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martedì 26 aprile 2022

The Batman (Matt Reeves, 2022)

Guardando The Batman ho capito cosa mi piace dei film di Matt Reeves dai tempi del piuttosto sottovalutato Cloverfield. Mentre il miglior cinema tende a lavorare su blocchi narrativi (una forma primitiva che Kubrick ha portato all'apogeo), che nella sempre più dominante esperienza casalinga permette interruzioni anche economicamente sfruttate in passato da pratiche nazionali (il primo e il secondo tempo italiani), lui questa forma al contempo antichissima e modernissima sembra ignorarla del tutto, non so se volutamente o meno. È un impasto di eventi che si susseguono come una macchinetta instancabile. Già in Cloverfield era così, con una prima parte in cui malgrado la frenesia "non succede nulla" e improvvisamente la catastrofe, inesorabile e convulsa fino all'ultima immagine: non metti in pausa e vai a dormire quando finalmente "succede qualcosa". Se la memoria non m'inganna, anche i due Planet of the Apes erano costruiti così. Pesano sicuramente la durata eccessiva e qualche scelta visiva appiccicata rispetto a una distanziazione a tratti quasi inerte seppur curiosamente non sgradevole, ma quella piccola caratteristica particolare a mio avviso merita attenzione e fa di Matt Reeves un regista abbastanza singolare.

NOTA

Ieri dopo aver scritto quelle poche righe mi son chiesto come avrei potuto svilupparle, potendo essere meno pigro e confuso. Per esempio cercando di capire come faccia Reeves a congegnare un dispositivo così compatto e così strano, di fatto l’equivalente di un romanzo tradizionale in un solo capoverso.
Tenendo conto che parliamo di un regista e di un film tutt’altro che radicali, mi son venuti in mente due metodi, quelli sì radicali, a cui forse di tanto in tanto ha pensato e che qua e là sembrano applicarsi. Il primo è quello de La Peau douce di François Truffaut: in alcuni momenti, là dove ti aspetti un’ellissi, Reeves mi pare indugi su momenti puramente connettivi. Batman deve passare da un luogo all’altro e invece di staccare semplicemente da qui a lì eccolo che guida, prende l’ascensore, ecc.
L’altro è Night and the City di Jules Dassin, di cui da ragazzino mi colpì il fatto che è interamente, ossessivamente polarizzato sul protagonista, non lo molla mai, lo bracca costantemente, il film esiste solo in funzione di lui, e quel lui è il massimo della sgradevolezza cinegenica, ossia Richard Widmark. Anche Pattinson è a suo modo estremamente sgradevole, e in questo film più che nei precedenti. Senza arrivare agli estremi di Dassin, mi ha colpito come Batman/Bruce Wayne, che per natura è figura della notte, dell’ombra, e quindi richiede un’economia al risparmio nella distribuzione delle presenze in scena e in inquadratura, qui viene esibito, a volte addirittura buttato e lasciato nell’immagine come uno straccio vecchio, con la sua tutazza ormai priva di qualsiasi sorpresa e la sua maschera tutto sommato abbastanza ridicola.
Tutto questo forse contribuisce a dare quell’impressione di un’azione sostanzialmente continua, priva di stacchi.

lunedì 19 marzo 2012

Basta un clic (un clic e basta)

Ancora oggi, a distanza di secoli, ricordo il brivido che corse lungo la mia schiena di ragazzino al fulmineo gesto di Desailly, quando infila la mano nel taschino della giacca per inforcare gli occhiali: a ricostituire un contegno borghese prima di avvicinarsi alla balaustra, per osservare dall'alto del terrazzo Dorléac che si allontana per sempre.
Ma solo oggi ho notato il clic che fanno gli occhiali estratti dal taschino, un clic al contempo preciso e innaturale – gli occhiali non fanno clic – nel quale è racchiusa l'idea stessa di quel film, la visione del mondo e del cinema di François Truffaut.