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sabato 12 luglio 2025

martedì 21 dicembre 2021

Stenshots

giovedì 15 agosto 2019

Stenshots

domenica 10 maggio 2015

Considerazioni sull'Expo 2015 svoltasi attualmente a Milano nel 2015

Car*, car*,
Ora che i tumulti (che naturalmente condanno) attorno all'Expo vanno spegnendosi e l'evento è ben avviato alla sua conclusione, vorrei approfittare dell'occasione per buttar giù qualche idea in modo sintetico, come richiedono le nuove tecnologie e anche i tempi abbastanza moderni.
Va sottolineata anzitutto la contraddizione tra una fiera che pur ponendo al centro del dibattito la questione agroalimentare, non disdegna la sponsorizzazione di brutte multinazionali che fanno male a quasi tutti. Questo per esempio. È uno scandalo infatti pensare che il padiglione intergalattico proponga un bacarolpo ynglossato che pur rispettando la buona norma del chilometro 3.947.832.576,3333 periodico, con bollitura a metà strada, viene poi servito ai visitatori di tutto il mondo riscaldato in un volgare forno a microonde.
Son cose di alimentazione, d'accordo. Però tutti mangiano, anche quelli che muoiono di fame!
Il raccordo anulare per le bici mi ha entusiasmato, ma se ciascuno di noi nel suo piccolo non "fa il suo piccolo" puoi inventarti tutti i manubri equi e solidali che vuoi ma non avrai mai piste a dimensione umana. La bistecca alla fiorentina piace a molti, e ci mancherebbe! Ma se la cuoci per venti minuti la filiera macrogenetica non puoi difenderla, lo capisci sì o no? Sì o no?! Ma no che non lo capite, dai. Lo sanno gli italiani e soprattutto le italiane che ogni bistecca comporta lo spreco di mezzo litro di acqua potabile per far crescere i conigli che vengono poi ingrassati con diserbanti transgenetici per nascondere le orecchie nel piatto si fa per dire offerto dal padiglione? Una fiorentina all'amiantide a 1348 euro e 33,3 centesimi periodici all'etto a te vi pare offerto? E allora hai voglia a parlare dal consumatore al produttore e ritorno, di biogelato allo stracchino igienico senza se e senza ma.
No! Se! Ma! Mai mais, tuttalpiù! Perché anche expo ha un cuore, il cacao è il cibo di Dio (ma anche di altri che non si chiamano Dio e che hanno comunque grossi superpoteri) come si dice. È molto molto salutista, perché se uno mangiasse UN ICTUS DI CACAO di 8% riduce il riscaldamento globale di 22 grammi e questo è molto molto importante, per dire.
Eh.
Voi credete che non dico i fatti ma io so bene COME GIRA IL MONDO, ho scritto UN LIBRO che ha venduto più di 600 pagine e questo vuol dire una cosa!..
Ho fatto un sogno! Io sogno che vorrei che Milano come un salotto GENETLIACO MODIFICATO per tutti, questo è molto molto importante per me e il concetto 2.0 di salotto mi ricorda quella volta quando vinsi l'OSCAR bambino di quattordici anni e mia CUGINA MIRELLA su una scogliera cementificata dell'Isola del Giglio con il sole a picco e lei disse Guarda, guarda Stenelo che bel tramonto allora io tirai giù lo slippino e la guardai completamente basito chiedendolo SGNAPPAMELO ora subito che zio non guarda! e lei Forse zio NON gUARDA, ma ricorda che zio è anche mio padre!


venerdì 13 aprile 2012

sabato 5 novembre 2011

It's the Berlusconi's mind

Deludo i nostalgici della prima Repubblica, non me ne vado.
Continuo la battaglia.



lunedì 5 luglio 2010

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXVII — I CEFFI

Tre occhiatacce a chi riconosce il film da cui è estratto questo fotogramma. Non garantisco altri indizi, stavolta, ma il vantaggio è che in tal caso la posta rimarrebbe immutata.

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ATTENZIONE: Sempre più zombi, sempre più sconnesso, chiudo il gioco lanciando tre occhiatacce a oscar amalfitano, che si ritrova a contendere il primo posto ad Arco dopo aver riconosciuto un fotogramma di Metropolis (Fritz Lang, 1927).
La prossima sfida si terrà lunedì 12 luglio.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arco: 8 occhiatacce.
oscar amalfitano: 8 occhiatacce.
Strelnik: 7 occhiatacce.
nessundorma: 4
occhiatacce.
bianca: 3
occhiatacce.
Janie Jones: 3 occhiatacce.
dario: 1 occhiataccia.

lunedì 8 febbraio 2010

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VI — DARSI ALLA MACCHIA

Mandy! Mandy? Mandy, mi senti? Mi senti? Muovi la testa se mi senti. Muovi la testa se mi senti, Mandy. Ecco, brava. Riesci a sentirmi. Ce la fai ad aprire gli occhi per me? Lo puoi fare, Mandy? Fammi vedere che apri gli occhi. Ecco, dai. Dai, guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami. Guardami, Mandy. Bene. Bene.
Vittima di un’overdose, la prostituta Mandy (Julienne Davis) giace completamente nuda su una poltrona di velluto rosso. Il dottor William Harford (Tom Cruise) la resuscita in Eyes Wide Shut (Stanley Kubrick, 1999).


Tre desideri a chi riconosce il film da cui sono tratti questi fotogrammi. Giovedì proporrò una nuova terna di immagini, ma strofinerò la lanterna magica una volta. Nuova troika sabato, ma ti resterà solo un desiderio, epperò sarà pure sbagliato.

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AGGIORNAMENTO (giovedì 11 febbraio): Nuovo tris d'immagini. Dimmi cosa ci vedi e appaga due desideri inconfessabili.

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AGGIORNAMENTO (sabato 13 febbraio): Ultime tre immagini, ultima possibilità di realizzare un desiderio sbagliato.


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La partita si è conclusa senza vincitori.
Stavolta il film da riconoscere era un saggio documentaristico, The Pervert's Guide to Cinema (Sophie Fiennes, 2006), lunga passeggiata attraverso i film del filosofo e psicanalista Slavoj Žižek. Partendo dall'alto, i fotogrammi del quiz corrispondono ai titoli seguenti : 1) Gli uccelli (The Birds, 1963) di Alfred Hitchcock; 2) Monkey Business (1931) di Norman Z. McLeod; 3) fotogramma originale; 4) La conversazione (The Conversation, 1974) di Francis Ford Coppola; 5) Il testamento del dottor Mabuse (Das Testament des Dr. Mabuse, 1933) di Fritz Lang; 6) fotogramma originale; 7) Velluto blu (Blue Velvet, 1985) di David Lynch; 8) L'amante (Possessed, 1931) di Clarence Brown; 9) fotogramma originale: quell'uomo che ti guarda sguazzare nel pozzo dei tuoi desideri è Žižek stesso.
La prossima sfida si terrà martedì 16 febbraio.

lunedì 23 novembre 2009

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXXV — IL MEDIO HA UN MESSAGGIO

Quando il dito mostra la luna, l’imbecille fa uno zoom, come dice un proverbio cinese.
Jean-Patrick Manchette, “Charlie hebdo”, n° 539, 11 marzo 1981 (ora in Les Yeux de la momie, Rivages / Ecrits noirs, Paris 1997, p. 367).

Non puntarmi il dito contro, se non hai intenzione di usarlo.
Oscar Madison (Walter Matthau) a Felix Ungar (Jack Lemmon) nella Strana coppia (Gene Saks, 1968).

Invece di fare il permaloso, guarda stoltamente questo ditinofino. Indovina in che film viene mostrato e beccati tre narici in cui infilarlo. Giovedì vedrai un altro fotogramma ma ti ritroverai con due narici raffreddate. Sabato ci sarà una terza immagine, ma otterrai solo una narice. Tappata.
AGGIORNAMENTO (giovedì 26 novembre). L'indizio per eccellenza. Due narici a chi riconosce il colpevole.
AGGIORNAMENTO (sabato 28 novembre). Tre dita per una narice.




ATTENZIONE: La partita si è conclusa domenica 29 novembre alle 18.41. Il film da riconoscere era M — Il mostro di Düsseldorf (M, 1931) di Fritz Lang. arcomanno conferma il suo primato aggiungendo una narice alle 17 e ritrovandosi quindi con nove nasi.
La prossima sfida si terrà lunedì 30 novembre.


L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 18 narici.
afasol: 14 narici.
bianca: 14 narici.
maxeramax: 3
narici.
YagaBaba: 3
narici.
gegio: 3
narici.
Andrea: 2
narici.

giovedì 5 marzo 2009

Le solite note

Ti ho mai raccontato di quella volta che ho visto Errol Flynn sfoderare l’uccello e suonarci il pianoforte? Oh, be’, è stato un secolo fa, io ero agli inizi, come fotomodella, e sono andata a questa festa - un mezzo mortorio - dove c’era Errol Flynn che, tutto compiaciuto di se stesso, tira fuori l’uccello e ci ha suonato un pezzo al pianoforte. Gran botte sui tasti. Ha eseguito You Are My Sunshine. Figurati che cazzo di sonata!
Lo racconta Marilyn Monroe a Truman Capote in Musica per camaleonti (III, 6: “Una bellissima bambina”).

Tu non ti meriti Cole Porter.
Mickey Sachs (Woody Allen) a Holly (Dianne Wiest) in Hannah e le sue sorelle (Woody Allen, 1986).

In realtà il mio sogno è sempre stato quello di ballare bene. Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era un film solo sul ballo.
Saper ballare.
E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però… è tutta un’altra cosa.
Nanni Moretti sulla Vespa in Caro diario (Nanni Moretti, 1993).




mercoledì 24 dicembre 2008

Dacci un Taglio

Pensavo che avrebbe potuto essere una scena divertente, per esempio, quella in cui gli ex-detenuti sono insieme a tavola alla vigilia di Natale e hanno nostalgia della prigione. E uno dice: “In prigione, cominciavo fin da ottobre a godermi l’idea che avrei avuto il tacchino per Natale. Ora posso comprare il tacchino ogni sabato, ogni giovedì, e così il divertimento se n’è andato dalla vita”.
Fritz Lang (a proposito del suo You and Me, 1938) intervistato da Peter Bogdanovich ne Il cinema secondo Fritz Lang, Pratiche Editrice, Parma 1988, p. 36.

lunedì 6 ottobre 2008

Panni sporchi

— The film is like a battleground.
— I film sono come una battaglia.
— Yes. Love.
— L’amore…
— Hate.
— L’odio…
— Action.
— L’azione…
— Violence.
— La violenza…
— Death.
— E la morte.
— In one word: emotions.
— In una sola parola, l’emozione.
Il regista americano Samuel Fuller e la sua interprete nel Bandito delle undici (Pierrot le fou, 1965) di Jean-Luc Godard.

Nei film polizieschi, spesso e malvolentieri, il poliziotto ha una vita privata. Una moglie, di solito. Quella del tenente Colombo fortunatamente non si vede mai. Ma è una piacevole eccezione.
Tra sparatorie, indagini e minacce della gerarchia (molto tempo fa: "se non risolvi questo caso entro 24 ore passerai il resto della tua carriera sommerso dalle scartoffie"; poi era alla moda la bolgia stradale, e quindi: "finirai a regolare il traffico"; ora non so più quale sia il trito inferno del distintivo), il riposo del guerriero si svolge tra le quattro pareti domestiche. Credo che l'intento sia di dimostrare che l'eroe del film è un uomo come noi, con i suoi crucci e cruccetti coniugali. Identificazione al ribasso, suppongo anche nella speranza di interessare il pubblico femminile, secondo le indagini di mercato.
Solitamente si litiga, a casa del poliziotto: non mi porti mai in vacanza, al ristorante, alla sfilata di costumi brasiliani, frigna lei. Mentre io mi annoio mortalmente, e aspetto solo che ricominci a crepitare il Badabing! (espressione usata da Sonny Corleone nel Padrino: e mentre l'indice si avvicina alla tempia del fratello Michael, il pollice imita il cane della pistola: è per questo che il locale di Tony Soprano si chiama "Bada Bing", vabbé, chiusa la parentesi filologica, torniamo alle crisi di coppia). La noia diventa imbarazzo quando lei, puntuale come un orologio svizzero: "Sapresti dire quand’è stata l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore?!". Nella tastiera dello sceneggiatore, dev'essere una frase preimpostata, la funzione "F4" che in Boris prescrive sistematicamente agli attori degli "Occhi del cuore" un'espressione "basita".
Un regista come Michael Mann ha passato l'intera carriera a cercare di giustificare queste indigeste tranches de vie, noncurante dei moniti hitchcockiani ("Certains films sont des tranches de vie. Les miens sont des tranches de gâteau" diceva sir Alfred a Truffe). Credo che abbia sempre fallito: Heat dura tre ore solo a causa di questa presunzione psicologica. Un'ora di meno e sarebbe stato molto meglio.


Ho cercato nella memoria, e mi son venuti in mente solo due polizieschi dove l'operazione "family life" funziona. Ce ne saranno certamente altri, ma sono sicuro che il numero resti alquanto ridotto.
In ambedue i film stiamo parlando di sequenze (due per ciascuno) di durata ridotta, ma la cui intensità resta a mio avviso ineguagliata.
Il primo è Il grande caldo (The Big Heat, 1953), forse il capolavoro americano di Fritz Lang. Quando Lang fuggì dalla Germania nazista per andare in California (con tappa a Parigi), la prima cosa che scoprì fu che gli americani non sapevano cosa fosse un superuomo, a parte quello che si infila la calzamaglia azzurra nella cabina telefonica. Per loro l'eroe cinematografico era l'uomo qualunque, magari un benzinaio di nome Joe Wilson, che mastica noccioline e ha la faccia bonaria di Spencer Tracy (mio padre, calabrese, lo chiamava "spingi e trase", ma questa è un'altra storia). Insomma, non avevano letto Nietzsche. Ma non per questo passavano il tempo a stirare le camicie: avevano inventato Hollywood, mica balle. Lang era abituato a esser trattato come un imperatore: super-produzioni piene di mefistofelici Mabuse e Sigfridi alle prese con "temi forti" e architetture colossali, tra passati leggendari e dubbie Weltanschauung dell'avvenire. A Los Angeles invece aveva a disposizione i budget dei b-movie e l'obbligo contrattuale di non star lì a menarla. In altri termini, doveva smettere di essere un genio, e cominciare a essere intelligente. È un'impresa difficilissima, e non solo al cinema. Lui ci riuscì (fin dal suo primo film americano, Furia, 1936, appunto con Spencer Tracy-Joe Wilson). E ci riuscì meglio di altri indigeni, proprio perché per Lang la nozione di "uomo medio" era tutt'altro che naturale. John Doe non si dava in sé: andava osservato, pensato e ricostruito sullo schermo, come un'idea.
Il sergente Dave Bannion è il John Doe del Grande caldo. Ha il volto poco espressivo ma simpatico di Glenn Ford, una moglie, una figlia e un caso da risolvere (il suicidio di un collega). Detta così, sembra una vita disordinata, ma Bannion fa il funzionario, e fino a un certo punto del film riesce a svolgere correttamente il proprio mestiere, ossia a far sì che le cose funzionino.


Lei dice "We're just used to you"; pochi secondi dopo lui sentenzia: "The perfect marriage". La vita piccoloborghese è fatta di passioni abitudinarie.

Almeno finché dura: il secondo film è stato girato più di trent'anni dopo. Pochi ricordano che, per quasi un decennio, Michael Cimino fu il più gran regista della sua generazione. Il cacciatore è il miglior film sul Vietnam perché racconta quel che il cinema non aveva mai raccontato prima, almeno che io sappia: cosa fa una guerra (quella guerra) non nella mente degli essere umani in generale, ma al proletariato, e più particolarmente all'operaio in fonderia (d'origine russa, oltretutto, e in piena guerra fredda). Cimino era un regista geniale; ma era anche e soprattutto un uomo intelligente. Dopo Il cacciatore, girò I cancelli del cielo (se vuoi fartene un'idea, dopo vatti pure a vedere quattro sequenze): e la sua carriera fu stroncata. L'America è l'unico Paese dove puoi dire e fare quel che vuoi, almeno così pare. Persino sputare sulla bandiera a stelle e strisce: puoi fare anche quello. Ma stai sicuro che non te lo perdoneranno mai.
L'anno del dragone (Year of the Dragon, 1985) è un film diseguale: Cimino non lavorava da cinque anni, dopo il fiasco catastrofico dei Cancelli del cielo. Ma senza quel film, senza quell'assalto al ristorante distrutto a raffiche di mitra da due sicari di Chinatown, il nuovo action-movie di Hong Kong non sarebbe mai nato. Senza L'anno del dragone, niente The Killer (e il vero, grosso e grasso capolavoro di John Woo, Bullet in the Head, è uno sfacciato plagio del Cacciatore).
Nel cinema poliziesco, le scene di famiglia sono una pizza mortale. Nell'Anno del dragone ce ne sono due: e sono la cosa più bella di tutto il film.


Certo, è una scena pesante, ben diversa dal tono pacifico e conciliante di Lang: lì Bannion legge il giornale, poi si alza e aiuta ad apparecchiare la tavola, in un appartamento accogliente e aperto (cucina americana); qui il capitano Stanley White attraversa un pezzo d'America in cui il melting pot è già esploso in ghetti etnici, tra il suo quartiere polacco e la brulicante Chinatown che vuole "ripulire". La classe operaia ha attraversato il Vietnam, e ora "The World is Yours" di Scarface è stato sostituito dal cartello "No Dumping" con cui si apre la scena che vedrai fra poco. Il tinello cosy dei Bannion, perfettamente organizzato dall'architetto di formazione Lang come spazio ideale (ma senza darlo troppo a vedere, altrimenti i produttori si incazzano) qui diventa una cucina sporchissima, con al centro una lavatrice rotta. (Forse è un simbolo: un giorno lessi da qualche parte che i sociologi moderni tendono a considerare che una coppia è "stabile" a partire dall'acquisto della lavatrice.) Se i Bannion bevono dallo stesso bicchiere di birra e alludono ad altri "scambi", Stanley White beve dalla lattina, solo, e la fraseologia erotica è ridotta alla crudezza dell'orologio biologico, tra un "hai perso il tiro al bersaglio" e il rimprovero di non "scopare nei giorni giusti del mese". Senza figli, la coppia White vive sotto la spada di Damocle dell'ovulazione: in crisi d'astenia, ancor più che d'astinenza, muore letteralmente per carenza di vitamine. "I dolori sono beni personali. Chi ha troppi beni diventa un oggetto" diceva il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983). Non si può dire che i personaggi di Cimino siano ricchi, anzi. I beni sono ridotti all'essenziale. Ma persino un'esistenza ridotta ai generi di prima necessità non ti salva dalla rivolta degli oggetti. E così, alla fine della scena, lo spazio domestico si chiude sulla solitudine di Stanley, imprigionato in una cucina che, letteralmente, esplode.
Occhio alle analogie, però: in ambedue i casi, l'ossessione della verosimiglianza sociale, dalla precisione del golfino di Bannion e del grembiule della moglie ai pantaloni sformati e all'assenza di trucco di Connie White. Infine, è essenziale il riferimento alle condizioni lavorative ed economiche delle due coppie, dal costo di una bistecca ai turni di notte dell'infermiera. Se il poliziotto vive in una splendida villa la cui parete è stata sostituita da una vetrata con vista sull'oceano, non funziona. Son cose che Michael Mann non capirà mai. Ne capirà altre, ma se vuoi riuscire simili scene, sei obbligato ad accettare questo dubbio postulato: la realtà esiste.

La sequenza di Cimino si chiude con un bacio, altrimenti non ci sarebbe un seguito. E invece un seguito c'è sempre: come dire che al peggio non c'è mai fine. Infatti, torniamo a Lang. Seconda scena.



Jean-Patrick Manchette ha scritto quattro righe, su quel che hai appena visto. Forse non ricordava con precisione il film, ma siccome dove passa Manchette non cresce più l'erba, non ho altro da aggiungere:

Stavolta, invece di ipnotizzarvi come al solito sul momento della sigaretta o su quello della caffettiera bollente, guardate piuttosto come pazzi il modo in cui Fritz Lang inquadra durante i cinquanta secondi che precedono l’esplosione dell’automobile, la scena in cui Glenn Ford e sua moglie dicono buonanotte alla figlia, quella piccola correzione d’inquadratura, sembra che serva ad avvicinarsi a Glenn Ford, non sappiamo che serve ad avvicinarsi alla finestra oscura, è come se Lang ci dicesse che avremmo potuto prevedere, ma che non prevediamo mai. È terribile.
Jean-Patrick Manchette, “Charlie hebdo”, n° 483, 13 febbraio 1980 (ora in Les Yeux de la momie, Rivages / Ecrits noirs, Paris 1997, p. 157).


Cimino, adesso (attento, a scanso di equivoci è roba tosta):



Come avrai notato, stavolta le similitudini superano le differenze. Questo non significa obbligatoriamente che Cimino abbia voluto rendere un omaggio deliberato a Lang. Penso piuttosto che quando due registi intelligenti si trovano ad affrontare la stessa, difficile scena, è facile che giungano alla stessa conclusione: a un certo punto, l'automobile deve saltare per aria.
Non sto dicendo che in un film poliziesco la vita privata deve essere evocata solo se e in quanto essa serve l'azione. Quello è l'abc, e lo rispettano anche sceneggiatori e registi pezzenti, è il canovaccio-base del genere: "un poliziotto buono diventa cattivo perché gli hanno ammazzato la moglie, il caro collega o il canarino". No, qui il punto è un altro. Si tratta di far scoppiare la violenza esterna come conseguenza naturale e inevitabile della violenza interna. Se proprio vuoi, chiamalo fato: nel primo caso, l'intollerabile felicità in carne e ossa della famiglia modello, la passione della normalità; nel secondo, una rottura di tutto: cose, coppia, uomo, donna.
A proposito di donna. Avere a disposizione un'attrice capace di dire "Te ne vuoi andare adesso, prima che mi metta a piangere? Non voglio che accada. Non davanti a te. Ho il mio orgoglio" e subito dopo di scoppiare in lacrime come un vitello, be', un po' aiuta. Aiuta anche a sgozzarla, sempre come un vitello, un secondo dopo. Douglas Sirk diceva che il cinema è "lacrime e velocità". Come dire: lacrime e sangue. A motion picture / emotion picture, per tornare a Fuller e a Godard.

domenica 28 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VIII — BLACKJACK SPLIT SCREEN

It seems to me I've heard that song before
It's from an old familiar score
I know it well, that melody

It's funny how a theme
Recalls a favorite dream
A dream that brought you so close to me

I know each word, because I've heard that song before
The lyrics said: "for evermore"
For evermore's a memory

Please have them play it again
And (Then) I'll remember just when
I heard that lovely song before
Parole della canzone I've Heard that Song before, scritte da Sammy Cahn nel 1942.

Stavolta è un file audio. Musica di commento, originale. Si trova in un film. E viene ripresa (sempre come musica di commento) in un altro film. Due punti, uno per ciascun film riconosciuto. Quindi stavolta si può vincere anche un solo punto. Il film originale dovrebbe essere abbastanza facile da riconoscere. Il secondo, forse, un po' meno (ma conoscendo il primo, google può aiutare, ne sono certo).
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Martellone e possono essere consultate qui. E che te lo dico a fare che il gioco si svolge anche al cimitero?

SENTI E GIOCA

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA VENERDÌ 3 OTTOBRE ALLE 00.22.
LA VINCITRICE È LA GODARDIANA DESAPARECIDA. LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 5 OTTOBRE. IL VINCITORE OTTERRÀ TRE FIORINI; MA SE MERCOLEDÌ NESSUNO AVRÀ TROVATO, LA SEQUENZA SARÀ ALLUNGATA DI QUALCHE SECONDO E IL PREMIO RIDOTTO A DUE FIORINI PER ALGERNON. NELL'ATTESA FREMENTE DELLE FRAMES, SALI SULL'ALFA, ROMEO: GODITI IL MARE DI CAPRI E IL DESERTO DEL NEVADA: PARE CHE IN QUEI DUE MINUTI PESCI E DE NIRO RIESCANO A INFILARE 21 VOLTE LA PAROLA "FUCK".





L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 5 dobloni.
andrea: 2 dobloni.
bianca: 2 dobloni
.
desaparecida: 2 dobloni.
adlimina: 1 doblone.

sabato 14 giugno 2008

Post-it: il countdown è iniziato!

Sapeva che il conto alla rovescia l’ho inventato io? Tutto cominciò da un’esigenza fondamentale emersa durante le riprese de La donna nella luna (1929). Quando girai il decollo, dissi: “Se conto uno, due, tre, quattro, dieci, cinquanta, cento — il pubblico non saprà quando decollerà. Ma se conto alla rovescia — dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno, ZERO! — allora lo saprà. Così creai il conto alla rovescia.
Fritz Lang intervistato da Peter Bogdanovich ne Il cinema secondo Fritz Lang, Pratiche Editrice, Parma 1988, p. 22.


Ricordiamo a tutti che domani, se non avete capito una minchia alla Messa in aramaico, vi aspettano ben altri rompicapi.
Come promesso pubblicamente, domenica verrà riaperto, delizia delle masse e croce del potere, L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
Attenti alla ressa davanti al botteghino, per accedere al tavolo da gioco rischiate di dover camminare sui corpi di donne e bambini (a conferma che le gioie non arrivano mai sole). Tanto più che il quiz di domani all'inizio varrà 2 (dico due!) talenti (dico talenti!).
Per chi avesse studiato male la règle du jeu, potrà ripassare da qui.
Grazie a tutti.
P.S.: A scanso di equivoci, la mia vita non è un orgasmo continuo. A volte anche a me tocca adottare scomode e umilianti posizioni. Come il dover ricordare che purtroppo il gioco si svolge in contemporanea in un'altra squallida bisca.