lunedì 29 dicembre 2008

È pericoloso sporgersi

“Gli spettatori impietriscono quando passa il treno”: è la prima frase scritta da Franz Kafka nel Diario. A cosa alludeva, in quel pugno di parole vergate nel 1910? A una delle prime proiezioni pubbliche e paganti della storia del cinema, dove pare che il minaccioso avvicinarsi di un treno abbia fatto trasalire la platea (ma nella realtà arrivava alla stazione di La Ciotat: cinquanta secondi impressionati su pellicola da Louis Lumière nel 1895)? Oppure a L’Assalto al treno (Edwin S. Porter, 1903), uno dei primi western, con il primo piano del bandito che punta la rivoltella contro gli spettatori, e spara?
Sono tanti gli indizi che portano a pensare che quella del cinema sia un’ontologia ferroviaria. Fissando la locomotiva, la macchina da presa si rimira nello specchio dell’era industriale: treno e cinema sono le sue più grandi invenzioni. E guardando scorrere in senso orizzontale una pellicola attraversata da un fascio di luce, è fin troppo facile dissolvere l’immagine incrociandola con le luci notturne dei finestrini che rapide si susseguono, fino all’ultimo vagone. Così in Effetto notte, quando Alphonse (Jean-Pierre Léaud) vuole abbandonare le riprese del film che sta girando François Truffaut, il regista lo sprona a superare i capricci personali: “Lo so che c’è la vita privata, ma la vita privata zoppica per tutti. I film sono più armoniosi della vita: nei film non ci sono ingorghi, non ci sono tempi morti. I film avanzano come treni, come treni nella notte”.


Quanti treni sono passati, davanti ai nostri occhi. Quanti treni per Yuma, nei mezzogiorni di fuoco, quando c’era una volta il West e dai vagoni scendevano cavalieri dalle lunghe ombre. A ricordarli tutti ci vorrebbe una vita di cinefago, come l’ideale carta geografica di Borges, che avrebbe dovuto dispiegarsi sull’intero pianeta. Lo sapeva Alfred Hitchcock, che sul tema meriterebbe una rubrica speciale: sui suoi treni scompaiono affabili vecchiette e si incrociano e rivelano destini che avrebbero fatto meglio a restare “sconosciuti”. La ciminiera sbuffa nuvole di fumo nero: “l’ombra di un dubbio” cala sull’amata e attesa figura dello zio Charlie. Una nuvola di fumo bianco: lo zio Charlie, massacratore di vedove, è svanito. E alla fine di Intrigo internazionale (ma il titolo inglese, North by Northwest, evoca un binario dada ed è molto più bello), il treno che trasporta gli sposi Cary Grant e Eva Marie Saint si infila nel tunnel: alludendo a penetrazioni ben più intime.
“Mentre il treno trasportava Mariannina Terranova verso la sua tragica meta, mentre la trasportava inarrestabile come inarrestabile era il fato che la spingeva, lei, piccola e povera creatura del Sud, avvolta nell’antico scialle scuro, simbolo del pudore delle nostre donne, le mani congiunte a torturarsi il grembo, quel grembo da Dio condannato — sacra condanna! — ai beati tormenti della maternità, mentre il treno correva, così, come un incubo incessante, dove risonava il ritmico fragore delle ruote e degli stantuffi, alle orecchie deliranti della povera Mariannina Terranova: disonorata disonorata disonorata disonoratadisonoratadisonorata…” A parlare non è Rocco Buttiglione in preda a raptus retorico scatenato da chissà quali “convinzioni personali”, ma quell’istrione dell’avvocato in Divorzio all’italiana (Pietro Germi, 1961): e Fefé (Marcello Mastroianni) se lo beve tutto, quel corposo Salaparuta di parole, pregustando il futuro assassinio dell’insopportabile moglie, già assolto nella coscienza ancor prima che dalla Legge. Sogna la giovanissima Stefania Sandrelli, che però ha già preso la coincidenza per Roma, in Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965), e invece dell’agognata gloria cinematografica si arena in una villa pariolina dove Ugo Tognazzi in piedi su un tavolo “fa il treno”, mimando con tutto il corpo l’inesorabile pistoneggiare, veloce, più veloce, ancora più veloce: in attesa dell’immancabile collasso cardiaco. La più grande performance d’attore di tutti i tempi. E con Tognazzi ci piacerebbe concludere il viaggio.


Ma purtroppo c’è un altro treno. Scivola nel silenzio di un pomeriggio uggioso del 1985, senza sferragliare, attraversando campagne grigie e deserte. A bordo c’è solo un vecchio capotreno: fa pensare a Buster Keaton, ma non quando interpretava il tenero ferroviere sudista perduto con la sua locomotiva “The General” oltre le linee nemiche; piuttosto alla sua ombra inquietante, fantasma di rughe nel beckettiano Film (1965). Quarant’anni prima quel treno viaggiava senza sosta, in un’unica direzione, sempre pieno di esseri umani; un viaggio lunghissimo, atroce, al termine della notte. Le rotaie portavano a un cancello, sul quale c’era scritto che il lavoro rende liberi. Varcandolo, il treno entrava in Inferno. Il binario era un vicolo cieco, e il viaggio finiva lì. A questo punto, tra quei casermoni abbandonati, il regista Claude Lanzmann ha preso una decisione terribile, introducendo l’unico momento di finzione nel suo documentario. Una scelta eretica, sconvolgente ma indispensabile, per la sopravvivenza del cinema, per la nostra stessa sopravvivenza.
Lanzmann ha diretto il vecchio ferroviere, come fosse un attore. Gli ha chiesto di ripetere il gesto che soleva indirizzare ai passeggeri usciti vivi dal viaggio, ma già fatti allineare da guardie vociferanti, armate di mitra, cani rabbiosi al guinzaglio. Nel deserto di Treblinka, il vecchio ferroviere ci ha guardati, ha stretto il pugno grinzoso accanto alla testa, lasciando fuoruscire l'indice. E ha fatto correre l'indice lungo il collo, da sinistra a destra.


Si dice che il cinema sia una macchina del tempo, nel senso che ci permette di guardare il nostro passato. Ma forse anche perché sulla pellicola qualcosa del futuro, dei suoi peggiori incubi, rimane impresso, come uno spettro, come le ombre calcinate delle vittime di Hiroshima. O come uno shining. E allora forse Franz Kafka pensa a Shoah, scrivendo che gli spettatori impietriscono, quando passa il treno.

domenica 28 dicembre 2008

L'ultimo gioco in città

XXI — IL GIRO DEL MONDO IN 46 SECONDI

Si sostiene inoltre che la landa ha un'influenza dannosa sul cervello. La mente di molti è stata seriamente compromessa durante gli anni che hanno seguito la morte di Nahum, e nessuno di questi ha avuto la forza di andarsene. Quelli che avevano la testa a posto, però, hanno lasciato la regione. Solo gli stranieri hanno tentato di vivere nelle vecchie fattorie in rovina. Tuttavia, anche loro non hanno resistito. Tutti parlano di magia, e dichiarano di essere ossessionati da incubi. In verità l'aspetto di quel luogo sinistro è sufficiente a suscitare sensazioni anormali. Nessun viaggiatore ha mai visto quelle gole tetre senza provare un senso di disagio; gli artisti rabbrividiscono dipingendo quei folti boschi il cui mistero turba l'animo mentre colpisce gli sguardi.
Non chiedetemi la mia opinione: vi risponderei che non so niente.
Howard Phillips Lovecraft, Il colore venuto dallo spazio.

Ultimo ultimo gioco prima di decretare il vincitore dell'anno. Indovina da che film è tratta questa sequenza e vinci tre gettoni per la giostra. Mercoledì aggiungerò un indizio e mi riprenderò un gettone. Venerdì, altro indizio, e a questo punto dovrai sceglierti bene il cavalluccio, perché farai un solo giro in giostra.



P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se non ti piace la mia giostra puoi sempre andare a giocare in un altro giardinetto.

AGGIORNAMENTO (mercoledì 31 dicembre): L'indizio si trova nell'esergo. La posta scende a due gettoni.

AGGIORNAMENTO (venerdì 2 gennaio): Il filmato ora è leggermente più lungo e la posta si riduce a un gettone.

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA DOMENICA 4 GENNAIO ALLE 01.48.
LA SOLUZIONE ERA "PROVIDENCE" (ALAIN RESNAIS, 1977). IN QUELLA SCENA, IL VECCHIO JOHN GIELGUD DICE AI FIGLI RACCOLTI INTORNO AL TAVOLO (NEL SETTORE DEL CERCHIO CHE HO NASCOSTO), GUARDANDO LA BOTTIGLIA DI ROSSO VUOTA: "ECCO IL PRIMO MORTO DELLA GIORNATA". E, SORRIDENDO: "QUALE SARÀ IL SECONDO?". CHE MI FA PENSARE AL 2008, SOLO CHE QUELL'ANNO SAPEVA DI TAPPO.
SE NON AVESSE RICONOSCIUTO LA VILLA DEL RHODE ISLAND, BIANCA AVREBBE COMUNQUE VINTO LA BOTTIGLIA 2008, CHE POI SARÀ UNA SPILLA FABBRICATA ARTIGIANALMENTE.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 4 GENNAIO. I PUNTEGGI SARANNO AZZERATI E PER VARIARE UNA DOMENICA SU DUE SARÒ SOSTITUITO DA UN NUOVO MAZZIERE. LA SOLUZIONE SARÀ RICOMPENSATA CON DUE BYTE, E PER FAVORE NON MORDERMI SUL MOUSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA DEFINITIVA 2008

bianca
: 11 gettoni.

afasol: 7
gettoni.
arcomanno: 6 gettoni.
malvino: 3 gettoni.
andrea: 2
gettoni.
desaparecida: 2
gettoni.
orsopio: 1
gettoni.
rabbi: 1
gettone e mezzo.
adlimina: 1 gettone
.

venerdì 26 dicembre 2008

Dacci un Taglio

HAROLD PINTER, 10/10/1930 - 25/12/2008

— Un’analisi statistica dei rapporti sessuali all’Università di Kolenzo, Milwaukee, rivela che 70% lo hanno fatto la sera, 29,9% tra le due e le quattro del pomeriggio e 0,1% durante una conferenza su Aristotele.
— Mi stupisce che Aristotele sia nel programma dello Stato del Wisconsin.
Ostriche, peperoncino, zenzero, etica nicomachea… Charley (Stanley Baker) e il Rettore di Oxford (Alexander Knox) in L’incidente (Joseph Losey, 1967, sceneggiatura di Harold Pinter).

giovedì 25 dicembre 2008

... e Pasqua con i buoi

La nostra epoca non è ancora giunta a superare la famiglia, il denaro, la divisione del lavoro; e tuttavia si può dire che la loro realtà effettiva si sia già, per costoro, quasi interamente dissolta, nel semplice spossessamento. Uccelli che non hanno mai avuto preda e l’hanno lasciata per il suo riflesso.
Voce di Guy Debord in In girum imus nocte et consumimur igni (Guy Debord, 1978).


mercoledì 24 dicembre 2008

Dacci un Taglio

Pensavo che avrebbe potuto essere una scena divertente, per esempio, quella in cui gli ex-detenuti sono insieme a tavola alla vigilia di Natale e hanno nostalgia della prigione. E uno dice: “In prigione, cominciavo fin da ottobre a godermi l’idea che avrei avuto il tacchino per Natale. Ora posso comprare il tacchino ogni sabato, ogni giovedì, e così il divertimento se n’è andato dalla vita”.
Fritz Lang (a proposito del suo You and Me, 1938) intervistato da Peter Bogdanovich ne Il cinema secondo Fritz Lang, Pratiche Editrice, Parma 1988, p. 36.

lunedì 22 dicembre 2008

Oltre la siepe, il buio

ROBERT MULLIGAN, 23/08/1925 - 20/12/2008

E mi piangono le mani



Personalmente odio il Natale, come Kate Beringer in Gremlins. Quindi gli auguri li lascio fare a Gualtiero De Marinis. Ma chiamatelo Gughi, altrimenti si arrabbia, come Jena Plissken in 1997: fuga da New York. Il bisillabo gli permette di ripetere ossessivamente "Gughi non sa. Gughi solo piccola pedina in grande gioco della vita", come Mongo in Mezzogiorno e mezzo di fuoco. Con "Gualtiero" non funzionerebbe.
Mongo non sa, ma come tutti sanno Gughi vive quasi esclusivamente in un bar di via Solferino. Per anni firmò abusivamente una rubrica su "Film TV", intitolata "Vita da cani". Dico abusivamente, perché in realtà a scrivere era il suo ghostwriterondemand personale, ossia il suo cane, Lapis, mentre Gughi guardava la Formula Uno. Gughi non sa scrivere, perché gli si lingua la impasta.
"Vita da cani" si occupava di televisione, e quindi parlava di tutto (fuorché di televisione). Spesso indulgeva in confessioni personali e strappalacrime, come quando raccontò del giorno in cui Lapis abbandonò il suo padrone in un autogrill. Molti anni dopo domandai a Gughi se ne soffrisse ancora. Lui guardò tristemente il bicchiere vuoto di martini, sospirò e rispose: "Tu non chiedi me, io non dice bugie te". Testuale.



Accarezza lo squonk qui sotto se vuoi leggere la cartolina d'auguri di Gughi. Questa temo che l'abbia scritta proprio lui, di nascosto, mentre Lapis leggeva i Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, in tedesco, il che non costituisce un grande exploit per i cani col pedigree, e capendo assolutamente tutto: il che è concesso solo a Lapis e ad Altamante Fruzzetti, l'uomo più intelligente del mondo.

LO SQUONK DICE: "BIMBA, PERCHÉ NON MI CLICCHI?".

domenica 21 dicembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XX — L'INFERNO DEL CINEFILO

Gli amici di montagna, Mu Mu, Cip Cip, Be Be
ti dicon non partire, ti spiegano il perchè.
Saresti un pesciolino che dall'acqua se ne va
un uccellino in gabbia che di noia morirà.


Indovina da che film è tratto questo fotogramma (clicca per ingrandirlo) e vinci tre holalaidi. Mercoledì la candida Mu Mu, il tenero Cip Cip e quella vecchia zozzona di Be Be ti porteranno un indizio candido come te e se ne andranno portandosi via un holalaido. Venerdì, forse passerà addirittura il caro nonnetto, con un altro indizio, e poi se ne tornerà nel suo mondo fantastico (accipicchia!) trastullandosi anche lui col suo bell'holalaido nuovo di zecca e appena munto da capretta.


P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se vuoi puoi attraversare le Alpi e andare a giocare da Hannibal Lecter.

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA DOMENICA 21 DICEMBRE ALLE 18.41.
PER LA SECONDA VOLTA CONSECUTIVA IL VINCITORE È "AFASOL".
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "RICOMINCIO DA CAPO" ("GROUNDHOG DAY", 1993) DI HAROLD RAMIS.
L'ULTIMA SFIDA DELL'ANNO SI TERRÀ DOMENICA 28 DICEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 10 holalaidi
.
Afasol: 7 holalaidi.
arcomanno: 6 holalaidi.
malvino: 3 holalaidi.
andrea: 2
holalaidi.
desaparecida: 2
holalaidi.
orsopio: 1
holalaido e mezzo.
rabbi: 1
holalaido e mezzo.
adlimina: 1
holalaido.

venerdì 19 dicembre 2008

Dacci un Taglio

Certe persone, pur non sopportando più una cosa, per un po’ resistono. Poi esplodono.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).

lunedì 15 dicembre 2008

Memento mori

Il kolossal e il porno: sono in assoluto i generi che detesto di più, da sempre e a priori. Non sopporto neppure Spartacus di Kubrick e La regina delle piramidi di Hawks, e ho detto tutto (anche se nel secondo c'è Joan Collins giovanissima). Quel che vedo sullo schermo mi sembra sistematicamente inverosimile, dall'inizio alla fine: I don't buy it. Non riesco a credere che si possa avere la benché minima idea di come viveva la gente duemila anni fa.
La serie televisiva Roma è l'eccezione che conferma la regola. Sono state girate due stagioni, da alea jacta est a Ottaviano imperatore. Poi basta (troppo cara, suppongo).
Una buona serie si riconosce dai titoli di testa (quasi sempre: The Shield mostra solo il badge spezzato con pessima musica rap ed è ottimo; Desperate Housewives ha un'apertura geniale, ma poi si rivela insopportabile). Roma rispetta due regole scontate: un minimo di pertinenza storica, e qualche ammiccamento ai nostri tempi (cinema di metafora). I titoli di testa aggiungono un terzo elemento (di cui in qualche modo l'intera serie tiene conto), avvertendoci che quanto stiamo per vedere non è la realtà documentata, la vita in movimento, ma la sua rievocazione fantasmatica. Graffiti animati, insomma, e thanatos in campo (ma l'eros non manca, e Polly Walker marcia è ancora più gnocca di Joan Collins giovane). Sic stantibus rebus, allora mi va bene.



P.S. Te pareva: "La versione italiana presenta delle differenze rispetto all'originale, per ovviare a scene di sesso e violenza ritenute troppo esplicite queste sono state sostituite (ma sarebbe meglio dire censurate) con scene girate appositamente per l'Italia, inoltre il doppiaggio ha eliminato molte delle scurrilità verbali presenti nell'originale" (Fonte: Wikipedia).
Ciò detto, il cofanetto dvd di Roma è in vendita (la prima stagione, almeno). Viene presentato come "versione integrale": questo dovrebbe significare che lì almeno la censura non ha infierito.

domenica 14 dicembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XIX — WHEN I'M OUT IN THE STREETS

Indovina il titolo del film e vinci quattro oh ("I walk the way I wanna walk"). Se non hai trovato, mercoledì aggiungerò un pugno di secondi al filmato e dirò un oh di meno perché "I talk the way I wanna talk". Venerdì la soluzione sarà talmente facile che dirò solo oh oh.



P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se vuoi puoi attraversare la strada e andare a giocare dai guerrieri della notte.

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA DOMENICA 14 DICEMBRE ALLE 19.03.
LA SPLENDIDA SOGGETTIVA È STATA RICONOSCIUTA DA "AFASOL", NUOVO BENVENUTO IL CUI NOME EVOCA UNA BOMBOLETTA CHE POTREBBE AVER INVENTATO JOKER. SI RITROVA TERZO CON UNA SOLA POZIONE.
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "LE FOLLI NOTTI DEL DOTTOR JERRYLL" (TITOLO ORIGINALE: "THE NUTTY PROFESSOR) DI JERRY LEWIS. TEMPO PERMETTENDO, TI FARÒ VEDERE L'INTERA SOGGETTIVA, DEGNA DI "PROFESSIONE: REPORTER" (BUM).
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 21 DICEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 10 oh
.
arcomanno: 6 oh
.
Afasol: 4 oh.
malvino: 3 oh.
andrea: 2 oh
.
desaparecida: 2 oh
.
orsopio: 1 oh
e mezzo.
rabbi: 1 oh
e mezzo.
adlimina: 1 oh
.

giovedì 11 dicembre 2008

Sentimental tarzanel (extended version)

[Stralcio di una mail intitolata "Un giorno da GOD" e rivolta agli altri GOD]

Mi scrive G. più di un mese fa. Un suo amico è venuto a vivere a Parigi, gli ha dato la mia mail, numero di telefono ecc. Qualche giorno fa il tipo in questione si fa vivo. Dice che è solo e che ha bisogno di un amico con cui bere. Non sembra un tipo allegro. Ma con questi chiari di luna va bene tutto, mi dico. E quindi ieri alle sette e mezza esco per incontrare questo sconosciuto: curiosità zero o quasi, ma tant'è. Fa un freddo inimmaginabile (da settimane), e mentre cammino attraversando mezza Parigi, mi metto a pensare al freddo, a mettere in piedi parole per condensare pensieri sul freddo. Poi mi dico che quando uno pensa troppo alla meteorologia 1) è arrivato proprio alla frutta della mente; 2) è diventato vecchio.
Nell'enoteca che doveva essere deserta, stando alle garanzie del tipo, e che invece è letteralmente intasata come un vagone della metro alle sei del pomeriggio, vedo spuntare in fondo uno tracagnotto, calvo e con una faccia da Droopy, ma ancora più triste. Carnagione da zombi, ma sul serio.
Che ci faccio qui?
Mi siedo, e gli chiedo cosa è venuto a fare a Parigi. Lui dice è una lunga storia (ahi). E comincia a raccontarmi la sua vita. Anzi, non dice la sua vita. Questa sarebbe la sua terza vita. Dice è la mia terza vita e tu quante vite hai avuto? Cioè, mi chiede proprio così: tu quante vite hai avuto?
Che ci faccio qui?
Non mi viene in mente nulla di spiritoso, in realtà non capisco neppure di che cazzo stia parlando. Dico boh, credo neppure mezza. Poi la padrona dell'enoteca ci dice che dobbiamo levarci dai coglioni perché il tavolo è riservato e sono arrivati i clienti.
Lo porto in un ristorante abbastanza pessimo. Si mangia. Lui continua a raccontarmi la sua vita. È venuto a Parigi con 5000 euro in tasca. Fino alla fine non capirò perché. Pare abbia pure una ragazza a B., in Italia, poi dice che è brutto ma da seduttore ha la battuta pronta, però qui col francese se la cava maluccio e parla male il francese, insomma gli piacerebbe rimorchiare. Alle undici e mezza gli propongo di alzarci e uscire, lui mi chiede per andare dove? Io andrei a casa, se vuoi possiamo farlo a piedi (lui va nella stessa mia direzione). Cinque minuti dopo siamo davanti alla fermata della metro, Rambuteau, e fa freddo e sono stufo. Prendiamo la metro, dai. Prima di lasciarci lui fa la seguente considerazione, dice che il sesso con le francesi un po' lo preoccupa, perché insomma i francesi non hanno il bidé in casa. Eh già, vecchio problema, faccio io, ma cosa c'entra col sesso? Sì, insomma, perché solitamente prima ci si lava. Ah sì, cioè una dice sul più bello, aspetta che mi lavo? Ma no, che c'entra, è che in Italia "quasi sempre" (mi ricordo quel "quasi") dopo che uno o una ha fatto la cacca si lava col bidé. E vabbé, dico, però il sesso che c'entra? Mah, sai, pensavo per quella cosa che si chiama cunnilingus...
(Un'immagine: sono mesi che medito di mettere una scena di "Rules of Attraction" di Ellis adattato da Avary. Si vede un ragazzo che si sveglia e va al cesso a cacare. Poi srotola un pezzo di carta igienica e si pulisce il culo due, tre volte. A un certo punto guarda il pezzo di carta con cui si è strofinato. Sconsolato, si rende conto che l'operazione non è finita. Il culo è ancora sporco. Gli tocca proseguire. Non ricordo se l'operazione controllo/avvilimento/ripresa delle operazioni si ripeta più di una volta. Comunque metterei la sequenza col titolo "La condizione umana".)


Shadowboxing





lunedì 8 dicembre 2008

Jean Louis Schefer o la solitudine dell'immagine

La vita criminale di Archibaldo de la Cruz trae origine da un ricordo d’infanzia. Non serve un motivo, basta un motivetto: quello del carillon, da lui azionato mentre la bella governante osservava dalla finestra una sommossa popolare. Le rotelle del giocattolo innescano magiche causalità, complice l’ossessione: la ballerina-automa ruota su se stessa, sgranando la melodia della nevrosi; l’irrefrenabile erotismo di un impulso omicida attraversa la mente del bambino; carica della polizia, colpi di pistola; una pallottola colpisce la governante, che si accascia al suolo, irrigidita in una posa lasciva. Da quella notte, Archibaldo non penserà ad altro che a trasformare quel primo caso in necessità, a volgere l’affetto feticista in azione omicida, a farsi protagonista dei propri desideri di amore e morte. Ma il destino seguiterà a beffarlo, votandolo a una carriera di incolpevole omicida seriale, disseminata di morti violente senza delitto né castigo, e condannandolo alla suprema umiliazione del lieto fine. Estasi di un delitto, Luis Buñuel, 1953.



Il sonno del signor Ferrand è tormentato da un incubo, il cui segreto viene svelato progressivamente: è notte e la città dorme; il silenzio è rotto da un ticchettio regolare; il rumore si fa sempre più vicino, sempre più minaccioso. È prodotto da un bastone bianco, che tasta affannoso il selciato. Chi lo impugna è cieco: senz’altro lo stesso Ferrand, bambino. Ma è solo una finzione criminale: il bastone passa attraverso la grata di un cinema chiuso, l’estremità ricurva serve ad avvicinare il carrello delle fotografie del film Quarto potere. Il bambino stacca le immagini ad una ad una, le infila sotto il braccio e fugge a gambe levate, passando davanti a un negozio specializzato in apparecchi acustici. Ferrand si sveglia di soprassalto. Ora fa il regista, ed è sordo. Effetto notte, François Truffaut, 1973.



Ne L’uomo comune del cinema, lo storico dell’arte Jean Louis Schefer — allievo di Barthes e autore di numerosi saggi di semiotica figurativa, dedicati a Paolo Uccello, al Correggio, a El Greco, a Goya o a Chardin — perpetra per trentaquattro volte un analogo delitto, riesumando dal tessuto della propria memoria altrettanti fotogrammi: immagini strappate a un’arte dove l’illusione del movimento serve a mascherare “l’origine del crimine”, ossia il tempo, trasformando lo spettatore in solito sospetto. È un piccolo classico della letteratura cinematografica, e il lettore italiano ha dovuto aspettare un quarto di secolo per poterne finalmente leggere la traduzione dal francese, una vera e propria impresa condotta da Michele Canosa per le edizioni Quodlibet (Macerata).
A metà strada tra il saggio e l’autobiografia in absentia, Schefer ruota attorno all’esperienza della proiezione cinematografica, e fa della stessa proiezione una ruota (o una sfera) il cui centro invisibile coincide con l’occhio dello spettatore. La fonte di luce del libro si trova nella prima parte, appunto dedicata ai fotogrammi cinematografici, ciascuno di essi accompagnato da un testo breve che sembra richiamarsi alla poesia in prosa o, più precisamente, al blasone. Non sono quasi mai foto posate, ma scatti che in origine si inserivano in sequenze drammatiche, comunque dinamiche. Sono dunque fotografie rare, sconosciute, non sempre di qualità eccelsa, in un bianco e nero spesso sgranato. Il testo che le accompagna non è mai infondato, eppure non si limita a commentare le immagini: sembra piuttosto produrle, come se il fotogramma non preesistesse all’“uomo comune”, ma fosse il prodotto, lo “scatto” del ricordo, incerto tra una promessa di azione e la dissolvenza. La memoria dello spettatore-Schefer diventa in tal modo una camera oscura, e quel che in esso è restato imprigionato (impressionato) “non è il contrario dell’oblio, piuttosto il suo rovescio” come diceva Chris Marker nel film Sans soleil.

randian.jpg

L’esperienza dello spettatore è stata spesso paragonata a quella di una persona che sogna. E se il sonno della ragione (o della memoria) genera mostri, non sorprende allora che tutte le immagini di Schefer abbiano il sapore di un incubo. I fenomeni da baraccone in Freaks di Tod Browning, capitanati dal torso umano Prince Randian: “Questo coso è ancora un uomo? già un mostro? Un uomo non coincide forse col suo viso, cioè lì dove può essere indifferentemente sublime e atroce? Non so perché questo personaggio di Freaks condensato o ridotto a un solo membro in fasce (un membro e non un organo), a un manicotto rampante, come ci mostra la fotografia, evochi l’idea husserliana di quella curiosa sottrazione dei fenomeni che permette di raggiungere l’essenza”. E la Mummia sbrindellata di Terence Fisher: “Questa bambola gigantesca, fatta di stracci, di bende (tutto il suo corpo è una corazza purulenta), diventa, fin nei suoi occhi fasciati, uno sguardo della putrefazione che condanna il mondo”. Ma anche il volto incipriato della Nanà di Jean Renoir: “Questo essere non è desiderabile (porta persino la maschera dell’odio verso il desiderio), non è semplicemente mai sazio: è un essere che può tramutare il mondo intero in cibo”. Persino Stanlio & Ollio, Buster Keaton o Charlot sono mostruosi, quando la mente li proietta alla luce di una pallida lampadina nuda, nella cantina dove il bambino Schefer, futuro “uomo comune del cinema”, aspettava che passassero i bombardamenti, la guerra e l’infanzia: “Eppure è solo l’immagine, anzi di più: è la solitudine di quest’immagine”.
E se Schefer decompone e riduce un intero film all’infelicità senza desiderio di una sola immagine, forse è anche perché l’immagine stessa è chiamata alla decomposizione della pellicola, a un destino di disfacimento: “Ma da dove vengono i film?” si chiede Canosa nella postfazione: “e, poi, dove vanno? Comunque sono andati, quanto dire: sono film di un altro tempo (l’infanzia), ma anche spersi, consumati, ormai corrotti. Quel che resta è polvere”.
Un nulla? No: un (non)nulla. Ma se è così, allora perché Archibaldo de la Cruz afferma che il suo ricordo infantile, delizioso e delittuoso, gli è rimasto impresso nella memoria “come fosse una fotografia”?

domenica 7 dicembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVIII — SPARSE LE ALGHE MORBIDE

Indovina il titolo del film e vinci tre perle d'ostrica. Se non hai trovato, mercoledì potrai vedere un filmato più lungo e un'ostrica che si richiude. Venerdì la soluzione sarà talmente facile che meriterai una sola perla.



P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l'avvocato Giorgio Poseidone e possono essere consultate qui. Ma i subbacqui dilettanti possono sempre allenarsi nella marana.

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA DOMENICA 7 DICEMBRE ALLE 15.49.
IL CORPO DI OFELIA È STATO RIPESCATO DA MALVINO, NOTO ANCHE COME "LA LILLIAN GISH ITALIANA": ASSIEME A SHELLEY WINTERS RACCOGLIE TRE PERLE PIAZZANDOSI IN TERZA POSIZIONE AL SUO PRIMO TENTATIVO: COMPLIMENTI, PERCHÉ IL GIOCO ERA DIFFICILE, SECONDO ME.
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "LA MORTE CORRE SUL FIUME" (TITOLO ORIGINALE: "NIGHT OF THE HUNTER", CAPOLAVORO E UNICO FILM DI CHARLES LAUGHTON). ENTRO STASERA, TEMPO PERMETTENDO, MOSTRERÒ L'INTERA SEQUENZA.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 14 DICEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 10 perle
.
arcomanno: 6
perle.
malvino: 3 perle.
andrea: 2
perle.
desaparecida: 2
perle.
orsopio: 1
perla e mezzo.
rabbi: 1
perla e mezzo.
adlimina: 1 perla
.

venerdì 5 dicembre 2008

Dacci un Taglio

Se bella giu satore
Je notre so cafore
Je notre si cavore
Je la tu la ti la twah

La spinash o la bouchon
Cigaretto Portabello
Si rakish spaghaletto
Ti la tu la ti la twah

Senora pilasina
Voulez-vous le taximeter?
Le zionta su la seata
Tu la tu la tu la wa

Sa montia si n’amora
La sontia so gravora
La zontcha con sora
Je la possa ti la twah

Je notre so lamina
Je notre so cosina
Je le se tro savita
Je la tossa vi la twah

Se motra so la sonta
Chi vossa l’otra volta
Li zoscha si catonta
Tra la la la la la la!

Dopo aver resistito per nove anni al sonoro, Charlie Chaplin si decide, in Tempi moderni (1936), a far ascoltare la sua voce. La canzone “Titine” sarà il solo suono emesso dal personaggio Charlot.

martedì 2 dicembre 2008

Dacci un Taglio

Il cinema, persino il cinema muto, non è mai riuscito ad essere un cinema completamente silenzioso: si tratta più che altro di un cinema assorbito dal mormorio (per esempio, le didascalie lette a bassa voce ai bambini nel corso della proiezione). E attraverso il silenzio bisbigliato nelle prime immagini, un ritorno di questa polvere nel nostro intimo, di questa luce, di questi corpi grigi; come se un bambino, seduto dentro di noi, ci tenesse ancora per mano.
Jean Louis Schefer, L’uomo comune del cinema (traduzione di Michele Canosa), Quodlibet, Macerata 2006, p. 87.

lunedì 1 dicembre 2008

Stanley Kubrick for dummies

kubrick_and_weegee.jpg
Stanley Kubrick e il fotografo Weegee.

II

1962-1999

LOLITA, 1962
Humbert Humbert perde la testa per Lolita, che porta occhiali a forma di cuoricino e succhia ancora i leccalecca. Ma lo perseguita Quilty, sempre pronto a guastargli la festa e ad assillarlo con allusioni oscene. Forse non esiste, forse è un fantasma dell’Overlook Hotel, o un monolito pecoreccio. Forse è solo la voce della coscienza, grottesco senso di colpa (Quilty/Guilty). Nel libro di Nabokov Kubrick intravede quello che, assieme all’Odissea, è il suo mito primordiale: Pinocchio.

DOTTOR STRANAMORE, OVVERO COME IMPARAI A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA BOMBA (DR. STRANGELOVE OR: HOW I LEARNED TO STOP WORRYING AND LOVE THE BOMB, 1964)
Doveva essere un film serio: follie individuali, errori nel sistema di comunicazione e dispositivi segreti di reazione “preventiva” rendono possibile l’annientamento termonucleare dell’umanità. Ma nella strada che porta alla morte, troppa Vodka, troppa Coca-Cola, troppi missili fallici, troppi fluidi vitali repressi. E troppi, troppi Peter Sellers. Kubrick ce la mette tutta per ritardare l’esplosione, ma alla fine scoppia a ridere (e pare che nel film lo si possa sentire). L’atto di nascita del cinema demenziale.

2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (2001: A SPACE ODYSSEY, 1968)
Furiosamente ateo, Kubrick fissa su pellicola un’immagine di Dio in grado di soddisfarlo: un parallelepipedo regolare, senza asperità, opaco e perfetto. È un buco nero, e chi lo attraversa compie “the ultimate trip”, come promettevano le locandine dell’epoca (con doppi e tripli sensi). Come capita spesso alle anticipazioni, il tempo ha trasformato 2001 in ucronia. Ma stavolta le previsioni erano rigorosamente esatte; siamo noi a vivere in un presente sbagliato. Cambiamolo.

ARANCIA MECCANICA (A CLOCKWORK ORANGE, 1971)
Tanto il futuro di 2001 assumeva le sembianze di una tecnologia asettica proiettata nel cosmo, tanto l’avvenire piccolo borghese dell’Inghilterra di Alex DeLarge promette solo fatiscenti periferie metropolitane, ascensori rotti, graffiti osceni, barbarie e ultraviolenza. La scimmia preistorica, divenuta feto astrale alla fine di 2001, non sfocia nel superuomo, ma regredisce fino a ritrovare le proprie origini, neonato bestiale “senza legge” (A-lex).

barry_lyndon_ver2.jpg

BARRY LYNDON, 1975
Modificando l’obiettivo Zeiss, Kubrick trasforma la cinepresa in macchina del tempo. Si ritrova nell’Inghilterra del Settecento, pochi anni prima della Rivoluzione francese. Sembra un documentario “impossibile”, ma le focali sensibilissime obbligano le persone all’atarassia delle belle statuine. Poco male: tanto non hanno nulla da dire. Finché uno di loro lascia cadere il braccio lungo il corpo, e invece di uccidere il nemico, spara per terra. Ed esce dal quadro.

SHINING (THE SHINING, 1980)
Jack Nicholson, Shelley Duvall e il figlio scelgono di passare l’inverno all’Overlook Hotel, costruito su un cimitero indiano. Pessima idea. Il figlio pedala solo soletto sul suo triciclo, e a furia di girare in tondo confonde ieri, oggi e domani. L’albergo è infestato di fantasmi dei roaring Twenties; la famiglia americana, già dissestata di suo, se la divorano a mezzanotte, obbligando padre e figlio a un remake gore di Bip-bip e il coyote. Ma a ridere resta solo Jack: in una fotografia scattata al ballo della festa dell’Indipendenza, il 4 luglio 1921.

FULL METAL JACKET (1987)
Dallo smoking dei fantasmi all'uniforme dei marines, dai cessi rossi dell'Overlook Hotel alle latrine blu di Parris Island: un world full of shit, letteralmente, in cui i soldati del sergente Hartman sono immersi come fosse l'unico dei mondi possibile, grazie a un eraserhead (film amatissimo dal regista) e reset cerebrale. Poi tutti a perdersi nel labirinto di Hue, senza sapere di essere a Londra. Un film ossessionato dall'assenza di donne, con una prima parte dedicata al fucile da battezzare con nomi femminili e una seconda che si chiude sul volto di una vietcong morente. Al centro, un culo di prostituta che si allontana ancheggiando. Un film tagliato in due: non come un'arancia; piuttosto come due natiche.

EYES WIDE SHUT (1999)
Un progetto perseguito per più di trent'anni, realizzato fino all'ultimo respiro di un montaggio a mio avviso non definitivo. Un uomo qualsiasi, come qualsiasi erano Dave Bowman o Jack Torrance, scopre attraverso il moltiplicarsi dei fenomeni sessuali che altro controlla, determina e dirige la sua esistenza. E che questo altro, questa "stoffa di cui son fatti i sogni” non è che il Tempo, qui incarnato nel perdurare eterno del desiderio fisico. Sì, la parola "forever" che le gemelle macellate sussurravano al piccolo Danny è terrificante, come nota Nicole Kidman. Meglio scopare.

domenica 30 novembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVII — AUTOSTRADE DELL'INFORMAZIONE

Adesso noi vediamo come in uno specchio, col profilo sbagliato; allora diventa mio amico comunista e ci vediamo su facebook.
Antonio Gramsci a Gesù di Nazareth, e-mail da second death, ed. Vallasapé, Sim City 2008, p. 33.

Indovina il titolo del film e aggiungi tre francobolli alla tua collezione.

P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l'ufficio postale e possono essere consultate qui. Ma se ti senti retrò, puoi sempre usare i segnali di fumo.



ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA LUNEDÌ 1 DICEMBRE ALLE 23.16.
LA LETTERA PNEUMATICA È STATA AFFRANCATA DA BIANCA, CHE CON TRE FRANCOBOLLI RAGGIUNGE UN PUNTEGGIO A DUE CIFRE E SI AVVICINA PERICOLOSAMENTE ALLA VITTORIA DEFINITIVA.
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "BACI RUBATI" DI FRANÇOIS TRUFFAUT.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 7 DICEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA

bianca: 10 francobolli.
arcomanno: 6
francobolli.
andrea: 2
francobolli.
desaparecida: 2
francobolli.
orsopio: 1
francobollo e mezzo.
rabbi: 1
francobollo e mezzo.
adlimina: 1
francobollo.

sabato 29 novembre 2008

Dacci un Taglio

carton nosferatu.jpg

Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, 1922) di F.W. Murnau.

giovedì 27 novembre 2008

Le parole e le cose

Sei Shonagon, damigella d’onore della principessa Sadako all’inizio dell’XI secolo, aveva la mania delle liste: lista delle “cose eleganti”, delle “cose desolanti”, o ancora delle “cose che non vale la pena fare”. Un giorno ebbe l’idea di scrivere la lista delle “cose che fanno battere il cuore”.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).

Una volta, alla metà del XIX secolo, tutte le cose più preziose al mondo venivano raccolte nel Palazzo di Cristallo a Londra: il radiotelegrafo di Siemens, i coltelli di Solingen, le stufe di ferro britanniche, divani con portacatino in cartone, cannoni Krupp (allora non in commercio). Questi erano gli antenati di tutti i prodotti moderni. Nel 1937 l’edificio andò distrutto dalle fiamme, esattamente quattro anni dopo l’incendio del Reichstag. Da allora le cose non hanno più un parlamento.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).

… notoriamente, non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo. "Il mondo" scrive David Hume, "è forse l'abbozzo rudimentale di un dio infantile che lo abbandonò a metà dell'opera, vergognandosi della sua esecuzione deficiente; è fattura di un dio subalterno, del quale gli dèi superiori si burlano; è la confusa produzione di una divinità decrepita, tenuta in disparte, che è già morta" (Dialogues Concerning Natural Religion, V, 1779). Si può andare più lontano; si può sospettare che non vi sia universo nel senso organico, unificatore, che ha questa ambiziosa parola. Se c'è, bisogna immaginare il suo fine; bisogna immaginare la parole, le definizioni, le etimologie, le sinonimie, del segreto dizionario di Dio.
Jorge Luis Borges, "L'idioma analitico di John Wilkins", in Altre inquisizioni (1952), trad. it. di Francesco Tentori Montalto.

martedì 25 novembre 2008

Dacci un Taglio

— Sei offeso, micione? Sei arrabbiato?
— Ma no che non è arrabbiato, il micione. È stanco. D’altronde lo hanno annunciato alla televisione: “I micioni sono stanchi”.
Clarisse (Michèle Mercier) e Charlie Kohler alias Edouard Saroyan (Charles Aznavour) in Tirate sul pianista (François Truffaut, 1960).

lunedì 24 novembre 2008

Ladri, briganti e maleducati

L'idea era che si lascia questo mondo a mani vuote e con dispiacere.
Otar Ioseliani

ioseliani2.jpg

Negli ultimi mesi mi è tornata in mente due volte una lunga intervista che mi rilasciò Otar Ioseliani nel 1997 e che pubblicò gentilmente la rivista "Cinecritica". La prima fu quest'estate, durante la "drôle de guerre" in Georgia, provocata da un pupazzetto imbecille confusamente pilotato dagli americani. Ennesima azione militare pensata a tavolino dall'amministrazione Bush, ed ennesima sconfitta. La seconda volta fu due settimane fa, quando lessi questa notizia.
Siccome il numero di "Cinecritica" è difficilmente rintracciabile, con qualche lieve correzione metto a disposizione il testo integrale dell'intervista in pdf. Per scaricarla, clicca sul link:
Intervista


domenica 23 novembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVI — BAD SANTA

— Presto avremo un bambino! Me l’ha detto il dottore. Sarà il mio regalo di Natale.
— Ma a me bastava una cravatta!
Louise (Janet Margolin) e Virgil Starkwell (Woody Allen) in Prendi i soldi e scappa (Woody Allen, 1969).


Locandina straniera di un blockbuster. Mi sono limitato a cancellare i nomi del cast e il titolo: indovinalo e metti tre pesos sotto l'albero!

P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso un notaio finlandese e possono essere consultate qui. Se non ti piacciono i miei regali, puoi rivolgerti alla Befana.

AGGIORNAMENTO (mercoledì 26 novembre): Premesso che la nazionalità del film non coincide con quella del poster (altrimenti sarebbe troppo facile), il seguente indizio riduce la posta a due pesos:
Come dicono i vecchi saggi di Chinatown: "Fatti non foste a vivel come bluti".

AGGIORNAMENTO (venerdì 26 novembre): Due nuovi indizi forniti incautamente da Stenelo nel terzo commento a questo post. La posta si riduce a un peso e mezzo.

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA SULL'ALTRO TAVOLO DA GIOCO VENERDÌ 28 NOVEMBRE ALLE 13.39.
IL VINCITORE È IL BELLI DEL XXI SECOLO, ORSOPIO, CHE SI AGGIUDICA UN PESO E MEZZO.
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "GREMLINS" DI JOE DANTE, DI CUI ORA POSSO MOSTRARE IL POSTER (POLACCO) SENZA MANOMISSIONI.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 30 NOVEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA

bianca: 7 pesos.
arcomanno: 6 pesos.
andrea: 2 pesos.
desaparecida: 2 pesos.
orsopio: 1 peso e mezzo.
rabbi: 1 peso e mezzo.
adlimina: 1 peso.

sabato 22 novembre 2008

Dacci un Taglio

Silvio Berlusconi ha vinto la sua battaglia. Consentitemi di dire che l’ha vinta con grande coraggio, che l’ha vinta quasi contro tutto e quasi contro tutti. Perché? Perché l’ha vinta contro la gran parte della stampa, la gran parte dell’informazione radiotelevisiva. E l’ha vinta anche contro molti che gli consigliavano — in amicizia — di non fare questo passo.
Quasi contro tutto e quasi contro tutti, il giornalista Emilio Fede (Emilio Fede) la sera del 28 marzo 1994 in Aprile (Nanni Moretti, 1998).

lunedì 17 novembre 2008

Stanley Kubrick for dummies

kubrick1.gif
Prima foto venduta dal sedicenne Kubrick alla rivista "Look".
Scattata il 12 aprile 1945, giorno della morte di Roosevelt,
fu inserita nel numero del 26 giugno 1945.


I
1951-1960


2001 è un’esperienza di tipo non verbale. Ho cercato di creare un’esperienza visiva che trascendesse i limiti del linguaggio e penetrasse direttamente nel subconscio con la sua carica emotiva e filosofica”: così Stanley Kubrick in un’intervista a "Playboy". Un’ambizione che percorre l’intera opera del prima fotografo e poi regista statunitense. Un cinema ‘non verbale’, seppur parlatissimo; fatto di lunghi carrelli, di movimenti labirintici che conducono al vicolo cieco del fermo immagine, del fotogramma (o del quadro, o del monolito) congelato; narrato con la paratassi tipica dell’infanzia e dei racconti fondatori, pensato per un pubblico adulto. I suoi “film-cervello” (Deleuze) sono ambigui, paradossali, sinuosi: comunque non verbalizzabili, se non affidandosi a ossimori. Dire che qui l’esigenza si coniuga perfettamente con la spettacolarità sarebbe poco meno di un errore. L’esigenza di Kubrick è naturalmente spettacolare, e lo spettacolo squisitamente esigente. Richiede eyes wide shut.

DAY OF THE FIGHT, 1949
A ventun anni, Kubrick abbandona la pur promettente carriera di fotografo. Per la sua prima prova cinematografica si ispira a una serie di clichés scattati per "Look”: la giornata del peso medio Walter Cartier, dal risveglio mattutino, tra i quattro muri dell’appartamento che divide col fratello gemello, allo scontro serale, nel quadrilatero del ring. Molto più che un’esercitazione, è una vera e propria sinopia dei grandi affreschi a venire. Le riprese di boxe colpirono Scorsese, che se ne ricorderà per Toro scatenato.

FLYING PADRE, 1951
Il reverendo Fred Stadtmueller guida personalmente un aeroplanino per coprire lo spazio che separa le sue parrocchie nell’arcipelago del New Mexico. Secondo cortometraggio del giovane Kubrick, che all’epoca non aveva paura di volare e sapeva pilotare un Cessna. Una curiosità.

FEAR AND DESIRE, 1953
Il primo lungometraggio, autoprodotto e subito ripudiato dallo stesso regista, che si rifiutò di mostrarlo (anche se di tanto in tanto qualche festival riesce a metter le mani su una copia, e credo sia stato trasmesso in televisione da Enrico Ghezzi). Non l'ho mai visto, ma da quel che ho letto sembra una bozza un po' verbosa dei temi a venire (il doppio, la guerra, la donna) e una sorprendente anticipazione di Full Metal Jacket.

THE SEAFARERS, 1953
Documentario industriale. Non l'ho mai visto, ma credo che il suo unico interesse sia quello di fornire a Kubrick l'opportunità di sperimentare per la prima volta il colore.


IL BACIO DELL’ASSASSINO (KILLER'S KISS, 1955)
Rinnegata la sua prima opera, il regista non andava fiero neppure della seconda. Sbagliava. L’inseguimento finale sui tetti, in una New York diurna eppure misteriosamente deserta (un labirinto a cielo aperto), la lotta nella fabbrica di manichini, i personaggi caratterizzati con l’accetta (in senso figurato e letterale: si veda il futuro Shining), il disprezzo della continuità temporale: un film scritto, fotografato, montato, prodotto e diretto da Stanley Kubrick.

RAPINA A MANO ARMATA (THE KILLING, 1956)
Sterling Hayden organizza un colpo grosso all’ippodromo: ha previsto e calcolato tutto, ma non la possibilità che il tempo impazzisca. La struttura narrativa esplode, e il vento sparpaglia le banconote. La rapina fallisce, ma il film è il primo capolavoro di Kubrick, che all’epoca disse: “Gangster e artista hanno una cosa in comune. Ammirati e idolatrati da tutti quando le cose vanno bene, sono i primi che poi il mondo vuol distruggere, l’uno per paura, l’altro per invidia”.

ORIZZONTI DI GLORIA (PATHS OF GLORY, 1957)
Una cerniera nell’opera di Kubrick, che per la prima volta parlò della sua volontà di coinvolgere il pubblico in un’esperienza il cui significato non fosse comunicabile verbalmente (si veda lo sconvolgente e ambiguo finale). Un teorema sul potere, realista e disincarnato. La guerra rivela e divide due spazi: lunghi carrelli in profondità nell’angusta trincea, carrelli laterali e avvolgenti negli immensi saloni dal pavimento a scacchiera del castello. A fare da pedine, gli uomini.

SPARTACUS, 1960
A riprese appena iniziate, l'attore-produttore Kirk Douglas sostituisce Anthony Mann con Kubrick, di cui aveva finanziato e interpretato Orizzonti di gloria. Il regista non gradiva la sceneggiatura progressista e metaforica del blacklisted Dalton Trumbo. Avrebbe voluto uno Spartaco più rozzo e feroce, conferendo al personaggio spessore, ambiguità e verosimiglianza. Le scene di battaglia restano comunque memorabili. Kubrick e Douglas non lavoreranno più assieme, ma grazie a questo kolossal il regista otterrà il potere e la libertà.

(CONTINUA)

Playlist con brani dai film citati. Puoi saltare da un filmato all'altro cliccando sui lati dello schermo.

domenica 16 novembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XV — CHE VUOLE QUESTA MUSICA STASERA

— We don't have beer. Just tequila.
— What's tequila?
— Uh, it's like beer.
Un barista messicano e Ned Nederlander (Martin Short) ne I tre amigos (John Landis, 1986).

Oggi la soluzione sarà ricompensata con quattro pesos.

P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso lo studio del Console Firmin e possono essere consultate qui. Se preferisci il mezcal alla tequila, puoi rivolgerti a un'altra bodega.
AGGIORNAMENTO (mercoledì 19 novembre): Il titolo originale ha un rapporto con l'esergo. La posta scende a tre pesos.
AGGIORNAMENTO (giovedì 20 novembre): Il titolo originale e anche quello italiano hanno un rapporto con questo post. La posta scende a due pesos e mezzo.
AGGIORNAMENTO (sabato 22 novembre). Indizio geografico-esistenziale nell'altra bodega. La posta scende a due pesos.

LA PARTITA SI È CONCLUSA SENZA VINCITORI.
IL FILM DA TROVARE ERA STELLA SOLITARIA (LONE STAR, 1996) DI JOHN SAYLES.
TRE PESOS TORNANO IN PALIO PER LA
SFIDA DI DOMENICA 23 NOVEMBRE.


giovedì 13 novembre 2008

Elektra

LOS ANGELES - Le stelle di Hollywood non brillano più. Succede nella celebre Walk of Fame, il mitico marciapiede dove sono impressi i nomi delle celebrità del mondo dello spettacolo. La strada è davvero malridotta, tanto che la Camera di Commercio di Hollywood ha già disposto il restauro del pavimento della celebre passeggiata. Particolare attenzione meritano le stelle più “usurate”, quelle di Walter Matthau e Burt Lancaster. Nel complesso, ne saranno risistemate circa un centinaio per l'ammontare di 4,2 milioni di dollari. Creata nel 1958, la Walk of Fame tornerà all'antico splendore entro il 2010.
Hollywood - La via delle stelle cade a pezzi (articolo non firmato), “la Repubblica”, giovedì 24 luglio 2008, p. 41.


lunedì 10 novembre 2008

Voltati Stenelo

Questo albergo non è una casa, come dice da un'eternità Delbert Grady. Siamo in Colorado, mica a Riccione. Un fantasma e uno zombi nella stessa suite fanno a cazzotti. Così Stenelo e io abbiamo deciso di separarci. Ero stufo di doverlo sempre aspettare, nel labirinto di siepi. Gli ci vogliono cinque minuti per fare cento metri: quando e se si arrivava, la splendida festa di morti era già finita da un pezzo. Tanto non lo avrebbero mai fatto entrare perché è vestito uno schifo. E poi è sporco. E poi puzza.
Ma mi ci ero abituato, e un po' mi è dispiaciuto quando il 31 agosto scorso l'ho visto fare le valigie, con tutti i pedalini spaiati, le scarpe da tennis sfondate e i pantaloni pieni di chiazze sospette. Ha sollevato appena il cappello di paglia: "Ciao core, qui comincia a far freddo, me ne vado a vivere a casa d'amici, in un seminterrato zozzo, illuminato male". Chi vuole può ritrovarlo là, mentre si decompone inesorabilmente.

Un tempo Stenelo voleva fare l'attore. E anche lui avrebbe potuto avere il suo minuto di celebrità, in un film su persone più di là che di qua. Ma il regista giudicò l'interpretazione troppo monotona (mentre Sten la considera un capolavoro, brontolando che a Pittsburgh non capiscono il minimalismo kabuki) e ridusse l'inquadratura a meno di due secondi. Siamo tuttavia riusciti a ritrovare la sequenza originale e la diffondiamo a mo' di omaggio per un ospite non troppo gradito.



P.S.: Puoi sempre andare a salutare Stenelo cliccando sul suo ritratto, in alto a destra. Sempre che tu non abbia paura dei mozzichi.

domenica 9 novembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XIV — BURNING DOWN THE HOUSE

Ma l'esserci, oltrepassando l'ente nel suo progetto di un mondo, deve oltrepassare se stesso per potere, da questa altezza, comprendere se stesso come fondo abissale. Ma a sua volta questa abissalità dell'esserci non è qualcosa che possa offrirsi a una dialettica o a una analisi psicologica. Lo spalancarsi del fondo abissale nella trascendenza fondante è piuttosto il movimento originario che realizza con noi la libertà, e perciò "ci dà a intendere", cioè ci prospetta come contenuto originario del mondo, che quanto più originariamente esso è fondato, tanto più semplicemente raggiunge, nell'agire, il cuore dell'esserci, cioè la sua ipseità. La malaessenza viene perciò soltanto oltrepassata, nell'esistere effettivo, ma mai eliminata.
Martin Heidegger, "Dell'essenza del fondamento" (1928), in Segnavia (trad. it. Giorgio Colli), Adelphi, Milano 1987, p. 130.

I due sesterzi di domenica scorsa restano in palio. Riconosci da che film è tratta questa sequenza e sono virtualmente tuoi.
Un primo indizio è nascosto nell'esergo.
Mercoledì ne aggiungerò un secondo e mi riprenderò mezzo sesterzo.
Venerdì ne spunterà un altro, ma sul piatto rimarrà una sola patacca: pare che a Porta Portese puoi comprarci ancora una bambolina bruciata.

P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l'avvocaticchio di Patti e possono essere consultate qui. Ma se non ti fidi, puoi rivolgerti a un'altra caserma dei pompieri.

AGGIORNAMENTO (mercoledì 12 novembre). Un indizio sonoro, mezzo sesterzo in meno.




ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA SULL'ALTRO TAVOLO DA GIOCO GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE ALLE 23.52.
IL VINCITORE È "RABBI": SETTIMANE FA UN CERTO "RABBINOCAPO" SI ERA AZZARDATO A SCOMMETTERE. O LA GERARCHIA LO HA DECLASSATO, O SI TRATTA DI DUE PERSONE DIVERSE. IN ATTESA DI NOTIZIE DAL SINEDRIO, LO ISCRIVO IN GRADUATORIA COME "RABBI".
IL TITOLO DA INDOVINARE ERA "BADLANDS" (IN ITALIANO "LA RABBIA GIOVANE"), IL PRIMO FILM E A MIO PARERE IL MIGLIORE DI TERRENCE MALICK.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 16 NOVEMBRE. LA POSTA IN GIOCO E LA VALUTA SONO ANCORA IN FORSE.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA

bianca: 7 sesterzi.
arcomanno: 6 sesterzi.
andrea: 2 sesterzi.
desaparecida: 2 sesterzi.
rabbi: 1 sesterzo e mezzo.
adlimina: 1 sesterzo.

venerdì 7 novembre 2008

Dacci un Taglio

Dato che sono un duro non mi aspetto di piacervi! Ma più mi odierete e più imparerete! Io sono un duro però sono giusto! Qui non si fanno distinzioni razziali! Qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani! Qui vige l’eguaglianza: non conta un cazzo nessuno!
A Parris Island, scuola di addestramento marines, il sergente istruttore Hartman (Lee Ermey) fa regnare tolleranza e laicità in Full Metal Jacket (Stanley Kubrick, 1987).

mercoledì 5 novembre 2008

Dacci un Taglio

Sono così felice, sono così felice! Nessuno può essere così felice senza essere punito.
La compagna Nina Ivanova Yakushova (Greta Garbo) in Ninotchka (Ernst Lubitsch, 1939).

martedì 4 novembre 2008

Dacci un Taglio

DUTTON PEABODY (Edmond O’Brien): Datemi da bere!
TOM DONIPHON (John Wayne): Il bar è chiuso. Per disposizione del signor Stoddard, il bar è chiuso. Richiedono altro, le elezioni?
RANSOM STODDARD (James Stewart): Nient’altro, legalmente sono concluse.
TOM DONIPHON: Allora il bar è aperto!
Elezione dei delegati nell’unico bar-saloon della cittadina di Shinbone, a sud del Picketwire e a ovest di tutto il resto: L’uomo che uccise Liberty Valance (John Ford, 1962).

lunedì 3 novembre 2008

Il naso di Obama

“Il film Zombi 2 di Lucio Fulci è un’ucronia in via di costituzione” scriveva Jean-Patrick Manchette. E subito aggiungeva, nel caso qualcuno non capisse: “È vietato ai minori; saggia decisione; un’ucronia in via di costituzione non è uno spettacolo per bambini.” Di Lucio Fulci ci occuperemo un’altra volta. Oggi parliamo di ucronie, quindi è meglio allontanare i bambini.


Ucronia è un concetto inventato nel 1876 dal filosofo Renouvier, sul modello di utopia: dal greco chronos, preceduto dal privativo ou. Letteralmente: non-tempo. Pertiene alla narrativa, ma dato che le sue origini sono filosofiche, è racconto filosofico, e la sua sede naturale è la letteratura fantastica. Consiste nel modificare un punto del passato e nell’osservare la conseguente catena di effetti. Più che un’universo parallelo, è una biforcazione che crea due realtà dove prima ce n’era una sola, e le guarda divaricarsi inesorabilmente. Affinché l’ucronia risulti interessante, essa tende a escludere quesiti del tipo: “e se ieri invece del tiramisù avessimo mangiato una panna cotta?”, perché i cambiamenti nello spazio-tempo sarebbero infimi, per non dire nulli: in ambedue i casi, oggi siamo più grassi. Fa eccezione il doppio film di Alain Resnais, Smoking/No Smoking, dove si fantasticano destini diversi a seconda che la protagonista scelga o meno di fumare una sigaretta, generando una serie di ipotesi narrative che però si concludono sistematicamente con una scena al cimitero.


Il terreno privilegiato dell’esperimento ucronico è la Storia. In tal senso, una delle sue illustrazioni più emblematiche è il pensiero sottilmente derisorio di Pascal: “Il naso di Cleopatra: fosse stato più corto, e l’intera faccia della terra sarebbe cambiata”. Sul concetto di ucronia esistono pochi testi. Uno di essi è il breve saggio Le détroit de Behring — Introduction à l’uchronie (Parigi 1986), del futuro romanziere Emmanuel Carrère. Qualche anno dopo scrisse uno dei suoi libri migliori, dal bel titolo Io sono vivo e voi siete morti. Philip K. Dick 1928-1982 (tradotto in Italia da Theoria). Non è un caso: Dick è l’autore di una delle ucronie più compiute e conturbanti. Nel libro L'uomo nell'alto castello (1962; da noi edito da Fanucci e precedentemente intitolato La svastica sul sole), immagina che nel 1947 l’Asse abbia vinto la guerra. L’America se la spartiscono tedeschi e giapponesi. Il punto oscuro di biforcazione sembra essere l’assassinio di Roosevelt, avvenuto a Miami nel 1933 (mentre Philip Roth, nel recente Il complotto contro l’America, immagina un incubo analogo, con l’aviatore antisemita e filonazista Lindbergh eletto presidente al posto di Roosevelt il 5 novembre 1940). Dico sembra perché lo stile, quindi la storia, è quello farraginoso, confuso, depresso e a tratti genialoide di Dick. Egli non mostra di interessarsi più di tanto alla sorprendente trovata: i suoi personaggi vi sono immersi come noi siamo impantanati nella realtà che ci è stata assegnata, non sono filosofi e le loro sono preoccupazioni psicologiche (dilemmi tiramisù/panna cotta, per intenderci).
Ma a un certo punto, Dick ha uno dei suoi lampi di genio. Uno scrittore è ricercato dalla polizia. La sua eresia: un libro dove si ipotizza che gli Americani abbiano vinto la guerra. Un’ucronia intitolata La cavalletta non si alzerà più. E qui tieniti forte: la favola narrata è certo molto più simile alla nostra realtà, ma con qualche variazione notevole (si accenna persino a un conflitto anglo-americano). Intanto, le peripezie dei personaggi proseguono desolanti; ma a un paio di essi è riservata un’esperienza singolare: camminando per strada, la realtà sensibile si sgretola, collassa, e nelle vie di San Francisco circolano automobili assai simili a quelle del 1962 “reale”, la gente passeggia spensierata, non si vedono né musi gialli né svastiche. Ma è un attimo di incomprensibile smarrimento, poi tutto rientra nella norma. Alla fine del libro un breve scambio di battute suggerisce che quanto racconta La cavalletta sia la verità, ma senza dire cosa si intenda per verità e come tale intuizione possa modificare il destino (non può, suppongo). Dick non amava le risposte semplici, chi è in cerca di spettacoli per bambini è libero di preferire Matrix.
Nella narrazione audiovisiva, infatti, la migliore trasposizione dell’immaginario dickiano non è un film, ma la serie televisiva West Wing. Descrive un mestiere, nella quotidianità dei suoi retroscena, delle sue regole, con l’inevitabile pizzico di vita privata e sentimentale (il tiramisù). Il mestiere è quello di Jed Bartlet, detto Potus, acronimo per “President of the United States”. La qualità è nella media dei serial degli ultimi vent'anni, ossia ottima: confezione impeccabile, dialoghi scoppiettanti, lunghi piani sequenza che inseguono gli indaffaratissimi membri dello staff presidenziale, interpretati da attori di prim’ordine. Bartlet è Martin Sheen (il capitano Willard di Apocalypse Now). Gli spettatori USA lo videro prendere le funzioni nel 1999. Clinton era uscito illeso dal Monicagate, le elezioni erano per l’anno seguente e Aaron Sorkin, autore della serie, puntò su una vittoria di Al Gore. Bartlet sarebbe stato un democratico sfegatato, un liberal. Alcuni diranno che non era una scommessa irragionevole e che se le cose andarono in modo diverso fu a causa di una truffa avvenuta a Miami, dove nel 1933 era stato ucciso Roosevelt. Può darsi, ma quel che è certo è che nel 2000 andarono in modo diverso. George W. Bush divenne presidente, mentre Bartlet proseguì il suo mandato e quattro anni dopo venne addirittura rieletto: un leader coltissimo, in lotta contro la lobby delle armi, favorevole all’estensione delle libertà individuali, uno che ci pensa due volte prima di invadere militarmente e senza validi motivi uno stato sovrano, ancorché canaglia. West Wing divenne un’ucronia, suo malgrado. A tratti inquietante: non so se si tratti di cattiva ricezione, ma spesso, guardando Bartlet e i suoi discutere nell’ufficio ovale, ho avuto per un attimo la sensazione che l’immagine subisse una lievissima distorsione, come una liquefazione, un tracollo. Chissà.


Nel 2004 Martin Sheen fece dichiaratamente campagna per John Kerry, che pare non perdesse un episodio di West Wing. E stavolta le cose andarono come dovevano andare, perché Kerry non capì che è impossibile modificare il passato e dimenticò di presentarsi come uomo di una vera alternanza. Oltre a Bartlet, avrebbe dovuto ascoltare le parole di un massimo esperto in biforcazioni temporali: “Negare la successione temporale, negare l’io, negare l’universo astronomico, sono disperazioni apparenti e consolazioni segrete. Il nostro destino non è spaventoso perché irreale; è spaventoso perché è irreversibile e di ferro. Il tempo è la sostanza di cui son fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges”.
Ma allora, mi chiederai, a cosa servono queste ucronie? A niente. Se non che l’altro giorno mi son trovato davanti a “Porta a Porta”, che è un talk-show condotto dal giornalista Bruno Vespa. Lo trasmettono in tarda serata; suppongo non sia spettacolo per bambini. Parlava l’onorevole Renato Schifani. Sarà perché ero stanco, ma per un istante mi è sembrato che l’immagine stesse sfarinandosi, come di realtà che collassa. È durato un nulla, ripeto, un bruscolino di tempo, ma ho spento il televisore e sono andato a dormire contento.

P.S.: Questo testo è ucronico: scritto in un punto imprecisato del passato, non ha modificato in alcun modo l'avvenire. Ora pare che Renato Schifani non sia più onorevole. Pare che sia diventato Presidente del Senato. Sì, bum! Addirittura. Mica mi lascio gabbare così facilmente. Lo so che il presente ha degli standard minimi di verosimiglianza, altrimenti collassa.
Lo so.