giovedì 15 gennaio 2015

Same player shoots again?

"La laïcité point final."
Punto e basta. End of story.
C'est du jamais vu/C'est du déjà-vu. Un hebdomadaire (sept jours de réflexion, ça itch rien du tout?) qui se présente comme la résistance suprême aux pouvoirs, aux violences, aux pensées uniques et qui adopte la phraséologie de Tony Soprano et des polémistes les plus démunis des réseaux sociaux. Le tout pour ne rien ébrécher d'une "valeur" dont la solidité ne devrait plus être prouvée, et donc prête à affronter toute discussion avec une cargaison d'arguments relevants d'une sprezzatura universelle. Non, la laïcité-point-final est "intouchable", comme la mère de Bardamu et les vierges qui nous attendent dans l'au-delà.
C'est dément.


domenica 11 gennaio 2015

Fly me

– What in fact has been created? An international community. A perfect blueprint for world order. When the sides facing each other suddenly realize that they're looking into a mirror, they'll see that this is the pattern for the future.
– The whole world as the Village?


– That is my dream. What's yours?

mercoledì 7 gennaio 2015

Come se

Stavolta, invece di ipnotizzarvi come al solito sul momento della sigaretta o su quello della caffettiera bollente, guardate piuttosto come pazzi il modo in cui Fritz Lang inquadra durante i cinquanta secondi che precedono l’esplosione dell’automobile, la scena in cui Glenn Ford e sua moglie dicono buonanotte alla figlia, quella piccola correzione d’inquadratura, sembra che serva ad avvicinarsi a Glenn Ford, non sappiamo che serve ad avvicinarsi alla finestra oscura, è come se Lang ci dicesse che avremmo potuto prevedere, ma che non prevediamo mai. È terribile.
Jean-Patrick Manchette a proposito del Grande caldo (Fritz Lang, 1953), "Charlie Hebdo", n° 483, 13 febbraio 1980.

domenica 4 gennaio 2015

L'ultimo gioco in città

I – THE WIND DOESN'T BLOW

Chi non muore si rivede, come dice un vecchio proverbio haitiano. Tra i motivi dell'interruzione del quiz più in-famous della storia, la legge secondo la quale nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto è googlabile. Immagini e suoni vengono analizzati e subito riconosciuti dalla rete: imitati, duplicati e replicati in varie forme, assimilabili a nuove immagini, a nuovi suoni, della stessa opera. È il trionfo dell'altro e dello stesso. All'ossessione comune di una Deneuve moltiplicata sulla catena di montaggio di pacchetti di sigarette non resta che rispondere con il sublime feticismo di questi assurdi occhiali infiocchettati di rosa confetto. Una cozza, su questo non discuto, ma almeno unica, in un film senza donna. Se riconosci dove appare, ella sarà tua.
Aggiornamento 05/01/2015. Ice walk with me.
Aggiornamento 06/01/2015. Barbed wire and women are the two greatest civilising agents in the world!
Aggiornamento 06/01/2015. Let's have a game, a little lovely game of Roman ping pong – like two civilized senators. Roman ping… You're supposed to say roman pong.

https://picasaweb.google.com/lh/photo/141FMPfHHIrNYMUfxNhNuRThw7QbEpop4Blw07ajo60?feat=directlink



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https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCY04AY9JRDvZvSNQrFe7hjZhyksrcd46-gFmrTTZsdWuTfK-zu5kE0vluJTefpUaADjsj7YnWq8KqZjQdtZQ5axslke9sdWLm-DYE6bmdhSQv-CAzRh6FcM9B3UGbiSKy60eooAxFexI/s800/wind4.png

martedì 26 agosto 2014

It's not personal. It's strictly business

Copincollo qui rielaborandole appena alcune mie riflessioni circa il video di James Foley, scritte a caldo nelle ore che sono seguite alla sua diffusione (tranne l'ultimo punto preceduto da asterischi, di oggi) in una conversazione a più voci che si può leggere interamente qui. Ho rivisto il video varie volte e ho cambiato idea varie volte, fino al punto in cui naturalmente non si hanno più idee. Prendi questo post come una sorta di storify.
Una sola considerazione preliminare: nei minuti successivi alla notizia si è immediatamente attivata in rete la gara allo statement "io non lo guarderò". Un amico retwittava alcune di queste dichiarazioni di fede nolente. Gli scrissi per due volte consecutive, con un'insistenza singolare per le nostre modalità di scambio, dicendogli che il video, stavolta, ci toccava vederlo. Capivo e condividevo la sua rabbia, ma sentivo anche che qualcosa non andava. L'indomani hanno iniziato a manifestare il medesimo atteggiamento giornalisti e opinionisti della comunicazione mainstream. Poi sono arrivati gli editoriali. L'informazione italiana, insomma, ci teneva a comunicare a tutti che non avrebbe studiato la fonte, non avrebbe visto il video (alcuni si son spinti iperbolicamente ad affermare che rifiutavano persino di guardare un solo frame), non avrebbe analizzato nulla, e quindi informava i lettori che si considerava libera dal dovere di fornire qualsivoglia informazione che non riguardasse se stessa e i propri "stati d'animo". Questa giunzione tra rete e mezzi di comunicazione, tra l'io del social network e quello della carta stampata, mi sembra chiudere in bellezza l'estate.

Gli snuff movie, nel nostro immaginario (ché nessuno li ha mai visti) puntano sulla continuità temporale, sul dettaglio cruento in bella mostra, su ciò che viene rappresentato e non sul modo in cui viene rappresentato. Puntare sul modo crea una distanza: perché volerla creare, qui? Non ci dovrebbe essere un alternarsi tra immagini iniziali graffiate "alla Grindhouse" (il discorso di Obama), come se appartenessero a un passato remoto, e immagini iperrealiste e patinatissime. In parole povere, uno snuff movie non è girato da De Palma. Questo video, invece, sembra girato da De Palma.

Se non guardi il video, inorridisci; ma se lo guardi, tutto è congegnato in modo da farti interrogare sulla sua fabbricazione.

L'interpretazione di "Le Monde" sarebbe che si è scelta una forma in qualche modo "soft" per non dissuadere eventuali nuove reclute. Di mio aggiungo la possibilità che le nuove tecnologie permettano ormai di ottenere in modo facile e rapido una qualità standard, che proprio in quanto tale si trova sganciata da qualsiasi intenzionalità: una forma insignificante, insomma (scienza senza coscienza ecc.). La maggior parte dei film oggi è così. Un tempo una carrellata poteva essere "oscena", "morale", ecc. Oggi la stragrande maggioranza di esse non è nulla. Ambedue le interpretazioni non spiegano però tutte le stranezze del video. Le stranezze restanti potrebbero essere spiegate da una soluzione agghiacciante, modello "fucilazione di Mario Cavaradossi".

Ripeto, il modello potrebbe essere il filmato vero/finto finto/vero di De Palma, più che le serie tv. In soldoni: gli aguzzini chiedono alla vittima di pronunciare un testo/testamento distintamente, dopodiché lo decapiteranno per finta. E così avviene (la lama che non convince, l'assenza di sangue). Quindi lo decapitano davvero. Moglie piena e botte ubriaca: l'attore ha recitato bene, ora possiamo sbarazzarcene.

La fattura curatissima, ripeto, potrebbe essere legata alle esigenze descritte da "Le Monde", oppure essere frutto di una qualità indifferente, celibe. O un mix delle due cose. (O altro, certo: l'unica cosa sicura è che quella fattura è indiscutibile.)

Ho appena rivisto il video e non credo più all'ipotesi "macchina celibe". È costruito troppo bene, l'intenzionalità è evidente e solida. Colpisce, tra l'altro, l'uso perfettamente calibrato di tre registri d'immagini successivi. Prima la dichiarazione ufficiale di Obama, graffiata artificialmente come se fosse una vecchia vhs, reperto del passato ritrovato dagli alieni: i sogni telepatici inviati dall'avvenire in Prince of Darkness, le immagini mentali di Fino alla fine del mondo. Quindi gli infrarossi delle operazioni militari segrete, anch'esse con il loro retaggio storico e televisivo (ma anch'esse sembrano sfruttate con la consapevolezza delle successive destrutturazioni, compiute appunto da un De Palma e da altri). Infine la verità: spogliata di ogni orpello, "nuda": un mare di sabbia con due uomini al centro, sotto una luce metafisica, iperrealista. Gus Van Sant, mettiamo. I tre registri sono convenzionali, ovviamente, ma in qualche modo ancora efficaci. Ma perché siano efficaci, chi ha costruito il video deve sapere che sono convenzionali (come dire: deve sapere, ad esempio, che il "registro della verità" non è "la verità").

Quel che si ricerca, forse, è appunto l'immagine-archetipo, mentale, diciamo junghiana (se preferite: kubrickiana; Shining è il miglior film della storia sui fantasmi perché è girato da uno che ai fantasmi non crede affatto). Un artefatto assoluto, insomma: quindi fuori dallo spazio e dal tempo. Non colpisce nessuno e colpisce tutti. Tra pochi anni nessuno ricorderà il video di Pearl. Questo is here to stay, come il rock and roll versione horror dell'autoradio di Christine. Produce stupore, paura e recondita ammirazione. Una tragedia greca di due minuti, insomma. Le leggiamo ancora.

Penso che sia un prodotto occidentale, o che comunque attinga a piene mani al linguaggio cinematografico occidentale. È una "nostra" produzione. Il che non significa che non sia roba "loro". Noi, loro. Il problema (che il video curiosamente conferma) è che dei protagonisti del filmato (quel nero che parla da solo all'inizio, quel giornalista di cui si eran perse le tracce da due anni, il tizio incappucciato), per non parlare dei loro rapporti, conflitti, ecc., noi non sappiamo assolutamente nulla. È appunto un assoluto minimale.

C'è un'idea universale, assoluta. Non so neppure se sia un'idea dell'Islam. Io ci vedo l'Idea e basta. L'archetipo. Si può anche chiamarlo Vuoto, o Nulla, se si preferisce.

In questo senso, i due discorsi, quello di Obama e quello del condannato (peraltro il secondo è espresso in un inglese impeccabile, scritto e limato, con tutti gli effetti al posto giusto: si percepiscono tutti i nessi logici, si vedono i punti e virgola), ignorando tutto quello che ho scritto tra parentesi potrebbero essere sostituiti dalla lettura dell'elenco telefonico. Mi chiedo se l'effetto principale cambierebbe.

 ***

Ieri sera per una serie di cortocircuiti ho avuto per la prima volta il sospetto di un'altra stranezza, circa quel video. Vado subito al dunque: l'idea è la scarsa presenza di un messaggio religioso o pseudoreligioso che dir si voglia. A verifica compiuta, l'impressione è confermata ma resta tale o è comunque difficilmente argomentabile a parole. Nelle didascalie (sfondo nero iniziale, sottotitolo dell'immagine del bombardamento), il termine "Islamic State" appare 2 volte, "Muslims" 1 volta. Nel discorso di Foley non è rintracciabile alcun termine appartenente al registro religioso. (In alto a sinistra compare un piccolo logo, con una sorta di moschea sovrastata dall'inevitabile mezzaluna; il logo è spesso coperto da una bandiera svolazzante: è piccolo, ripeto, per posizione e dimensioni non deve distrarre l'attenzione dello spettatore; deve, sostanzialmente, passare inosservato.) Quando parla il terrorista incappucciato, abbiamo: "Islamic State" (2 volte), "Islamic Caliphate" (2 volte); "Islamic Army" (1 volta), "Muslims" (3 volte). Tutte queste occorrenze sono meri dati di fatto, non dichiarazioni di fede (dice "Islamic State" perché è un dato di fatto, così come immagino che sia un dato di fatto che le vittime dei bombardamenti USA fossero musulmane; o se si vuole esser più severi, siamo di fronte a una fraseologia di tipo performativo: nel momento in cui io pronuncio "Islamic State", lo Stato Islamico nasce ed è). Mai la parola "cristiani", mai "miscredenti", "infedeli", "guerra santa", "jihad", eccetera. In compenso, l'oscura e pesantissima accusa fatta agli USA di essere andati "far out of your way to find reasons to interfere with our affairs", laddove l'espressione volutamente ambigua "our affairs" sposa (e quindi condivide) un immaginario tipicamente occidentale, più precisamente americano o di stampo mafioso. Una dichiarazione politica scritta da Michael Corleone, per intenderci: e infatti anche lì la religione era usata sfacciatamente come copertura. 
(Non dimentichiamo che per l'americano medio la saga del Padrino è un po' la sua Iliade: e che se inizialmente la famiglia Corleone doveva raccontare metaforicamente, attraversandolo, il ventesimo secolo degli Stati Uniti, Coppola piegò il progetto fino a farlo diventare anche, com'era naturale che fosse, la storia di Hollywood.)

domenica 13 luglio 2014

This Land is My Lai

Warehousing is worse than apartheid. It does not even pretend to find a political framework for “separate development,” it simply jails the oppressed and robs them of all their collective and individual rights. It is the ultimate form of oppression before actual genocide, and in that it robs a people of its identity, its land, its culture and the ability to reproduce itself, it is a form of cultural genocide that can lead to worse.
Jeff Halper, Israel's message to the Palestinians: Submit, leave or die, "Mondoweiss", 11 luglio 2014.

1979 aura été une année cinématographique assez piteuse. Nous en retiendrons quelques films, probablement pas assez pour en faire une liste des top ten comme dans ma première jeunesse.
D'abord (chronologiquement), le Voyage au bout de l'enfer de Cimino, souvent très satisfaisant plastiquement, et qui traitait de questions de la première importance: Pourquoi les ouvriers acceptent-ils d'aller à la guerre? Et qu'est-ce que ça leur fait? En face de ces questions, l'agacement de quelques spectateurs de gauche, qui se plaignaient que Cimino eût caricaturé les militaires de l'autre bord, est ridicule.
Avec tous ses fastes technologiques, pécuniers et saignants, c'est Apocalypse Now qui est un supplément à ce Voyage, et non l'inverse, parce que Cimino pose les questions centrales, quand Coppola disserte (sur l'instinct de mort d'une société, d'un mode de production, et finalement de l'espèce) sans poser de questions.
Jean-Patrick Manchette, “Charlie Hebdo”, n° 475, 19 dicembre 1979 (ora in Les Yeux de la momie, Paris 1997, p. 125).




martedì 1 luglio 2014

Gufi

Perché il gufo gufò? Perché il picchio picchiò.
Throper Fallcaster, collezionista di freddure sugli uccelli e 54° caso esaminato in The Falls (Peter Greenaway, 1980).

Da sempre, appena sento la parola "gufo", la prima cosa a cui penso è un racconto di Ambrose Bierce, An Occurrence at Owl Creek Bridge, che lessi da bambino. Fu pubblicato nel 1890 sul "San Francisco Examiner". Un anno dopo Bierce lo inserì nella raccolta Tales of Soldiers and Civilians. Il titolo riporta chiaramente alla Guerra civile americana. Ma nel racconto che mi colpì (questo blog racconta esclusivamente la storia di un uomo "marqué par une image d'enfance") il contesto storico è irrilevante. Anche i gufi c'entrano poco. Si limitano a dare il nome a un ponte, dove inizia e finisce la storia. Dove finisce, soprattutto. Anche se in realtà finisce dove inizia. Anche se in realtà finisce come inizia.
Sono appena dieci cartelle, ma a causa della trovata finale ha segnato per sempre la storia della narrativa mondiale, e in particolare la narrazione fantastica. Quando incombeva plumbea "l'egemonia culturale della sinistra" e "i professoroni" terrorizzavano la nazione, l'italiano disponeva di decine di migliaia di parole, e in quella babele poteva persino permettersi di ospitare vocaboli repellenti. Per il racconto di Bierce, possiamo star certi che sarebbe stato usato il mostruoso aggettivo "seminale". Oggi, fortunatamente, quell'epoca cupa si è conclusa, e con le nostre 500 parole non riusciremmo neppure a raccontare un fine settimana di Maigret, ma almeno "famo a capirci" e diciamo che il racconto di Bierce è "’na robba".
In letteratura, la stoccata finale delle varianti di Owl Creek Bridge la dà Borges nel suo più bel racconto, El Sur. Fu pubblicato assieme a due altri testi nella seconda edizione di Finzioni. Il colpo di genio di El Sur è l'azzardo supremo: eliminare del tutto la trovata finale per disseminarla lungo tutto il testo, in tal modo che solo il lettore più malizioso potrà sospettare la soluzione (e, più che sospettarla, sentirla: sentirse en muerte, come titolava il primo esperimento narrativo di Borges, ispirato al medesimo incidente autobiografico: un incidente "seminale"). È un'operazione squisitamente letteraria. Molti anni dopo, chiudendo il cerchio, Roberto Bolaño trasformerà il tutto in splendido e mediocre sberleffo, con El gaucho insufrible. Il pastiche di Bolaño elimina il colpo di scena, semplicemente. Non lo trovi né alla fine del racconto, né all'inizio, né durante. È bellissimo.
Al cinema i nipotini di Bierce riempirebbero un orfanotrofio dickensiano (per non parlare della televisione: quel racconto è praticamente il palinsesto di qualsiasi episodio di The Twilight Zone). Il mio preferito è Carnival of Souls di Harold Arnold "Herk" Harvey (dopo quel film, di "Herk" credo non si seppe più nulla). E non solo perché assieme a L'ultimo uomo della Terra di Ubaldo Ragona ispirò a Romero La notte dei morti viventi. Ma anche per quello. Il film più famoso è invece Il sesto senso di M. Night Shyamalan, che a me però non ha mai convinto perché non c'è colpo di scena, per quanto sorprendente (e dal 1890 quel colpo di scena non sorprende più), che giustifichi la tortura di un racconto psicologico. Shyamalan lo ha capito, e i film che ha fatto in seguito mi piacciono moltissimo.
Dal racconto di Bierce è stato girato un cortometraggio, La Rivière du hibou.



Subito dopo Bierce, quando sento la parola "gufo" penso a John Travolta, nel film in cui scoprii che John Travolta era un attore fenomenale. Blow Out è anche il film che preferisco di Brian De Palma. A ripeterlo rapidamente, diventa uno scioglilingua e sembra quasi di sentire il gufo gufare: blow out blow out blowlout.
La prima volta che Travolta raccoglie i suoi miserabili effetti sonori sul ponte dove inizia la storia (ma non finisce, anche se sempre lì si torna; mentre il film, che racconta un'altra storia, comincia prima e quindi finisce dove comincia), il gufo bubola e sembra guardarlo fisso negli occhi. Però quando la raccolta viene ricostituita mentalmente in studio, l'immagine si divide in due, la memoria si sdoppia razionalmente e schizofrenicamente, con il senno e la paranoia di poi: Travolta e il gufo guardano nella medesima direzione: verso l'incidente (o occurrence). Si chiama split screen, a De Palma piace molto perché a lui piacciono le cose più brutte, De Palma è lo spazzino del cine, se fosse italiano sarebbe capace di fare un film intitolato "Il bubolio seminale del gufo".
Naturalmente quell'immagine non l'hai più dimenticata.


Ma alla fine il gufo gufò gufò gufò.

venerdì 27 giugno 2014

Cos Orfini so cuul

«Vendola non cerchi nelle pressioni del Pd le cause della crisi di Sel: due anni fa diceva 'mescoliamoci', oggi cambia radicalmente linea. Davvero crede che la sinistra possa essere rappresentata dal salotto di Barbara Spinelli?»

Dopo il "professoroni", nel PD prosegue l'epica battaglia contro gli intellettuali (con stragi collaterali di civili magari anche solo intelligenti) a colpi di cliché, tra trite immagini e fraseologie qualunquiste. Il comunismo è morto, largo ai giovani poujadisti alla Orfini ("la ruota gira!", come sanno anche i simpatici cricetini) che pappagalleggiano su una melma più vecchia dei loro nonni.
Il tutto nell'ignoranza più becera, va da sé: non solo il "salotto di Barbara Spinelli" non è mai risultato da nessuna parte, neppure sui rotocalchi a carta patinata con fotoromanzo in omaggio, ma dato che il deputato italiano più prestigioso del nuovo Parlamento Europeo vive a Parigi, Orfini avrebbe potuto parlare di "buduar", cogliendo l'occasione per sapide rime con "ghitar" e soprattutto con "iaguarrr".



Nel PCI del ventennio fascista, il carcere era l'occasione per imparare il russo. Oggi Orfini sa a malapena l'italiano e "se ne frega". Come Alessandra Moretti, basta ripetere ossessivamente "appunto!"  dalla Gruber e sei subito un nipotino di Berlinguer.

venerdì 13 giugno 2014

Le tombeau de Stanley Kubrick (la versione di Mike Leigh)

Alla morte di Kubrick, la rivista francese "Positif" (n° 464, ottobre 1999) ebbe l'ottima idea di fare a 48 registi due domande:

1. Quel est, selon vous, l'apport de Stanley Kubrick au cinéma ?
2. A quel film de Stanley Kubrick êtes-vous le plus attaché et pourquoi ?

Dei 48 ricordo solo Mike Leigh, uno dei più prolissi. Forse perché una cosa del genere non l'avrei mai scritta. Forse avrei scritto una cosa peggiore, o migliore; ma non quella e di certo non così.
Ci penso solo ora: Mike Leigh non fa film per me. Li fa per qualcun altro. Non so chi sia, quel qualcun altro, so solo che non è un cretino. Sarà per questo che Mike Leigh mi è sempre piaciuto.
Settimane fa volevo mostrare a un amico della rete quel che Leigh aveva scritto di Kubrick, ma in rete il testo non si trova.
Ora sì.


1. Stanley Kubrick est le plus grand humoriste du cinéma. Son humour n'est pas seulement "noir", comme on le dit souvent, c'est le sourire de l'humanité, le sourire mi-figue mi-raisin qui ne peut venir que d'une inquiétude profonde pour la fragilité de l'existence. Ce n'est pas un humour qui est consciemment forgé, ni le fruit d'une habileté acquise, ni un procédé utilisé à l'occasion dans certaines situations. Ce n'est pas non plus un moyen pour détendre l'atmosphère. Kubrick est un humoriste incontournable, un farceur profond qui ne peut s'empêcher de trouver de l'humour en chaque chose. Sa capacité à nous faire rire, au cœur des moments les plus douloureux, est rare au cinéma.
Il ne peut résister à l'idée d'une plaisanterie, mais ses plaisanteries, jamais gratuites et toujours organiques, ne sont pas séparables de l'événement. Et, parce qu'il avait le courage d'être vraiment créatif pendant le tournage, se donnant le temps et l'espace pour développer et improviser quelle qu'ait été la préparation minutieuse de la scène, son humour était toujours vivant et spontané.
Parfois, il avait de bonnes raisons pour nous heurter de plein fouet avec son humour mais, le plus souvent, il évite le trait évident et la touche comique gît subtilement et implicitement sous la surface, se glisse lentement vers vous, sans que vous ne vous en rendiez compte et au moment où vous vous y attendez le moins.
Ce maître de l'ironie a été élevé à New York et a commencé à gagner sa vie comme photographe. Par nature, il porte un regard dur, impassible et prolongé sur les situations, demeurant à la fois compatissant et détaché, mais n'oubliant jamais le côté comique. Cela ne peut venir que de son premier métier. Il y a peut-être aussi quelque chose de juif dans cette manière tragi-comique de prendre la vie.
Si Kubrick trouve de l'humour dans le monde réel, c'est celui de l'absurde, du ridicule et du grotesque. Aucun autre metteur en scène n'a rendu la violence aussi hilarante qu'elle est horrifiante. La juxtaposition de l'épique et du domestique l'a toujours amusé, et il prend un malin plaisir dans ce que j'appellerais l'humour de l'acharnement.
Sans cesse, Kubrick nous force à faire face aux situations et refuse tout simplement de nous laisser le moindre répit. Alors que plus d'un réalisateur de moindre envergure serait déjà quelques scènes plus avant, Kubrick est toujours là, nous obligeant à regarder plus longtemps et plus durement, à comprendre en fait. Plus nous restons en présence de la scène, plus elle ressemble au temps réel. Et plus Kubrick consacre de temps à l'examiner, plus elle devient réelle pour lui, et plus il la voit en détail. Et le détail réel veut dire la vie vécue comme elle l'est vraiment, en trois dimensions, avec tous ses défauts. Kubrick nous entraîne au delà de la surface, dans une réalité agrandie qui ne peut que nous offrir l'humour inévitable de l'existence. Chaque film de Kubrick est un gag très travaillé, un gag sérieux, mais néanmoins un gag. On a le sentiment qu'il aime mettre en place un projet épique, puis trouver une manière non sentimentale, antihéroïque de le subvertir. Et cela vient, plus que de tout autre chose, de son génie à diriger les comédiens pour qu'ils soient vrais, vulnérables et crédibles. Si bien que, même si ses films sont autant guidés par le destin que par le personnage, ils sont tous néanmoins des films de personnages.
Mais c'est aussi parce que, philosophiquement, il est incapable de voir le monde en noir et blanc, en termes moraux, idéalistes ou simplistes. Kubrick voit la vie comme elle est, dans toute sa complexité ; dès qu'il sent que nous pourrions glisser vers l'émotion facile et la réponse évidente, son merveilleux instinct anarchique est de nous faire méditer sur l'inexplicable et, invariablement, en nous faisant rire.
Bien sûr, Kubrick n'était pas un cynique – il était passionnément attaché à la vie et il l'aimait. Et, en dépit du fondement intellectuel si solide et si impressionnant de ses idées, Kubrick demeure pour moi un metteur en scène spontané, intuitif, subjectif et émotionnel. C'est pourquoi il est toujours divertissant.
Qu'il ne soit pas universellement considéré comme un humoriste vient de ce que son humour est celui, authentique, d'un artiste qui est totalement et profondément sérieux. Mais il est fichtrement drôle et je ne doute pas qu'Eyes Wide Shut nous donnera quelques occasions de glousser. Je l'attends avec impatience.

2. Il m'est impossible de choisir mon film favori de Kubrick, les aimant tous. Mais, puisque l'humour de Stanley a été mon thème, je voudrais citer 2001 comme un des films les plus drôles que je connaisse.
Où existe-t-il, dans l'ensemble du cinéma, une séquence aussi profondément tragi-comique que celle qui commence avec un ordinateur assassinant trois cosmonautes endormis, puis propose une bataille de mots d'un comique inquiétant entre un ordinateur et un être humain, et s'achève par la mort lente de l'ordinateur, tandis qu'il chante, mal, une vieille chanson populaire sur une gentille jeune fille et des cyclistes en tandem ?


sabato 10 maggio 2014

"Mancano dettagli, rettifiche, messe a punto."

È stato detto che tutti gli uomini nascono aristotelici o platonici. Ciò equivale ad affermare che non c'è discussione di carattere astratto che non sia un momento della polemica di Aristotele e Platone; attraverso i secoli e le latitudini, cambiano i nomi, le lingue, i volti, ma non gli eterni antagonisti. Anche la storia dei popoli registra una continuità segreta. Arminio, quando massacrò in una palude le legioni di Varo, non si sapeva precursore d'un Impero Germanico; Lutero, traduttore della Bibbia, non sospettava che il suo fine era quello di forgiare un popolo che distruggesse per sempre la Bibbia; Christoph zur Linde, che una pallottola moscovita uccise nel 1758, preparò in qualche modo le vittorie del 1914; Hitler credette di lottare per un paese, ma lottò per tutti, anche per quelli che aggredì e detestò. Non importa che il suo io lo ignorasse; lo sapevano il suo sangue, la sua volontà. Il mondo moriva di giudaismo e di quella malattia del giudaismo che è la fede di Gesù; noi gli insegnammo la violenza e la fede della spada. Tale spada ci uccide, e noi siamo paragonabili al mago che tesse un labirinto ed è costretto a errarvi fino alla fine dei suoi giorni, o a David che giudica uno sconosciuto e lo condanna a morte e ode poi la rivelazione: Tu sei quell'uomo. Molte cose bisogna distruggere, per edificare il nuovo ordine; ora sappiamo che la Germania era una di quelle cose. Abbiamo dato più delle nostre vite, abbiamo dato il destino del nostro amato paese. Altri maledicano e piangano; io sono lieto che il nostro dono sia circolare e perfetto.
Jorge Luis Borges, "Deutsches Requiem", L'Aleph, Milano 1989 [1959], pp. 87-8.