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giovedì 17 agosto 2023

Babylon (Damien Chazelle, 2022)

Ho recuperato Babylon, che avevo ignorato perché di Chazelle pensavo mi bastasse una cosa noiosissima sulla Luna. In realtà non è affatto male, se non fosse che nell'epilogo si sfracella incomprensibilmente ma sicuramente. Bizzarro assai.
È sostanzialmente un film super-post sul cine, frulla davvero tutto il frullabile, all'inizio parte moscio con un elefante che ricorda i Taviani, a me i Taviani non son mai piaciuti, ma subito dopo è Kenneth Anger, il Cukor di Dinner at Eight, Cantando sotto la pioggia.
E poi tutto quello che ti pare: il Truffaut di Effetto notte, il Tarantino di Once Upon a Time… in Hollywood e l'Anderson di Licorice Pizza, per chiudere sulla Hollywood lynchiana di Mulholland Dr. e INLAND EMPIRE.
A suo modo c'è un crescendo, ma dopo che Margot Robbie attraversa la luce ed entra nel buio (come una fitzgeraldiana falena Laura Dern) c'è di nuovo, esplicitamente, Singin' in the Rain (ma mi prendi per scemo?) e per chiudere in bellezza…
… un montaggino di un minuto che nel mio cervello esplode e annulla l'esperienza delle tre ore precedenti, un pastrocchio a metà tra i finali del Quinto elemento e di Nuovo Cinema Paradiso. Dopo Anger, Truffaut, Tarantino, Anderson, Lynch: Besson e Tornatore. Ma perché.

martedì 13 settembre 2022

Non solo Aldrich

È un aspetto credo singolarissimo dell'opera di Quentin Tarantino di cui mi resi conto con Pulp Fiction (il senso di Reservoir Dogs mi sfuggì per anni, sciaguratamente, al cinema mi capita spesso). Nella citazione si tratta di mascherare il riferimento inafferrabile (ma il cineipotalamo può sempre coglierlo) con l'omaggio pop: pop discutibilmente sottovalutato, o a rischio d'oblio altrettanto ingiusto, o fossilizzato nel rispetto accademico. Tarantino riesuma e dà nuova vita (il cinema anima cadaveri, dà movimento a fotogrammi congelati, non ha mai fatto altro) a un cosmo che non ha nulla a che fare con un panico caos postmoderno: per chi vuol vederla c'è una gerarchia, una massima concentrazione prodotta e richiesta. C'è "ordine", "metodo".
Barry Lyndon dietro Mandingo, Rohmer oltre il grindhouse, Lubitsch sotto Castellari.
Godard lo definì: "un facchino".
Non è detto che sia un insulto, anche se per Godard lo era di sicuro (Godard insultava tutti, era il suo "ordine", era il suo "metodo").
Anche perché in fondo, cosa fa un facchino?

– Dans cette valise…
– … Il y a des surprises!




sabato 11 dicembre 2021

sabato 21 settembre 2019

Tarantino/Kubrick (note sparse su "C'era una volta a… Hollywood")

Visto Once Upon a Time in… Hollywood di Quentin Tarantino, prima reazione a caldo.
Mi viene in mente il paragone con l'altro "grosso grasso capolavorone" dell'estate, Parasite di Joon-ho Bong. Passata la sorpresa spiazzante di Memories of Murder e The Host, in cui i cambiamenti continui di tono e i tempi imprevedibili del racconto potevano sembrare felicissimi e geniali tentennamenti, appare chiaro oggi che si trattava di controllo sovrano, che si dispiega in Parasite per il nostro piacere sempre rinnovato, in cui le contraddizioni del "film di famiglia svitatella" da L'eterna illusione di Frank Capra a Non aprite quella porta di Tobe Hooper passando per i Passaguai o per tanti film con Totò e magari il fu Delle Piane figlio, si susseguono autoannullandosi e sempre squisitamente leggibili da tutti, assieme a organizzazioni dello spazio degne di tesi di dottorato tardive di un Rohmer e alla loro corrispondenza politica, come nel "cinema di metafora" anni 70, il tutto imprevedibile, controllatissimo, "moderno", in una parola: perfetto.
Il film di Tarantino non è perfetto, come non è perfetta la sua opera. Siccome in Italia esce solo domani, la scusa nobile del "no spoiler" mi esime dal precisare in che modo non è perfetto, ma noto che anche in questo caso colpisce la struttura infantile o per meglio dire primitiva "a blocchi", direttamente ereditata da Kubrick, regista di cui si tramanda un'errata idea di "perfezione" quando in realtà era un giocatore d'azzardo. Ancora una volta, Tarantino gioca d'azzardo, alla roulette punta su un numero singolo, mentre Bong (volendo proseguire il paragone del tutto privato, me ne rendo conto) punta sul rosso (in Corea) e sul nero (nel mondo) al contempo e a rischio zero. Bong vince due volte, forse un po' barando; Kubrick e Tarantino fanno cinema.


***

Alla fine di 2001: Odissea nello spazio Dave Bowman (Keir Dullea) accede a una nuova dimensione della propria esistenza entrando in un luminosissimo appartamento che entità aliene hanno creato a immagine e somiglianza del suo inquilino, un appartamento che aspettava solo la sua inevitabile presenza.
Alla fine di C'era una volta a… Hollywood Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) accede a una nuova dimensione della propria non-esistenza entrando nel buio di una "mansion" popolata da esseri viventi per pura finzione, una mansion che non si è mai aspettata e mai si aspetterà l'impossibile presenza di Rick Dalton.



***

[Su facebook mi si fa notare "la scena del ranch dove le ragazze sembrano gli uccelli (bird in slang è proprio la pollastrella) di Hitchcock"]

Agli Uccelli ho pensato anche in altri momenti del film, l'apparizione puntuale delle ragazze, le scene con Sharon Tate, sono anche promesse fatte da Tarantino allo spettatore, "Sì sì, tranquilli, lo so che siete venuti per questo": proprio come in Hitchcock per la prima metà del film. E proprio all'inizio della nottata finale in televisione un annunciatore: "E ora il momento che stavate tutti aspettando!". Nella scena del ranch c'è anche molto dell'horror anni Settanta, i primi Craven, Tobe Hooper, Romero, Carpenter. Tutto un cinema che comunque proprio agli Uccelli deve molto, in particolare La notte dei morti viventi (si dice che un giovanissimo Romero portasse i caffè sul set di Hitchcock). In generale mi pare che Di Caprio copra il cinema di fine Cinquanta, Sessanta, e che nella sequenza "western-amletica" prefiguri la recitazione che verrà nell'immediato futuro, quella di un Al Pacino chiamato ad attestarne la realtà e al contempo a nasconderla in due scene interpretate a contropelo, quasi sottotono. Brad Pitt invece sembra portarsi appresso, del tutto ignaro, un cinema ancora più lontano nell'avvenire, più brutale, appunto quello dell'horror di qualche anno più avanti: ma non dimentichiamo che La notte di Romero era comunque uscita un anno prima e che Gli uccelli sono del 1963.

lunedì 22 luglio 2019

Stranger Things S03 (The Duffer Brothers, 2019)

La terza stagione di Stranger Things è come ormai sanno tutti superiore alla seconda. Secondo me è anche migliore della prima, perché trova finalmente una sua verità nel raffazzonato, nel ritmo affannosamente reinventato tra una sequenza e l'altra e mai uguale a se stesso, nel suo sostanziale non andare a parare mai da nessuna parte, a tal punto che giunti oltre la metà della stagione, e forse fino alla fine, non si capisce di cosa si stia parlando, quale sia la posta in gioco, senza che questo abbia la minima importanza per garantire il moderato ma sicuro divertimento. Questo è il vero spirito degli "anni Ottanta", l'iceberg di cui la prima stagione mostrava solo la punta di Spielberg e dei suoi fortunati compari (nonché di Stephen King e di vari videogiochi di successo ma a rischio zero, da Life is Strange a Beyond). Vada invece per i neocormaniani che "non ce l'hanno fatta", da Tremors alla Troma, da Basket Case a Society, da Wes Craven al nostro amatissimo Romero (Day of the Dead era costato due dollari, contrariamente al precedente Dawn che ne era costati quattro e mezzo, splendida l'idea di proiettare il primo nel centro commerciale del secondo) a Terminator (idem, film a bassissimo costo, in attesa del noiosetto seguito, che sarà invece il primo film a costare cento milioni di dollari) a La cosa di Carpenter (che invece era caro, e la pagò il doppio). Vada per interni sfacciatamente di cartapesta, saloni con colonne bianco avorio in PVC, ruote di luna-park alte due metri come nel dimenticato The Funhouse (Il tunnel dell'orrore, 1981) di Tobe Hooper, trasparenti in auto che riescono a essere quasi altrettanto orrendi e quasi altrettanto sublimi dei migliori Hitchcock tra Cinquanta e Sessanta, vestitini fantasia da cui spuntano cosce non proprio d'alabastro e depilate alla bell'e meglio di ninfette mediamente smaliziate. Vada per i titoli di testa di cui non ricordavo graffi di pellicola nelle due precedenti edizioni, per i font decisamente "tv-movie" scelti per i titoli relativi a ciascun episodio, vada per questa tarantinata un po' tardiva, come appunto tardivo, raffazzonato, affannoso, sostanzialmente inutile ma in fondo simpatico era molto di quel cinema. Tarantino che ritrovi nel primo episodio prima della proiezione di Day of the Dead, con la sigla musicale di Grindhouse, nonché ovviamente nel riferimento alla Cosa carpenteriana, di cui The Hateful Eight è remake dichiarato, Cosa che fallì al botteghino perché più bella ma meno "perfetta" del precedente Alien (come Terminator era meno "molto molto profondo" ma più "molto molto gagliardo" di Blade Runner), Alien che a sua volta era la versione seria del primo film di Carpenter, Dark Star, raro caso di parodia à rebours, la Cosa di Carpenter di cui in Stranger Things si dice che è superiore a quella di Hawks, per una serie che sceglie invece – è la cosa che mi è piaciuta di più – di somigliare molto più a Hawks che a Carpenter, con i pischelli che parlano di cose sentimentali mentre sono inseguiti da una roba gigante e piena di denti fatta malissimo con un notebook, anche se sotto sotto pure questo Carpenter lo sapeva, anche senza un personaggio femminile in tutta la base artica quel che conta alla fine sono i tempi comici, quelli che decidi e imponi tu allo spettatore, non quelli che decide il "bel cinema", che è brutto, mentre è il brutto cinema che è bello, negli Ottanta come sempre: più o meno.

mercoledì 4 marzo 2015

Su "Birdman"

I bambini ci guardano; e noi esegeti, noi camarlinghi dell’estetica cinematografica,
maneggiamo camorri verbali come valido e messaggio; estendiamo, fino a non capirci più nulla,
i participiali vibrante e allucinante (rampini nel vuoto), e alimentiamo il debole pensiero con troppo comode atmosfere e suggestioni.
Leo Pestelli, Parlare italiano, Longanesi & C., Milano 1967, p. 44.
 
Non è tanto che scoprano solo ora il piano sequenza. È che scoprendolo male, senza porsi il problema di sapere cosa sia, le questioni che implica, quando è nato, come si è sviluppato e infine come è morto ECCO il punto è che lo scoprono da morto. Ricordo mesi fa una conversazione in un social network, qualcuno sosteneva che un virtuoso e lungo movimento di macchina girato al computer in non so quale produzione Marvel non fosse neppure lontanamente paragonabile, mettiamo, all'inizio de L'infernale Quinlan. E non lo è, si badi, a monte ma anche a valle (e a valle i commentatori digrignavano, lanciando "rampini nel vuoto"). Portando all'estremo quel discorso, direi che ormai il pianosequenza è un espediente kitsch, da sbruffoni maleducati, e probabilmente persino un De Palma oggi lo userebbe solo in quel senso (ma in realtà credo che lo abbia sempre fatto). Ma come, nel 2015 giri due ore e mezza senza mai tagliare e te ne vanti pure? Forse i piani sequenza che salvo sono ormai solo quelli "fantasticati in diretta" e che "in realtà" comportano un numero notevole di stacchi.




P.S.: La prima immagine della sequenza (inizia prima, ed è proprio l'inizio la parte più bella, ma purtroppo in rete non si trova intera) è un omaggio all'ultima scena di Barry Lyndon. Pochi giorni fa mi son reso conto che probabilmente in tutta l'opera di Kubrick non si trova un solo piano sequenza. Forse non era nel suo character.

lunedì 10 dicembre 2012

Winnetou

Lei è insopportabile, ma a parte questo stavo per mettermi a piangere più volte per la bellezza, letteralmente, come il mio amico Azio con la moglie quando guardavamo Sentieri selvaggi, peraltro citato all'inizio. L'ho rivisto in tre serate, da solo. Quella di ieri interamente dedicata al mexican sit-in in cantina. Potrei tenerci un corso annuale, se qualcuno mi pagasse per farlo: il film si arena squisitamente per 25 mn (ho cronometrato), dove per 18 mn ciarlano di continuo in tedesco con sottotitoli per lo spettatore Usa, e quello spettatore è obbligato a leggere le ciarle e a non vedere più nulla, legge  di accenti sbagliati ed è turlupinato perché non ha passato un decennio a Francoforte un decennio a Monaco e soprattutto un decennio a Piz Palü quindi merita di essere come minimo turlupinato e torturato mentre tutti si comportano in modo inverosimile e anacronistico e recitano da cani ciarlando in crucco e seduti come stoccafissi seduti e non c'è neppure uno straccio di musica di commento a salvare questi bastardi senza gloria tranne per una frazione di secondo un paio di trite note scalcagnate e stralciate da un orrendo spaghetti western che non c'entrano un cazzo se non a invocare grossolanamente il trito schioppo nascosto sotto il bancone e presto impugnato dal barista che chissà perché sparerà ai buoni tanto tutti son vestiti da nazi tutti uguali chiusi in una topaia claustrofobica a concionare in tedesco seduti come baccalà seduti eppure da quella topaia crucca quel figlio di puttana incolto e volgare di Tarantino riesce a scovare il nazi furbetto dell'angolino che la sa lunga col suo schnaps crucco e il culo inchiodato a una sedia nel suo angolino cieco perché Pastrone un secolo prima forse s'era inventato il carrello e anche quell'analfabeta bastardo di Tarantino la sa lunga e andiamo avanti così senza alcun senso potrebbe durare due ore e mezza e sarebbe bellissimo finché tutti schiodano il culo e si sforacchiano con luger coltelloni mitra e schioppi e godono con noi nel caos totale e per meno di dieci secondi.
Come sempre, Brad Pitt è perfetto.


venerdì 2 ottobre 2009

Waltz with Quentin


Oh, se ho capito bene il film esce oggi: a me l'ultimo Tarantino è piaciuto un frego, a parte la francesina, cozzissima. Un bel remake di To Be or Not to Be, con l'inizio di Lubitsch rivoltato come un calzino nel finale ucronico. Film tutto di testa, iperteatrale, divertentissimo e asfittico. Tutto parlato, consiste in una serie di interrogatorii giustapposti, paratattici: un kammerspiel al vavavuma, seguito ideale di A prova di morte. Quando ti becchi una visione del cinema così, puoi anche fare a meno di una visione del mondo, io diche.

giovedì 5 marzo 2009

Le solite note

Ti ho mai raccontato di quella volta che ho visto Errol Flynn sfoderare l’uccello e suonarci il pianoforte? Oh, be’, è stato un secolo fa, io ero agli inizi, come fotomodella, e sono andata a questa festa - un mezzo mortorio - dove c’era Errol Flynn che, tutto compiaciuto di se stesso, tira fuori l’uccello e ci ha suonato un pezzo al pianoforte. Gran botte sui tasti. Ha eseguito You Are My Sunshine. Figurati che cazzo di sonata!
Lo racconta Marilyn Monroe a Truman Capote in Musica per camaleonti (III, 6: “Una bellissima bambina”).

Tu non ti meriti Cole Porter.
Mickey Sachs (Woody Allen) a Holly (Dianne Wiest) in Hannah e le sue sorelle (Woody Allen, 1986).

In realtà il mio sogno è sempre stato quello di ballare bene. Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era un film solo sul ballo.
Saper ballare.
E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però… è tutta un’altra cosa.
Nanni Moretti sulla Vespa in Caro diario (Nanni Moretti, 1993).




giovedì 22 gennaio 2009

Questione morale

Enfin le navire partit ; et les deux berges, peuplées de magasins, de chantiers et d'usines, filèrent comme deux larges rubans que l'on déroule.
Gustave Flaubert, L'Education sentimentale.






domenica 2 novembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XIII — NIENTE DA VEDERE?

E allora infila le cuffie e sta' a sentire. Queste note al pianoforte si trovavano in un film. Anni dopo, le hai risentite (ma senza rancore) in un altro film. Due sesterzi, uno per ciascun film riconosciuto.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Martellone e possono essere consultate qui. E che te lo dico a fare che il gioco si svolge anche in un altro juke-box?
AGGIORNAMENTO (Mercoledì 5 novembre): Due indizi.
Il primo lo trovi tra il titolo del post e la prima frase.
Il secondo è in una mia mezza bugia, inserita nei commenti al gioco stesso. Ho scritto: "Salvo smentite, di solito non ci sono indizi all'infuori del post relativo al gioco stesso, né su questo né sull'altro tavolo, e qualora ci fossero sarebbero del tutto involontari". È l'ora della smentita, ma ribadisco la mezza verità: qualsiasi aiuto risolutorio esterno a questo post è involontario. Ma stavolta c'è. E ci sarà anche venerdì, quando aggiungerò nuovi indizi, se nessuno trova prima.
AGGIORNAMENTO (Venerdì 7 novembre): Dovessi dare un titolo alla sequenza del primo film in cui si ascolta questa musica, sceglierei
Un urlo fantastico.
Mentre il secondo, filologicamente:
La vendetta del cinema muto.

SENTI E GIOCA

LA PARTITA SI È CONCLUSA SENZA VINCITORI.
I FILM DA TROVARE ERANO BLOW OUT DI BRIAN DE PALMA E GRINDHOUSE — A PROVA DI MORTE DI QUENTIN TARANTINO.
PUOI VEDERE QUI SOTTO LE DUE SEQUENZE CON LA STESSA MUSICA DI PINO DONAGGIO. MA ATTENZIONE: BLOW OUT È FORSE IL MIGLIOR FILM DI DE PALMA, E SE NON LO HAI MAI VISTO TI SCONSIGLIO DI GUARDARE IL PRIMO SPEZZONE. È QUEL CHE GLI AMERICANI CHIAMANO UNO "SPOILER".
I DUE SESTERZI TORNANO IN PALIO PER LA
SFIDA DI DOMENICA 9 NOVEMBRE.





L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA

bianca: 7 bomboloni.
arcomanno: 6 bomboloni.
andrea: 2 bomboloni.
desaparecida: 2 bomboloni.
adlimina: 1 bombolone.

lunedì 27 ottobre 2008

En attendant vavavuma ovvero Two-Lane Blacktop is the picture

Performance and image, that's what it's all about.
G.T.O. (Warren Oates) in Strada a doppia corsia (Two-Lane Blacktop, 1971) di Monte Hellman.

Nei primi cinque anni del ventunesimo secolo, il cinema attraversò la più grave crisi d'idee della sua storia. Anche se che io sappia se ne accorsero in pochissimi e non credo se ne sia parlato granché. Forse perché identificarne e descriverne i motivi era un'operazione complessa e avrebbe richiesto troppo tempo. E comunque non ha il benché minimo interesse e non importa assolutamente nulla a nessuno, il che a ben pensarci potrebbe essere una causa non minore della suddetta crisi.
Ma non stiamo a parlar di crisicriticadellacriticacinematografica (d'ora in poi solo cri.cri.cri.) perché questo blog ha difetti d'elocuzione e gli scioglilingua sono controindicati. Volevo solo dire che una delle pochissime emozioni cinematografiche provate in quel quinquennio disperante è stata la visione di Strada a doppia corsia, che infatti non fu girato nel 2001 ma trent'anni prima, nell'anno in cui nacqui, anche se la coincidenza è del tutto priva di senso. Il film è diretto da uno strano signore che si chiama Monte Hellman, senza il quale Tarantino starebbe ancora a fare il cassettaro in periferia (Hellman produsse Reservoir Dogs, e dire che il miglior film di Quentin, A prova di morte, è un gigantesco omaggio al film di cui stiamo parlando è quasi un eufemismo).
Ricordo che lo vidi in un cinema parigino che si chiama "L'Harlequin". Prima della caduta del Muro di Berlino, si chiamava "Le Cosmos" e proiettava solo film sovietici. Ma a parte il nome e una riverniciatura, la sala principale è rimasta immutata nelle sue due principali caratteristiche: essere enorme, e sempre deserta. È la sala ideale per scoprire Strada a doppia corsia.


Leggo sul Mereghetti: "Senza le ruffianerie e il folclore di Easy Rider e di Punto zero, uno spaccato dell'America come terra di nessuno che ha retto bene all'usura del tempo. I personaggi non hanno nomi, non hanno interessi al di fuori delle macchine, si parlano a malapena (a parte Gto, che inventa storie a ruota libera): il road movie diventa un'agghiacciante metafora di solitudine e di vuoto esistenziale".
Io adoro il Mereghetti. E non solo perché non dimentica mai di dire se in tale film l'attrice protagonista si vede nuda, fin dove e per quanto tempo. Quindi non voglio parlar male di lui, come non ho intenzione di essere il grillo parlante che fa cri.cri.cri. Però stavolta delle due l'una: a) Mereghetti non ha mai visto Strada a doppia corsia; b) lo ha visto, ma nell'anno in cui nacqui, e non se lo ricorda più. Perché quando esci dalla proiezione di Strada a doppia corsia, la prima cosa a cui pensi non è che hai appena assistito a una metafora, quale essa sia. Per non parlare di concetti densi di significati come "solitudine" e "vuoto esistenziale". No. Quando esci dalla proiezione di Strada a doppia corsia, la prima cosa a cui pensi è che al confronto Samuel Beckett era un autore decisamente verboso, con troppe cose da dire e milioni di laboriose metafore. En attendant Godot, di cui Hellman pare abbia realizzato la prima messinscena teatrale negli USA, sta a Strada a doppia corsia come I miserabili di Hugo sta a un libro di venti pagine bianche.
La faccio breve. Tre motivi per amare questo film. E poi anche un quarto, se fai il bravo.
1) In Strada a doppia corsia c'è Warren Oates. Un film con Warren Oates è automaticamente un capolavoro. Warren Oates era una garanzia, sempre. Nella mia camera verde, Warren Oates ha uno spazio esclusivamente dedicato a lui, nella visitatissima "cappella Garcia". Appena entri, passata la seconda colonna a destra. Le donne incinte pagano il doppio, non siamo mica qui per mostrare le croste di Piero della Francesca a Monterchi.


2) In Strada a doppia corsia gli altri due protagonisti sono il cantautore James Taylor e il batterista dei Beach Boys, Dennis Wilson. Taylor interpreta "il Pilota". Guida l'automobile e non canta mai. In tutto il film dice quattro, cinque battute massimo. Per parlare di motori. Wilson interpreta "il Meccanico". Quando serve ripara l'automobile o ricarica la batteria. Ma non nel senso delle percussioni. In tutto il film dice una, due battute massimo. Per parlare di motori. Ciò (non) detto, Monte Hellman ha dichiarato più volte che l'idea del film gli è venuta ascoltando "Me and Bobby McGee" cantata da Kris Kristofferson. Cosa c'entri "Me and Bobby McGee" con Strada a doppia corsia lo sa solo Hellman, ma va bene lo stesso, infatti nel film a un certo punto puoi sentire la canzone trasmessa da una radiolina scassata. Su questo almeno siamo tutti d'accordo: Kris Kristofferson è il peggior cantante mai generato da ventre di donna. Tranne quando canta. E questo è un secondo motivo per amare Strada a doppia corsia.
3) In Strada a doppia corsia puoi vedere uno dei cinque più bei finali della storia del cinema.


Ora tu mi dirai okay, molto bello e interessante, ma permetti: invece di mettere una locandina in bianco e nero e due foto che una neanche viene dal film di cui stai parlando, perché non hai scelto un paio di scene tra le decine che si trovano su youtube?
Allora, prima di tutto non permetto.
Secondo: Strada a doppia corsia è uno dei rarissimi film che vale ancora la pena di vedere al cinema, su maxischermo, e in una sala completamente deserta, mica in tv o peggio ancora sul tuo pc. E questo è un quarto motivo per amare Strada a doppia corsia.

lunedì 30 giugno 2008

MUSICA PER I TUOI OCCHI

ATTENZIONE: QUESTO POST È STATO RETTIFICATO QUI.

Esiste dunque una musica che può essere suonata nell’acqua.
Jean Louis Schefer (a proposito di un fotogramma di Charlot soldato, Charlie Chaplin, 1919), L’uomo comune del cinema (traduzione di Michele Canosa), Quodlibet, Macerata 2006, p. 59.

Ti sei stufato di andare al cinema, eh? E allora sai che ti dico? Vai in discoteca!
Ealcinemavaccitu è moderatamente orgoglioso di presentarti uno spin-off sonoro, ad opera dell'oscuro e dispettoso e atrabiliare dottor Stenelo: eindiscotecavaccitu.



Il pilota della serie è dedicato alle colonne sonore; i prossimi ed eventuali episodi potrebbero non rispettare la trita regola della critica cinematografica. Il dottor Stenelo considera infatti che l'abuso di aggettivi quale "rigoroso" e "coerente" sia dannoso per la salute e produca un calo della potenza sessuale (sostiene che la sua teoria sia confermata da numerosi studi statistici, ma si ostina a non rivelare le fonti).



Cionondimeno e conciossiacosaquandofosseché, supercazzolando come il servo del cugino spagnolo di Big Jim Slade, il quadro non è tondo e i nodi tecnici di Stenelo vengono a galla: cosa gli costava, ad esempio, ricordare che "Hooray for Hollywood" accompagna i titoli di coda de Il lungo addio? perché tralasciare il fatto che "Moonlight Fiesta" viene sparato da una radiolina all'inizio de Il fascino del delitto, cogliendo così l'occasione di notare che il titolo italiano del film è imbecille e che in origine si chiama Série noire? perché correre il folle rischio di affermare che Boby Lapointe canta "Framboise" in Tirate sul pianista, quando anche un topolino cieco a passeggio con Ludwig van sordo potrà rimproverare a Stenelo che nel film di Truffe si ascolta una versione assai più sincopata? Ah, saperlo…

 

Al momento, l'unica confessione che son riuscito a strappare di bocca a Stenelo (gliel'ho estratta col forcipe mentre sbadigliava, Stenelo infatti "ferait volontiers de la terre un débris / et dans un bâillement avalerait le monde") è che d'ora in poi potrete smammare da qui e andare in discoteca quando vi pare e piace. Basta cliccare sulla radio in ciliegio di Chigurh eindiscotecavaccitu, situata in cima a destra. E poi Stenelo ha aggiunto, deitticamente: "Spero che dopo essere andati lì, non torneranno più qui".
Io odio Stenelo.