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lunedì 1 febbraio 2021

lunedì 8 maggio 2017

No More Mr. Nice Guy: Macron al Louvre

– I expected someone like you. What did you expect? Are you an assassin?
– I'm a soldier.
– You're neither. You're an errand boy, sent by grocery clerks, to collect a bill.

Ai francesi non è stato concesso neppure un giorno di tregua.

Ieri sera, nella messinscena del Louvre, il frastornante "Inno alla gioia" era un trattamento Ludovico imposto a tutta una nazione: il vostro No espresso alla luce del giorno al fascismo di Le Pen si è tramutato al calare del sole in un Sì alla "Costituzione" europea che avevate rigettato nel 2005. "Statece": inchiodati davanti alla tv, con gli occhi sbarrati e il volume a manetta.
La strana camminata – dalla lentezza troppo a scatti per essere ieratica ma priva di umorismo montypythonesco – di una silhouette sfacciatamente bassa compensata da un'ombra sfacciatamente lunga, dove tutti hanno visto Napoleone e forse solo io il William Harford di Eyes Wide Shut cui si aprono finalmente none porte della Legge grazie a un "Fidelio" assegnato a forza da milioni di elettori.
Il volto lunare del prescelto e l'apice di una piramide divina in congiunzione astrale e perfettamente simmetrica ottenuta grazie a un'angolatura dal basso e centrale.
Il tutto in un'oscurità cosmica, nel buio notturno di un ritorno allo spazio riservato ai re, ai tempi in cui torpide Lady Lyndon firmavano assegni a rampanti avventurieri.

Chiaro: non fosse morto, riconosceremmo subito il regista di queste immagini. È lo stesso che girò lo sbarco sulla Luna.

Invece la messinscena è firmata dai comunicatori della campagna di Macron. A un certo punto anche i canali televisivi francesi si sono sentiti in dovere di dare l'informazione, con un brevissimo sottotitolo: "that's entertainment".
È come se i registi dell'incoronazione di Emmanuel Macron avessero avuto un'intuizione. Il nostro candidato viene attaccato come l'uomo dei banchieri, della mano invisibile del potere, del falso, della massoneria, dei produttori di Armstrong che a scatti poggia il piede sulla Luna in uno studio hollywoodiano.
Allora noi li prendiamo in contropiede. Li mandiamo in cortocircuito: eccolo, il caro vecchio Ludwig Van; eccola, l'orgia misterica di tutti i Palazzi della finanza; eccola, l'alba dell'umanità; eccola, la notte di tutte le Républiques. E quindi li lasciamo "radicalizzarsi": la massoneria, la piramide, Dio, la Luna, il dito, la notte, la moglie anziana, il tizio con il berretto, Beethoven. Si facciano esplodere in rete.

Una novità: in analoghe messinscene recenti, i personaggi e i canovacci comportavano sempre una componente comica, la battuta, "l'ironia" d'ordinanza, a volte la "simpatica" cialtronaggine, nella peggiore delle ipotesi il ghigno. Il film Macron al Louvre è plumbeo, è il "No more mister Nice Guy" di un horror di Wes Craven che lo psicopatico "fritto" sulla sedia elettrica minacciava sarcastico al mondo intero: prima di reincarnarsi, complice la rete elettrica, su tutti i televisori domestici. È stato invece paragonato nelle ultime ventiquattr'ore a Mitterrand al Panthéon (regia di Serge Moati), ma stranamente non ho sentito nessuno che ricordasse cosa ci facesse nel 1981 il presidente neoeletto al mausoleo: andava a raccogliersi davanti alla tomba di Jean Moulin. Tra Mitterrand e il "sacro" c'era una storia precisa. La storia raccontata dal film era falsa, come si scoprì negli anni, ma qualcosa in quel preciso momento raccontava. Tra Macron e la Piramide non c'è alcuna storia: una pagina bianca. O meglio, riempita di simboli decapitati (i re) o fasulli (icone date in pasto ai complottisti).

Vivo da quarant'anni a Parigi, uno spettacolo così sinistro non l'ho mai visto in tutta la storia politica francese.
Un giorno, a bocce ferme, accantonati i codici Da Vinci e dando per scontato l'allunaggio, di questa oscenità spero che si potrà parlare.



– They told me that you had gone totally insane, and that your methods were unsound.
– Are my methods unsound?

– I don't see any method at all, sir.

sabato 8 ottobre 2011

"Non siamo carbonari né pugnalatori alle spalle"

Ma sai che invece, magari con la scusa dell'insediamento al Quirinale, certi classici dell'import/export made in Italy potrebbero fare la loro porca figura?
Poi non so, capace che hai ragione tu, Scajola. Forse è meglio dar prova di coerenza: chi di spada ferisce eccetera.

lunedì 20 luglio 2009

Flaimituzemun

Uomini sulla Luna!… Uomini a spasso intorno alla Terra!… E non c’è nessuno che rispetta la legge, nessuno che tiene l’ordine, nessuno più!
L’odissea nello spazio vista attraverso gli occhi di un vecchio barbone ubriaco (Paul Farrell) in Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971).

– Quel che è stato creato, qui, è una comunità internazionale. Lo schema perfetto dell’ordine mondiale. Quando i due blocchi che si fronteggiano si renderanno conto di guardarsi in uno specchio, capiranno che questo è il modello del futuro.
– Tutta la Terra come il Villaggio…
– È quel che spero! E lei?
– Vorrei essere il primo uomo sulla Luna.
Il n° 2 (Leo McKern) spiega al n° 6 (Patrick McGoohan) che dal Villaggio non si evade nella serie televisiva creata da Patrick McGoohan The Prisoner (1967, 2° episodio: “The Chimes of Big Ben”).

Decisi che volevo sposarla quando vidi la luna riflessa sulla canna del fucile di suo padre.
Ali Hakim (Eddie Albert) in Oklahoma! (Fred Zinnemann, 1955).

lunedì 1 dicembre 2008

Stanley Kubrick for dummies

Stanley Kubrick e il fotografo Weegee.

II

1962-1999

LOLITA, 1962
Humbert Humbert perde la testa per Lolita, che porta occhiali a forma di cuoricino e succhia ancora i leccalecca. Ma lo perseguita Quilty, sempre pronto a guastargli la festa e ad assillarlo con allusioni oscene. Forse non esiste, forse è un fantasma dell’Overlook Hotel, o un monolito pecoreccio. Forse è solo la voce della coscienza, grottesco senso di colpa (Quilty/Guilty). Nel libro di Nabokov Kubrick intravede quello che, assieme all’Odissea, è il suo mito primordiale: Pinocchio.

DOTTOR STRANAMORE, OVVERO COME IMPARAI A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA BOMBA (DR. STRANGELOVE OR: HOW I LEARNED TO STOP WORRYING AND LOVE THE BOMB, 1964)
Doveva essere un film serio: follie individuali, errori nel sistema di comunicazione e dispositivi segreti di reazione “preventiva” rendono possibile l’annientamento termonucleare dell’umanità. Ma nella strada che porta alla morte, troppa Vodka, troppa Coca-Cola, troppi missili fallici, troppi fluidi vitali repressi. E troppi, troppi Peter Sellers. Kubrick ce la mette tutta per ritardare l’esplosione, ma alla fine scoppia a ridere (e pare che nel film lo si possa sentire). L’atto di nascita del cinema demenziale.

2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (2001: A SPACE ODYSSEY, 1968)
Furiosamente ateo, Kubrick fissa su pellicola un’immagine di Dio in grado di soddisfarlo: un parallelepipedo regolare, senza asperità, opaco e perfetto. È un buco nero, e chi lo attraversa compie “the ultimate trip”, come promettevano le locandine dell’epoca (con doppi e tripli sensi). Come capita spesso alle anticipazioni, il tempo ha trasformato 2001 in ucronia. Ma stavolta le previsioni erano rigorosamente esatte; siamo noi a vivere in un presente sbagliato. Cambiamolo.

ARANCIA MECCANICA (A CLOCKWORK ORANGE, 1971)
Tanto il futuro di 2001 assumeva le sembianze di una tecnologia asettica proiettata nel cosmo, tanto l’avvenire piccolo borghese dell’Inghilterra di Alex DeLarge promette solo fatiscenti periferie metropolitane, ascensori rotti, graffiti osceni, barbarie e ultraviolenza. La scimmia preistorica, divenuta feto astrale alla fine di 2001, non sfocia nel superuomo, ma regredisce fino a ritrovare le proprie origini, neonato bestiale “senza legge” (A-lex).


BARRY LYNDON, 1975
Modificando l’obiettivo Zeiss, Kubrick trasforma la cinepresa in macchina del tempo. Si ritrova nell’Inghilterra del Settecento, pochi anni prima della Rivoluzione francese. Sembra un documentario “impossibile”, ma le focali sensibilissime obbligano le persone all’atarassia delle belle statuine. Poco male: tanto non hanno nulla da dire. Finché uno di loro lascia cadere il braccio lungo il corpo, e invece di uccidere il nemico, spara per terra. Ed esce dal quadro.

SHINING (THE SHINING, 1980)
Jack Nicholson, Shelley Duvall e il figlio scelgono di passare l’inverno all’Overlook Hotel, costruito su un cimitero indiano. Pessima idea. Il figlio pedala solo soletto sul suo triciclo, e a furia di girare in tondo confonde ieri, oggi e domani. L’albergo è infestato di fantasmi dei roaring Twenties; la famiglia americana, già dissestata di suo, se la divorano a mezzanotte, obbligando padre e figlio a un remake gore di Bip-bip e il coyote. Ma a ridere resta solo Jack: in una fotografia scattata al ballo della festa dell’Indipendenza, il 4 luglio 1921.

FULL METAL JACKET (1987)
Dallo smoking dei fantasmi all'uniforme dei marines, dai cessi rossi dell'Overlook Hotel alle latrine blu di Parris Island: un world full of shit, letteralmente, in cui i soldati del sergente Hartman sono immersi come fosse l'unico dei mondi possibile, grazie a un eraserhead (film amatissimo dal regista) e reset cerebrale. Poi tutti a perdersi nel labirinto di Hue, senza sapere di essere a Londra. Un film ossessionato dall'assenza di donne, con una prima parte dedicata al fucile da battezzare con nomi femminili e una seconda che si chiude sul volto di una vietcong morente. Al centro, un culo di prostituta che si allontana ancheggiando. Un film tagliato in due: non come un'arancia; piuttosto come due natiche.

EYES WIDE SHUT (1999)
Un progetto perseguito per più di trent'anni, realizzato fino all'ultimo respiro di un montaggio a mio avviso non definitivo. Un uomo qualsiasi, come qualsiasi erano Dave Bowman o Jack Torrance, scopre attraverso il moltiplicarsi dei fenomeni sessuali che altro controlla, determina e dirige la sua esistenza. E che questo altro, questa "stoffa di cui son fatti i sogni” non è che il Tempo, qui incarnato nel perdurare eterno del desiderio fisico. Sì, la parola "forever" che le gemelle macellate sussurravano al piccolo Danny è terrificante, come nota Nicole Kidman. Meglio scopare.