droits de l'homme.

Ces peuples arabes ont besoin
c'est notre devoir
choisir elle-même son destin
nous avons le devoir
son appel angoissé.

Au nom de la conscience universelle.

Sur mandat du conseil de sécurité de l'ONU
et notamment le partenaire arabe
a perdu toute légitimité
de choisir lui-même son destin.

Sans délai et sans réserve
la porte de la diplomatie.

Je le dis avec solennité
devant ses responsabilités
c'est une décision grave
aux côtés de ses partenaires arabes
son rôle devant l'Histoire.


martedì 22 marzo 2011

Coso

DESTIN. — C'est au moment même où, l'Histoire témoignant une fois de plus de sa liberté, les peuples colonisés commencent à démentir la fatalité de leur condition, que le vocabulaire bourgeois fait le plus grand usage du mot Destin. Comme l'honneur, le destin est un mana où l'on collecte pudiquement les déterminismes les plus sinistres de la colonisation. Le Destin, c'est pour la bourgeoisie, le truc ou le machin de l'Histoire.

Naturellement, le Destin n'existe que sous une forme liée. Ce n'est pas la conquête militaire qui a soumis l'Algérie à la France, c'est une conjonction opérée par la Providence qui a uni deux destins. La liaison est déclarée indissoluble dans le temps même où elle se dissout avec un éclat qui ne peut être caché.
Phraséologie : "Nous entendons, quant à nous, donner aux peuples dont le destin est lié au nôtre, une indépendance vraie dans l'association volontaire." (M. Pinay à l'ONU.)
[…]
GUERRE. — Le but est de nier la chose. On dispose pour cela de deux moyens : ou bien la nommer le moins possible (procédé le plus fréquent) ; ou bien lui donner le sens de son propre contraire (procédé plus retors, qui est à la base de presque toutes les mystifications du langage bourgeois). Guerre est alors employé dans le sens de paix et pacification dans le sens de guerre. Phraséologie: "La guerre n'empêche pas les mesures de pacification." (Général de Monsabert.) Entendez que la paix (officielle) n'empêche heureusement pas la guerre (réelle).
MISSION. — C'est le troisième mot mana. On peut y déposer tout ce qu'on veut : les écoles, l'électricité, le Coca-Cola, les opérations de police, les ratissages, les condamnations à mort, les camps de concentration, la liberté, la civilisation et la "présence" française.
Phraséologie: "Vous savez pourtant que la France a, en Afrique, une mission qu'elle est seule à pouvoir remplir." (M. Pinay à l'ONU.)
POLITIQUE. — La politique se voit assigner un domaine restreint. Il y a d'une part la France et d'autre part la politique. Les affaires d'Afrique du Nord, lorsqu'elles concernent la France, ne sont pas du domaine de la politique. Lorsque les choses deviennent graves, feignons de quitter la Politique pour la Nation. Pour les gens de droite, la Politique, c'est la Gauche : eux, c'est la France.
Phraséologie : "Vouloir défendre la communauté française et les vertus de la France, ce n'est pas faire de la politique." (Général Tricon-Dunois.)
Dans un sens contraire et accolé au mot conscience (politique de la conscience), le mot politique devient euphémique ; il signifie alors: sens pratique des réalités spirituelles, goût de la nuance qui permet à un chrétien de partir tranquillement "pacifier" l'Afrique.
Phraséologie : "... Refuser a priori le service dans une armée à destination africaine pour être sûr de ne pas se trouver dans une situation semblable (contredire un ordre inhumain), ce tolstoïsme abstrait ne se confond pas avec la politique de la conscience, parce qu'il n'est à aucun degré une politique." (Editorial dominicain de La Vie intellectuelle.)
Roland Barthes, Mythologies ["Grammaire africaine"], 1957, ora in Roland Barthes, Œuvres complètes, Paris , 1993, p. 648.

***

On a pu lire dans l’un des premiers numéros de l’Express quotidien, une profession de foi critique (anonyme), qui était un superbe morceau de rhétorique balancée. L’idée en était que la critique ne doit être "ni un jeu de salon, ni un service municipal" ; entendez qu’elle ne doit être ni réactionnaire, ni communiste, ni gratuite, ni politique.
Il s’agit là d’une mécanique de la double exclusion qui relève en grande partie de cette rage numérique que nous avons déjà rencontrée plusieurs fois, et que j’ai cru pouvoir définir en gros comme un trait petit-bourgeois. On fait le compte des méthodes avec une balance, on en charge les plateaux, à volonté, de façon à pouvoir apparaître soi-même comme un arbitre impondérable doué d’une spiritualité idéale, et par là même juste, comme le fléau qui juge la pesée.
Les tares nécessaires à cette opération de comptabilité sont formées par la moralité des termes employés. Selon un procédé terroriste (n’échappe pas qui veut au terrorisme), on juge en même temps que l’on nomme, et le mot, lesté d’une culpabilité préalable, vient tout naturellement peser dans l’un des plateaux de la balance. Par exemple, on opposera la culture aux idéologies. La culture est un bien noble, universel, situé hors des partis pris sociaux : la culture ne pèse pas. Les idéologies sont, elles, des inventions partisanes : donc, à la balance ! On les renvoie dos à dos sous l’œil sévère de la culture (sans s’imaginer que la culture est tout de même, en fin de compte, une idéologie). Tout se passe comme s’il y avait d’un côté des mots lourds, des mots tarés (idéologie, catéchisme, militant), chargés d’alimenter le jeu infamant de la balance ; et de l’autre côté des mots légers, purs, immatériels, nobles par droit divin, sublimes au point d’échapper à la basse loi des nombres (aventure, passion, grandeur, vertu, honneur), des mots situés au-dessus de la triste computation des mensonges ; les seconds sont chargés de faire la morale aux premiers : d’un côté des mots criminels et de l’autre des mots justiciers. Bien entendu, cette belle morale du Tiers-Parti aboutit sûrement à une nouvelle dichotomie, tout aussi simpliste que celle qu’on voulait dénoncer au nom même de la complexité. C’est vrai, il se peut que notre monde soit alterné, mais soyez sur que c’est une scission sans Tribunal : pas de salut pour les Juges, eux aussi sont bel et bien embarqués.
Ibid. ["La critique ni-ni"], pp. 651-2.