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sabato 24 luglio 2021

La foto di famiglia

In fondo il personaggio del novax (perché per molti di noi è praticamente un oggetto di finzione) potrebbe essere la versione aggiornata dei vari Tony Camonte e Rico Bandello, che portavano senza neanche sforzarsi troppo alle logiche conseguenze tutta la retorica del successo e del self-made man, con i suoi inseparabili accessori, ossia i dollari, le pistole e le donne, in pratica l'intero armamentario dei "valori" statunitensi, a riscatto della comunità italoamericana laboriosa e pittoresca che guardava a queste semicaricature concionanti e smitraglianti con un misto di terrore e simpatia: e proprio questo specchio, più che le forme violente della rappresentazione, diede straordinario fastidio, così che negli stessi mesi in cui quei film riscuotevano il massimo successo si stilava il codice interno di censura hollywoodiana alla quale si atterrà per un ventennio buono la maggior parte della produzione cinematografica.
I discorsi strampalati del personaggio novax ricalcano certe tirate di Paul Muni o di Edward G. Robinson, con la rivendicazione delle "libertà individuali" grossolanamente ma forse non del tutto erroneamente intese, da "questo è il mio corpo e ne faccio quel che voglio" ai liberismi turbo, diesel o con benzina super. Non sarà esattamente "noi", ma fa parte della nostra foto di famiglia e forse ne incarna lo spirito più autentico.

lunedì 8 maggio 2017

No More Mr. Nice Guy: Macron al Louvre

– I expected someone like you. What did you expect? Are you an assassin?
– I'm a soldier.
– You're neither. You're an errand boy, sent by grocery clerks, to collect a bill.

Ai francesi non è stato concesso neppure un giorno di tregua.

Ieri sera, nella messinscena del Louvre, il frastornante "Inno alla gioia" era un trattamento Ludovico imposto a tutta una nazione: il vostro No espresso alla luce del giorno al fascismo di Le Pen si è tramutato al calare del sole in un Sì alla "Costituzione" europea che avevate rigettato nel 2005. "Statece": inchiodati davanti alla tv, con gli occhi sbarrati e il volume a manetta.
La strana camminata – dalla lentezza troppo a scatti per essere ieratica ma priva di umorismo montypythonesco – di una silhouette sfacciatamente bassa compensata da un'ombra sfacciatamente lunga, dove tutti hanno visto Napoleone e forse solo io il William Harford di Eyes Wide Shut cui si aprono finalmente none porte della Legge grazie a un "Fidelio" assegnato a forza da milioni di elettori.
Il volto lunare del prescelto e l'apice di una piramide divina in congiunzione astrale e perfettamente simmetrica ottenuta grazie a un'angolatura dal basso e centrale.
Il tutto in un'oscurità cosmica, nel buio notturno di un ritorno allo spazio riservato ai re, ai tempi in cui torpide Lady Lyndon firmavano assegni a rampanti avventurieri.

Chiaro: non fosse morto, riconosceremmo subito il regista di queste immagini. È lo stesso che girò lo sbarco sulla Luna.

Invece la messinscena è firmata dai comunicatori della campagna di Macron. A un certo punto anche i canali televisivi francesi si sono sentiti in dovere di dare l'informazione, con un brevissimo sottotitolo: "that's entertainment".
È come se i registi dell'incoronazione di Emmanuel Macron avessero avuto un'intuizione. Il nostro candidato viene attaccato come l'uomo dei banchieri, della mano invisibile del potere, del falso, della massoneria, dei produttori di Armstrong che a scatti poggia il piede sulla Luna in uno studio hollywoodiano.
Allora noi li prendiamo in contropiede. Li mandiamo in cortocircuito: eccolo, il caro vecchio Ludwig Van; eccola, l'orgia misterica di tutti i Palazzi della finanza; eccola, l'alba dell'umanità; eccola, la notte di tutte le Républiques. E quindi li lasciamo "radicalizzarsi": la massoneria, la piramide, Dio, la Luna, il dito, la notte, la moglie anziana, il tizio con il berretto, Beethoven. Si facciano esplodere in rete.

Una novità: in analoghe messinscene recenti, i personaggi e i canovacci comportavano sempre una componente comica, la battuta, "l'ironia" d'ordinanza, a volte la "simpatica" cialtronaggine, nella peggiore delle ipotesi il ghigno. Il film Macron al Louvre è plumbeo, è il "No more mister Nice Guy" di un horror di Wes Craven che lo psicopatico "fritto" sulla sedia elettrica minacciava sarcastico al mondo intero: prima di reincarnarsi, complice la rete elettrica, su tutti i televisori domestici. È stato invece paragonato nelle ultime ventiquattr'ore a Mitterrand al Panthéon (regia di Serge Moati), ma stranamente non ho sentito nessuno che ricordasse cosa ci facesse nel 1981 il presidente neoeletto al mausoleo: andava a raccogliersi davanti alla tomba di Jean Moulin. Tra Mitterrand e il "sacro" c'era una storia precisa. La storia raccontata dal film era falsa, come si scoprì negli anni, ma qualcosa in quel preciso momento raccontava. Tra Macron e la Piramide non c'è alcuna storia: una pagina bianca. O meglio, riempita di simboli decapitati (i re) o fasulli (icone date in pasto ai complottisti).

Vivo da quarant'anni a Parigi, uno spettacolo così sinistro non l'ho mai visto in tutta la storia politica francese.
Un giorno, a bocce ferme, accantonati i codici Da Vinci e dando per scontato l'allunaggio, di questa oscenità spero che si potrà parlare.



– They told me that you had gone totally insane, and that your methods were unsound.
– Are my methods unsound?

– I don't see any method at all, sir.

martedì 26 agosto 2014

It's not personal. It's strictly business

Copincollo qui rielaborandole appena alcune mie riflessioni circa il video di James Foley, scritte a caldo nelle ore che sono seguite alla sua diffusione (tranne l'ultimo punto preceduto da asterischi, di oggi) in una conversazione a più voci che si può leggere interamente qui. Ho rivisto il video varie volte e ho cambiato idea varie volte, fino al punto in cui naturalmente non si hanno più idee. Prendi questo post come una sorta di storify.
Una sola considerazione preliminare: nei minuti successivi alla notizia si è immediatamente attivata in rete la gara allo statement "io non lo guarderò". Un amico retwittava alcune di queste dichiarazioni di fede nolente. Gli scrissi per due volte consecutive, con un'insistenza singolare per le nostre modalità di scambio, dicendogli che il video, stavolta, ci toccava vederlo. Capivo e condividevo la sua rabbia, ma sentivo anche che qualcosa non andava. L'indomani hanno iniziato a manifestare il medesimo atteggiamento giornalisti e opinionisti della comunicazione mainstream. Poi sono arrivati gli editoriali. L'informazione italiana, insomma, ci teneva a comunicare a tutti che non avrebbe studiato la fonte, non avrebbe visto il video (alcuni si son spinti iperbolicamente ad affermare che rifiutavano persino di guardare un solo frame), non avrebbe analizzato nulla, e quindi informava i lettori che si considerava libera dal dovere di fornire qualsivoglia informazione che non riguardasse se stessa e i propri "stati d'animo". Questa giunzione tra rete e mezzi di comunicazione, tra l'io del social network e quello della carta stampata, mi sembra chiudere in bellezza l'estate.

Gli snuff movie, nel nostro immaginario (ché nessuno li ha mai visti) puntano sulla continuità temporale, sul dettaglio cruento in bella mostra, su ciò che viene rappresentato e non sul modo in cui viene rappresentato. Puntare sul modo crea una distanza: perché volerla creare, qui? Non ci dovrebbe essere un alternarsi tra immagini iniziali graffiate "alla Grindhouse" (il discorso di Obama), come se appartenessero a un passato remoto, e immagini iperrealiste e patinatissime. In parole povere, uno snuff movie non è girato da De Palma. Questo video, invece, sembra girato da De Palma.

Se non guardi il video, inorridisci; ma se lo guardi, tutto è congegnato in modo da farti interrogare sulla sua fabbricazione.

L'interpretazione di "Le Monde" sarebbe che si è scelta una forma in qualche modo "soft" per non dissuadere eventuali nuove reclute. Di mio aggiungo la possibilità che le nuove tecnologie permettano ormai di ottenere in modo facile e rapido una qualità standard, che proprio in quanto tale si trova sganciata da qualsiasi intenzionalità: una forma insignificante, insomma (scienza senza coscienza ecc.). La maggior parte dei film oggi è così. Un tempo una carrellata poteva essere "oscena", "morale", ecc. Oggi la stragrande maggioranza di esse non è nulla. Ambedue le interpretazioni non spiegano però tutte le stranezze del video. Le stranezze restanti potrebbero essere spiegate da una soluzione agghiacciante, modello "fucilazione di Mario Cavaradossi".

Ripeto, il modello potrebbe essere il filmato vero/finto finto/vero di De Palma, più che le serie tv. In soldoni: gli aguzzini chiedono alla vittima di pronunciare un testo/testamento distintamente, dopodiché lo decapiteranno per finta. E così avviene (la lama che non convince, l'assenza di sangue). Quindi lo decapitano davvero. Moglie piena e botte ubriaca: l'attore ha recitato bene, ora possiamo sbarazzarcene.

La fattura curatissima, ripeto, potrebbe essere legata alle esigenze descritte da "Le Monde", oppure essere frutto di una qualità indifferente, celibe. O un mix delle due cose. (O altro, certo: l'unica cosa sicura è che quella fattura è indiscutibile.)

Ho appena rivisto il video e non credo più all'ipotesi "macchina celibe". È costruito troppo bene, l'intenzionalità è evidente e solida. Colpisce, tra l'altro, l'uso perfettamente calibrato di tre registri d'immagini successivi. Prima la dichiarazione ufficiale di Obama, graffiata artificialmente come se fosse una vecchia vhs, reperto del passato ritrovato dagli alieni: i sogni telepatici inviati dall'avvenire in Prince of Darkness, le immagini mentali di Fino alla fine del mondo. Quindi gli infrarossi delle operazioni militari segrete, anch'esse con il loro retaggio storico e televisivo (ma anch'esse sembrano sfruttate con la consapevolezza delle successive destrutturazioni, compiute appunto da un De Palma e da altri). Infine la verità: spogliata di ogni orpello, "nuda": un mare di sabbia con due uomini al centro, sotto una luce metafisica, iperrealista. Gus Van Sant, mettiamo. I tre registri sono convenzionali, ovviamente, ma in qualche modo ancora efficaci. Ma perché siano efficaci, chi ha costruito il video deve sapere che sono convenzionali (come dire: deve sapere, ad esempio, che il "registro della verità" non è "la verità").

Quel che si ricerca, forse, è appunto l'immagine-archetipo, mentale, diciamo junghiana (se preferite: kubrickiana; Shining è il miglior film della storia sui fantasmi perché è girato da uno che ai fantasmi non crede affatto). Un artefatto assoluto, insomma: quindi fuori dallo spazio e dal tempo. Non colpisce nessuno e colpisce tutti. Tra pochi anni nessuno ricorderà il video di Pearl. Questo is here to stay, come il rock and roll versione horror dell'autoradio di Christine. Produce stupore, paura e recondita ammirazione. Una tragedia greca di due minuti, insomma. Le leggiamo ancora.

Penso che sia un prodotto occidentale, o che comunque attinga a piene mani al linguaggio cinematografico occidentale. È una "nostra" produzione. Il che non significa che non sia roba "loro". Noi, loro. Il problema (che il video curiosamente conferma) è che dei protagonisti del filmato (quel nero che parla da solo all'inizio, quel giornalista di cui si eran perse le tracce da due anni, il tizio incappucciato), per non parlare dei loro rapporti, conflitti, ecc., noi non sappiamo assolutamente nulla. È appunto un assoluto minimale.

C'è un'idea universale, assoluta. Non so neppure se sia un'idea dell'Islam. Io ci vedo l'Idea e basta. L'archetipo. Si può anche chiamarlo Vuoto, o Nulla, se si preferisce.

In questo senso, i due discorsi, quello di Obama e quello del condannato (peraltro il secondo è espresso in un inglese impeccabile, scritto e limato, con tutti gli effetti al posto giusto: si percepiscono tutti i nessi logici, si vedono i punti e virgola), ignorando tutto quello che ho scritto tra parentesi potrebbero essere sostituiti dalla lettura dell'elenco telefonico. Mi chiedo se l'effetto principale cambierebbe.

 ***

Ieri sera per una serie di cortocircuiti ho avuto per la prima volta il sospetto di un'altra stranezza, circa quel video. Vado subito al dunque: l'idea è la scarsa presenza di un messaggio religioso o pseudoreligioso che dir si voglia. A verifica compiuta, l'impressione è confermata ma resta tale o è comunque difficilmente argomentabile a parole. Nelle didascalie (sfondo nero iniziale, sottotitolo dell'immagine del bombardamento), il termine "Islamic State" appare 2 volte, "Muslims" 1 volta. Nel discorso di Foley non è rintracciabile alcun termine appartenente al registro religioso. (In alto a sinistra compare un piccolo logo, con una sorta di moschea sovrastata dall'inevitabile mezzaluna; il logo è spesso coperto da una bandiera svolazzante: è piccolo, ripeto, per posizione e dimensioni non deve distrarre l'attenzione dello spettatore; deve, sostanzialmente, passare inosservato.) Quando parla il terrorista incappucciato, abbiamo: "Islamic State" (2 volte), "Islamic Caliphate" (2 volte); "Islamic Army" (1 volta), "Muslims" (3 volte). Tutte queste occorrenze sono meri dati di fatto, non dichiarazioni di fede (dice "Islamic State" perché è un dato di fatto, così come immagino che sia un dato di fatto che le vittime dei bombardamenti USA fossero musulmane; o se si vuole esser più severi, siamo di fronte a una fraseologia di tipo performativo: nel momento in cui io pronuncio "Islamic State", lo Stato Islamico nasce ed è). Mai la parola "cristiani", mai "miscredenti", "infedeli", "guerra santa", "jihad", eccetera. In compenso, l'oscura e pesantissima accusa fatta agli USA di essere andati "far out of your way to find reasons to interfere with our affairs", laddove l'espressione volutamente ambigua "our affairs" sposa (e quindi condivide) un immaginario tipicamente occidentale, più precisamente americano o di stampo mafioso. Una dichiarazione politica scritta da Michael Corleone, per intenderci: e infatti anche lì la religione era usata sfacciatamente come copertura. 
(Non dimentichiamo che per l'americano medio la saga del Padrino è un po' la sua Iliade: e che se inizialmente la famiglia Corleone doveva raccontare metaforicamente, attraversandolo, il ventesimo secolo degli Stati Uniti, Coppola piegò il progetto fino a farlo diventare anche, com'era naturale che fosse, la storia di Hollywood.)

domenica 13 luglio 2014

This Land is My Lai

Warehousing is worse than apartheid. It does not even pretend to find a political framework for “separate development,” it simply jails the oppressed and robs them of all their collective and individual rights. It is the ultimate form of oppression before actual genocide, and in that it robs a people of its identity, its land, its culture and the ability to reproduce itself, it is a form of cultural genocide that can lead to worse.
Jeff Halper, Israel's message to the Palestinians: Submit, leave or die, "Mondoweiss", 11 luglio 2014.

1979 aura été une année cinématographique assez piteuse. Nous en retiendrons quelques films, probablement pas assez pour en faire une liste des top ten comme dans ma première jeunesse.
D'abord (chronologiquement), le Voyage au bout de l'enfer de Cimino, souvent très satisfaisant plastiquement, et qui traitait de questions de la première importance: Pourquoi les ouvriers acceptent-ils d'aller à la guerre? Et qu'est-ce que ça leur fait? En face de ces questions, l'agacement de quelques spectateurs de gauche, qui se plaignaient que Cimino eût caricaturé les militaires de l'autre bord, est ridicule.
Avec tous ses fastes technologiques, pécuniers et saignants, c'est Apocalypse Now qui est un supplément à ce Voyage, et non l'inverse, parce que Cimino pose les questions centrales, quand Coppola disserte (sur l'instinct de mort d'une société, d'un mode de production, et finalement de l'espèce) sans poser de questions.
Jean-Patrick Manchette, “Charlie Hebdo”, n° 475, 19 dicembre 1979 (ora in Les Yeux de la momie, Paris 1997, p. 125).




venerdì 21 settembre 2012

circa un minuto fa · Mi piace

J’aime, je n'aime pas : cela n'a aucune importance pour personne; cela, apparemment, n'a pas de sens. Et pourtant tout cela veut dire : mon corps n'est pas le même que le vôtre. Ainsi, dans cette écume anar­chique des goûts et des dégoûts, sorte de hachurage distrait, se dessine peu à peu la figure d'une énigme corporelle, appelant complicité ou irrita­tion. Ici commence l'intimidation du corps, qui oblige l'autre à me supporter libéralement, à rester silencieux et courtois devant des jouissances ou des refus qu'il ne partage pas.
(Une mouche m'agace, je la tue : on tue ce qui vous agace. Si je n'avais pas tué la mouche, c'eût été par pur libéralisme: je suis libéral pour ne pas être un assassin.)
Roland Barthes, Barthes par Barthes (1975), in Œuvres complètes, t. 3 1974-1980, Seuil, Paris 1995, p. 184.


lunedì 17 ottobre 2011

Uno, nessuno, Lavitola


Il fatto è che non si riesce a capire se e quanto sia influente, questo Lavitola. Le intercettazioni audio rispettano sempre lo stesso, stranissimo e straniante copione: quello telefona, accenna un "buonasera presi…" e va SUBITO al dunque: "Sa, per quella cosa…". La voce dell'altro sembra sempre provenire dall'oltretomba: rantola, è chiaro che è stato svegliato dallo squillo. Altro che nottate da sballo, piuttosto quei centenari che ormai sonnecchiano 22 ore su 24. Lavitola parla e lui mugugna, sembra più infastidito che altro. Niente, al telefono non si riesce a cavargli nulla. E quindi: "Senta, quando ci vediamo". E l'altro, chissà perché improvvisamente prontissimo (tanto non ha niente da fare, non deve mica consultare l'agendina, non fa mica il Presidente del Consiglio): VENERDÌ. Un fantomatico venerdì, lui venerdì è sempre libero, tanto c'è sempre un venerdì (e viene sempre dopo giovedì, che arriva sempre all'improvviso, come diceva Holly Golightly). Poi parte il disco, sempre uguale, sempre senza alcun rapporto con le richieste di Lavitola: i magistrati, repubblica, la rivoluzione, io sono stufo, conta un cazzo. Lavitola lo lascia blaterare, poi torna a bomba, ossia a bresaola: notare che quando tira fuori gli insaccati non si capisce mai se si stia appellando a grasse metafore massoniche o se si illuda di parlare in codice. Tutto sempre al telefono, ovviamente, quando persino i "goodfellas" scorsesiani (ossia mezze calzette, manovalanza di Paul Sorvino o Tony Soprano, mica Corleone e Clemenza) sanno che in certe circostanze si addice il sussurro nell'orecchio, e finanche la mano, a coprire il labiale nel retrobottega, con i camion che arrivano proprio giovedì, pieni di pellicce surgelate, anche d'estate. E infine la chiusura brusca, anche un tantino irrispettosa, ammonitrice: "Presidente, lei si limiti a fare ciò per cui ci paga e rompa meno il cazzo". Il tutto è imprendibile: quanto Lavitola influenzi Berlusconi, Lavitola di cui fino a ieri non sapevamo nulla e ora si scopre che era il direttore dell'"Avanti!", ah, esiste ancora l'"Avanti!", sì, esiste, ma forse non è l'"Avanti!", bisogna fare un passo indietro, in avanti, per capire che l'"Avanti!" non è quell'"Avanti!" là, è un altro "Avanti!", ci sono due "Avanti!" ma un solo Lavitola (forse), pieno di soldi, indebitato fino al collo, l'uomo che nell'ombra ha tramato e controllato l'Italia, forse il mondo o almeno Pomezia, un disgraziato povero in canna, un accattone, un genio, anzi la protesi della sua stessa minchia, che vuol fare affari, piazzare titoli merci persone appalti ombrelloni salumi (e pesci! tonnellate di pesci), tutto sempre di nascosto, ma solo per finire in tv intervistato da Mentana e Travaglio, tutto alla luce del sole nell'ombra, telefona così lo beccano, magari il prossimo ferragosto va in turné con Manila Gorio, un giro di conferenze sulla massoneria vitto e alloggio tutto compreso, poi garrota la cuginetta in uno scantinato, felice e contento si fa un dieci anni in galera e quando esce si autocondanna all'ascesi mistica in una sperdutissima isoletta dei famosi. Più o meno. Che tanto lui non conta un cazzo: è un signor nessuno, come tutti.

domenica 28 novembre 2010

Primi assaggi dei cablo di Wikileaks (raccolti da Dust)

SARAJEVO --- ASSASSINATO ARCIDUCA FRANCESCO FERDINANDO ----

MOSCA --- BASTA CON QUESTI FAKE! QUI C'E' GENTE CHE LAVORA! ---

RIODEJANEIRO --- AHO, QUA E' ARRIVATA UNA NUOVA CHE CIA' UN CULO CHE PARLA

GERUSALEMME --- AMMAZZA CHE NOIA. OGGI NON CI STA MANCO UN'EBREO CHE SPARA A UN PALESTINO

WASHINGTON --- PRIMO: SI DICE "ISRAELIANO" E "PALESTINESE" - SECONDO: "EBREO" E' MASCHILE E QUINDI PRIMA NON CI VA L'APOSTROFO. GNURANT!

GERUSALEMME --- AHO, A GRAMMARNAZI, MA APPARTE NOI CHI VUOI CHE SE LE LEGGA 'STE STRONZATE? ASSANGE?

MOSCA --- MA QUAND'E' CHE POSSIAMO MANDARE CABLO DI HELLO KITTY?

PECHINO --- IO HO DELLE BELLISSIME FOTO DI GATTINI E NON POSSO POSTARLE! SIGH!!!!

NEW YORK --- RAGA, STASERA CI TROVIAMO ALL'ONU PER ANDARE A SUONARE TUTTI I CAMPANELLI !

TEHERAN --- QUI INVECE ANDIAMO IN GIRO A SUONARE TUTTI I CAPANNELLI! AHAH CHE BUFO!

PATAGONIA --- "E' UNA TERRA BELLISSIMA, DAI, FATTI TRASFERIRE, CHE QUI ALLE MALDIVE CI SI ANNOIA". 'STA STRONZA. E IO CHE LE DO RETTA

MOSCA --- MA SAI CHE PUTIN PARLA DAVVERO COME UN PIBIDESE?

ALASKA --- ALLORA, IO MI PRESENTO E DICO "PIACERE, GOFFREDO" E LUI "ANCA MI!" AHAHAH! HAI CAPITO? FREDO-FREDDO IN VENETO. MA 'STO TIPO E' PROPRIO FORTE, EH. CERTO CHE A FARE IL DIPLOMATICO SE NE IMPARANO DI COSE. VOGLIO DIRE, VEDI PROPRIO IL MONDO COM'E' FATTO ECCETERA

LONDRA --- INTERESSA A QUALCUNO UN PETTEGOLEZZO DAVVERO PICCANTE SULLA CASA REALE?

PARIGI --- NO, LONDRA, GRAZIE, MI BASTA LA PAGINA 3 DEL SUN

MYANMAR --- MA CAZZO, E ADESSO ME LO DITE CHE E' LA STESSA COSA DI "BIRMANIA"?

BERLINO --- DAI, AL VOLO: LA CAPITALE DEL BOTSWANA? MA SENZA GUARDARE SU WIKIPEDIA, EH

ANKARA --- SAPETE PERCHE' QUI NON FESTEGGIANO IL THANKSGIVING DAY? PERCHE' SONO TURKEY! AHAHAH! BUFISIMO!

BOLOGNA --- QUI NEVICA. E LI' DA VOI? [ seguono circa 800 cablo con le condizioni meteo da tutto il mondo ]

WASHINGTON --- RAGAZZI VI VOLETE DARE UNA CALMATA? NON AVETE UN CAZZO DA FARE? OK: VI ACCONTENTO SUBITO. PER DOMANI VOGLIO DA OGNUNO DI VOI UN RAPPORTO MILITARE-POLITICO-SOCIALE CON PROIEZIONI A TRE ANNI. PARLO DEL RAPPORTO CONOSCIUTO NEL VOSTRO GERGO DEL CAZZO COME "APOCALISSE", PER INTENDERCI

MOSCA --- NO, DAI, CAPO. STAVAMO SOLO SCHERZANDO. EDDAI

SAN MARINO --- PER ME NON C'E' PROBLEMA, CAPO. CONSIDERALO GIA' PRONTO

PECHINO --- NOUOAOOAOOO!

PARIGI --- COME DICI BZZZBZABZZ NON ZXZXZXZ SENTE BENE CZXZXZX INTERNET ZXZXZXZXZXZ DISTURBI RSFFZCXDDSD NEVE KSKXKZKS GALLERIA

CAIRO --- LO FAREI VOLENTIERI, MA PER DOMANI E' PREVISTA PIOGGIA DI RANE

WASHINGTON --- CAIRO: E' VECCHIA

BERLINO --- CAPO, PER LE PROIEZIONI A TRE ANNI NON C'E' PROBLEMA, MA SULLA SITUAZIONE ATTUALE HO LE IDEE UN PO' CONFUSE

TERRADIMEZZO --- EHM, CAPO, IN EFFETTI PER DESCRIVERE LA SITUAZIONE CREDO MI OCCORRERA' UN PO' PIU' DI TEMPO


lunedì 8 febbraio 2010

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VI — DARSI ALLA MACCHIA

Mandy! Mandy? Mandy, mi senti? Mi senti? Muovi la testa se mi senti. Muovi la testa se mi senti, Mandy. Ecco, brava. Riesci a sentirmi. Ce la fai ad aprire gli occhi per me? Lo puoi fare, Mandy? Fammi vedere che apri gli occhi. Ecco, dai. Dai, guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami, Mandy. Bene. Bene.
Vittima di un’overdose, la prostituta Mandy (Julienne Davis) giace completamente nuda su una poltrona di velluto rosso. Il dottor William Harford (Tom Cruise) la resuscita in Eyes Wide Shut (Stanley Kubrick, 1999).


Tre desideri a chi riconosce il film da cui sono tratti questi fotogrammi. Giovedì proporrò una nuova terna di immagini, ma strofinerò la lanterna magica una volta. Nuova troika sabato, ma ti resterà solo un desiderio, epperò sarà pure sbagliato.

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AGGIORNAMENTO (giovedì 11 febbraio): Nuovo tris d'immagini. Dimmi cosa ci vedi e appaga due desideri inconfessabili.

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AGGIORNAMENTO (sabato 13 febbraio): Ultime tre immagini, ultima possibilità di realizzare un desiderio sbagliato.


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La partita si è conclusa senza vincitori.
Stavolta il film da riconoscere era un saggio documentaristico, The Pervert's Guide to Cinema (Sophie Fiennes, 2006), lunga passeggiata attraverso i film del filosofo e psicanalista Slavoj Žižek. Partendo dall'alto, i fotogrammi del quiz corrispondono ai titoli seguenti : 1) Gli uccelli (The Birds, 1963) di Alfred Hitchcock; 2) Monkey Business (1931) di Norman Z. McLeod; 3) fotogramma originale; 4) La conversazione (The Conversation, 1974) di Francis Ford Coppola; 5) Il testamento del dottor Mabuse (Das Testament des Dr. Mabuse, 1933) di Fritz Lang; 6) fotogramma originale; 7) Velluto blu (Blue Velvet, 1985) di David Lynch; 8) L'amante (Possessed, 1931) di Clarence Brown; 9) fotogramma originale: quell'uomo che ti guarda sguazzare nel pozzo dei tuoi desideri è Žižek stesso.
La prossima sfida si terrà martedì 16 febbraio.

mercoledì 16 dicembre 2009

Come in uno specchio 4


In un tomo delle sue Lettere edificanti e curiose, pubblicate a Parigi durante la prima metà del secolo XVIII, il padre Zallinger, della Compagnia di Gesù, abbozzò un esame delle illusioni e degli errori del volgo della città di Cantòn; in una lista preliminare, annotò che il Pesce era un essere fuggitivo e risplendente che nessuno aveva mai toccato, ma che molti pretendevano di aver visto nel fondo degli specchi. Il padre Zallinger morì nel 1736, e il lavoro iniziato dalla sua penna rimase inconcluso; centocinquant’anni dopo, Herbert Allen Giles riprese l’opera interrotta.
Secondo Giles la favola del Pesce fa parte di un mito più ampio, che si situa nell’epoca leggendaria dell’Imperatore Giallo.
A quel tempo il mondo degli specchi e il mondo degli uomini non erano, come adesso, incomunicanti. Erano, inoltre, molto diversi: non coincidevano né gli esseri, né i colori, né le forme. I due regni, lo specolare e l’umano, vivevano in pace; per gli specchi si entrava e si usciva. Una notte la gente dello specchio invase la terra. Irruppe con grandi forze, ma dopo sanguinose battaglie, le arti magiche dell’Imperatore Giallo prevalsero. Egli ricacciò gl’invasori, li incarcerò negli specchi, e impose loro il compito di ripetere, come in una specie di sogno, tutti gli atti degli uomini. Li privò di forza e di figura propria, riducendoli a meri riflessi servili. Un giorno, tuttavia, essi si scuoteranno da questo letargo magico.
Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo dello specchio scorgeremo una linea sottile, e il colore di questa linea non rassomiglierà a nessun altro. Poi verranno svegliandosi le altre forme. Gradualmente, differiranno da noi; gradualmente, non ci imiteranno. Romperanno le barriere di vetro o di metallo, e questa volta non saranno vinte. Al fianco delle creature degli specchi combatteranno le creature dell’acqua.
Nello Yunnan non si parla del Pesce ma della Tigre dello Specchio. Altri intende che, prima dell’invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi.
Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica ("Animali degli specchi"), Einaudi, Torino 1962, pp. 19-20.


mercoledì 8 ottobre 2008

Dacci un Taglio

— Don Lucchesi, lei è un uomo di finanza e di politica. Io queste cose non le capisco.
— Le pistole le capisci?
— Sì.
— La finanza è una pistola. La politica è sapere quando devi premere il grilletto.
Vincent Mancini (Andy Garcia) e Don Lucchesi (Enzo Robutti) nel Padrino — Parte III (Francis Ford Coppola, 1990).

lunedì 21 aprile 2008

Bamboccioni, chista gioventù...

Oggi hai sette anni. Ora sei un uomo. Seppellisci il tuo primo giocattolo e la foto di tua madre.
Nel deserto, El Topo (Alejandro Jodorowsky) impartisce ordini al figlioletto (Brontis Jodorowsky), completamente nudo a parte un cappello e un paio di mocassini in El Topo (Alejandro Jodorowsky, 1970).

L'emblema dei bamboccioni, non c'è dubbio, è la trilogia del Padrino, gran saga dei bamboccioni sulla famiglia bambocciona per eccellenza, delirante biografia di un bamboccione che vorrebbe andar via di casa ma non può (e sotto sotto, non vuole, perché è proprio un bamboccione). Logica opera del regista più bamboccione della storia del cinema, coll'ossessione di restare bamboccioni, di tornare ad esser bamboccioni, di non cessar mai di esser bamboccioni: Jack, Peggy Sue, Zoé, tutti quei bamboccioni della cinquantaseiesima strada, i Rusty James, e non torno a casa stasera, e you're a big boy now. Ah, youth without youth... E la figlia lo ha capito, che il target è quello, con la sua trilogia delle bamboccione, bamboccione provinciali, spaesate, coronate; bamboccione fino al limite estremo, fino al cuore di tenebra, fino all'apocalypse now, magari a Tokyo piuttosto che a Saigon (merda, sono ancora un bamboccione...), bamboccione fino al suicidio, alla decapitazione, con teste di bamboccione penzolanti, rotolanti...
E allora, il giovane don Vito, se gli hanno ammazzato la mamma, come può continuare a fare il bamboccione, dato che di mamma — lo sanno tutti i bamboccioni — ce n'è una sola? Va a teatro a broccolìn a vedere una napoletanata e a un certo punto che ti fa l'attore, bamboccione mélo? Si mette a cantare una roba che manco a farlo apposta (cioè facendolo appostissima, per il pubblico bamboccione che costruirà questo grande impero bamboccione che si chiama iuessei) si intitola "Senza mamma". E poi la rete, piena di informazioni, grassa di blog (che sono l'ultima, disperata spiaggia dei bamboccioni moderni) ti spiega che "Senza mamma" l'ha scritta tale Pennino, e che tale Pennino era nientemeno che il nonno della mamma di Coppola. Ah! La mamma! Il nonno! La zia! La pappa! Bamboccioni!
senzamamma.mp3