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mercoledì 29 novembre 2017
domenica 28 ottobre 2012
sabato 6 ottobre 2012
Le Repas de bébé
Moi, je connais de jolies histoires. Et je fais de belles cocottes en papier !
Mi sono accorto che Mon oncle è un film senza primi piani. Il vocabolario di Tati pare non conoscerli. Ormai una scelta del genere mi pare più audace (o tignosa) di quella di un Chaplin che disdegna il sonoro. Il massimo di avvicinamento ai personaggi è in queste due inquadrature. Entrambe vedono il bambino in identica posizione: annoiato.
Per certi versi è come se Tati perseguisse deliberatamente la visione
non antropocentrica dei primi Lumière, forse passando attraverso
l'esperienza percettiva del circo (di cui non so nulla). Di tutti i
personaggi di Mon oncle, Hulot è il meno visibile e Tati vuole che sia
così: si piega, si volta, mette la mano davanti alla faccia appena ne ha l'occasione e a volte sfidando la cosiddetta naturalità
(infatti non è natura ma cultura). Forse anche in reazione all'eccessivo
protagonismo chapliniano (penso in particolare a Tempi moderni e al Grande dittatore), anticipando e oltrepassando l'aspetto programmatico di un Film keatonbeckettiano. Il corpo fisico di Hulot, il suo sfumare
progressivamente nell'indistinto (sempre meno corpo), fino
all'astrattezza (sempre meno fisico), diventa insomma il manifesto
(locandina del suo aiuto regista Pierre Etaix) dell'immagine
cinematografica secondo Tati. L'occhio dello spettatore non è guidato,
non è diretto: non a caso l'evoluzione dell'opera tende alla
bidimensionalità, alla composizione pittorica non figurativa, in modo
sempre più netto e a volte arduo se non faticoso (Trafic, alcune parti
di Playtime). Monsieur Hulot attraversa questi spazi, ma in modo
sempre meno "umano", e il nostro sguardo, che vorrebbe seguirlo, si
perde nelle figure geometriche, nei poligoni colorati dello schermo. Più
che di miopia, si potrebbe parlare di strabismo. Infatti era tutto
previsto fin dai primordi: il leader Jacques Tati è un chiodo.
[Quando pubblicai il post qui c'era un video ora irreperibile. Quelli di StudioCanal sono completamente idioti.
La sequenza è comunque celeberrima: imprevisto giorno di festa al villaggio, il volenteroso postino Tati si propone non richiesto di dirigere "i lavori", ci sono "cose" da allestire, montare, costruire in fretta e furia. Tra queste, piantare un chiodo nell'estremità di un'asse di legno. Lui tiene fermo il chiodo sull'asse, un compaesano ripreso di spalle si presta a colpirlo con il suo martellone. E lo manca. Il chiodo è enorme, è il chiodo più grande della storia dell'umanità. E però lo manca: son cose che capitano. Allora Tati dice riproviamo. E quello lo manca di nuovo. Allora Tati lo guarda, e grazie a un primo piano scopriamo il volto del nostro martellatore. È completamente strabico. Pas d'problème: basta dirgli di colpire con il martello sull'estremità opposta, no? Lui esegue diligente, sbaglia come da copione, colpisce il chiodo ed ecco fatto. Semplicità.]
La sequenza è comunque celeberrima: imprevisto giorno di festa al villaggio, il volenteroso postino Tati si propone non richiesto di dirigere "i lavori", ci sono "cose" da allestire, montare, costruire in fretta e furia. Tra queste, piantare un chiodo nell'estremità di un'asse di legno. Lui tiene fermo il chiodo sull'asse, un compaesano ripreso di spalle si presta a colpirlo con il suo martellone. E lo manca. Il chiodo è enorme, è il chiodo più grande della storia dell'umanità. E però lo manca: son cose che capitano. Allora Tati dice riproviamo. E quello lo manca di nuovo. Allora Tati lo guarda, e grazie a un primo piano scopriamo il volto del nostro martellatore. È completamente strabico. Pas d'problème: basta dirgli di colpire con il martello sull'estremità opposta, no? Lui esegue diligente, sbaglia come da copione, colpisce il chiodo ed ecco fatto. Semplicità.]
NOTE SPARSE:
1. Attraverso soluzioni non così diverse, si ritrova la medesima sensazione in alcune sequenze dei film di Jerry Lewis e in particolar modo nell'assolutamente folle Ragazzo tuttofare.
2. Andrea-Emilio Rizzoli mi fa notare: "Ricordo un suo cameo in un Truffaut (probabilmente Domicile conjugal) dove cercava di entrare in un vagone della metro, indeciso tra un ingresso e l'altro. Pochi secondi di arte assoluta". Me ne ero completamente dimenticato. Ho trovato la scena. Ho pensato "uh, ma quello non sembra Tati". Ma dato quel che si diceva poteva benissimo essere Tati, appunto, perché in qualche modo "non si somiglia". Ho cercato in un libro su Truffaut: l'attore che interpreta Tati che interpreta Hulot si chiama Jacques Cottin. QED. (Fatte ulteriori ricerche. Vertiginoso, per usare un aggettivo roso dalle tarme.)
3. «La grand-mère dit: "Je vais me servir de la margarine X". Et le grand-père qu'on représente répond: "Mais tu es folle! A nos âges, on ne change pas nos habitudes!"» (professeur Y). E quindi, a progresso concluso, il futuro apparterrà ai cani, come insegna Simak. Intanto il furbissimo nipotino John Landis raccatta l'accendisigaro della "car of tomorrow" sull'autoroute: e chiede a Belushi di riscaraventarlo dal finestrino della bluesmobile.
mercoledì 27 gennaio 2010
La trasparenza e lo stupido
L'America Latina è stata il manicomio d'Europa così come gli Stati Uniti ne sono stati la fabbrica. La fabbrica ora è in mano ai caposquadra, e i matti evasi dal manicomio ne sono la mano d'opera. Il manicomio, da più di sessant'anni, sta bruciando nel proprio olio, nel proprio grasso.
Roberto Bolaño, "I miti di Chtulhu", Il gaucho insostenibile (trad. Maria Nicola), Palermo 2006, p. 170.
Rousseau dice che... Posso citarlo?
Luca Zaia, ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali a La storia siamo noi, Rai Due, 27 gennaio 2010.
Roberto Bolaño, "I miti di Chtulhu", Il gaucho insostenibile (trad. Maria Nicola), Palermo 2006, p. 170.
Rousseau dice che... Posso citarlo?
Luca Zaia, ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali a La storia siamo noi, Rai Due, 27 gennaio 2010.
A volte mi dico che per fare ordine nella mia testa e avere l'impressione di conservare un minimo controllo (intendi: comprensione) su questi tempi bui, vorrei stilare una breve lista delle sue costanti: principalmente italiane, ma non solo, non sempre. Ne butto sbrigativamente giù tre, le altre aggiungile te, se il gioco ti diverte.
1) La trasparenza. Chiamala se vuoi sfacciataggine, anche se preferisco il termine trasparenza, a me una certa idea di trasparenza fa orrore: penso all'inizio dell'era dei cellulari, dove si ripeteva continuamente che tutti potevano trovarti ovunque; penso anche alla celebre scena di Playtime, in cui un appartamento si ritrova con un'immensa vetrata al posto della parete che dà sulla strada. Tutto sembra perfettamente leggibile, le intenzioni più recondite vengono squadernate davanti agli occhi di tutti. Nessuno darà prova di essere un sottile analista, ad esempio, sostenendo che la riabilitazione della figura di Bettino Craxi non ha alcun interesse in sé, alcuna necessità teorico-politica e pochissime ragioni storiche d'essere, che essa ha come unico fine la salvaguardia d'interessi attualissimi di persone vivissime, e ovviamente dannosissime. Che essa ha come unico fine l'impresa totalizzante nella quale sono concretamente imbarcate tutte le forze di governo (e, per usare l'espressione usata in una soprendente intervista, anche le forze, sebbene "debolezze" qui sarebbe più adatto, che non governano): la salvaguardia assoluta del capo. Assoluta, nel senso letterale e storico del termine. A costo di eliminare il potere giudiziario, e magari tutti gli altri poteri, che in una democrazia funzionante sono indipendenti ma relativi (e responsabili). Chi lo ripete, nessuno prova neppure più a smentirlo, come se lo spazio politico si fosse ridotto a un semplice e mafioso (v. Donnie Brasco) "che te lo dico a fare".
La moltiplicazione di leggi-porcate già varate o attualmente discusse nelle Camere e commentate (leggi: giustificate e imposte) dai vari tg indigna e scandalizza (forse). A me atterrisce l'ovvietà delle intenzioni che le sottendono, e il modo in cui tali intenzioni vengono sprezzantemente palesate ai cittadini da coloro che dovrebbero rappresentarli e che sembrano non temere più nulla. Una trasparenza senza ostacolo, insomma. A una legislatura che ha poggiato i sederi delle veline sulle poltrone ministeriali si addice la pravda degli editoriali minzoliniani: quando un didietro si espone in primo piano, il dietrologo finisce in cassa integrazione.
(Esempio all'estero: la folgorante ascesa politica di Jean Sarkozy, figlio dell'attuale Presidente della Repubblica francese: questo il suo unico merito. Anche se Neuilly non è ancora la Francia, mentre qui si assiste da vent'anni a un'arcorizzazione dell'Italia.)
1) La trasparenza. Chiamala se vuoi sfacciataggine, anche se preferisco il termine trasparenza, a me una certa idea di trasparenza fa orrore: penso all'inizio dell'era dei cellulari, dove si ripeteva continuamente che tutti potevano trovarti ovunque; penso anche alla celebre scena di Playtime, in cui un appartamento si ritrova con un'immensa vetrata al posto della parete che dà sulla strada. Tutto sembra perfettamente leggibile, le intenzioni più recondite vengono squadernate davanti agli occhi di tutti. Nessuno darà prova di essere un sottile analista, ad esempio, sostenendo che la riabilitazione della figura di Bettino Craxi non ha alcun interesse in sé, alcuna necessità teorico-politica e pochissime ragioni storiche d'essere, che essa ha come unico fine la salvaguardia d'interessi attualissimi di persone vivissime, e ovviamente dannosissime. Che essa ha come unico fine l'impresa totalizzante nella quale sono concretamente imbarcate tutte le forze di governo (e, per usare l'espressione usata in una soprendente intervista, anche le forze, sebbene "debolezze" qui sarebbe più adatto, che non governano): la salvaguardia assoluta del capo. Assoluta, nel senso letterale e storico del termine. A costo di eliminare il potere giudiziario, e magari tutti gli altri poteri, che in una democrazia funzionante sono indipendenti ma relativi (e responsabili). Chi lo ripete, nessuno prova neppure più a smentirlo, come se lo spazio politico si fosse ridotto a un semplice e mafioso (v. Donnie Brasco) "che te lo dico a fare".
La moltiplicazione di leggi-porcate già varate o attualmente discusse nelle Camere e commentate (leggi: giustificate e imposte) dai vari tg indigna e scandalizza (forse). A me atterrisce l'ovvietà delle intenzioni che le sottendono, e il modo in cui tali intenzioni vengono sprezzantemente palesate ai cittadini da coloro che dovrebbero rappresentarli e che sembrano non temere più nulla. Una trasparenza senza ostacolo, insomma. A una legislatura che ha poggiato i sederi delle veline sulle poltrone ministeriali si addice la pravda degli editoriali minzoliniani: quando un didietro si espone in primo piano, il dietrologo finisce in cassa integrazione.
(Esempio all'estero: la folgorante ascesa politica di Jean Sarkozy, figlio dell'attuale Presidente della Repubblica francese: questo il suo unico merito. Anche se Neuilly non è ancora la Francia, mentre qui si assiste da vent'anni a un'arcorizzazione dell'Italia.)
2) L'umorismo. Tutto quel che esula dagli interessi sopra descritti, tutte le questioni rimanenti (riforme, crisi, occupazione, precarietà, ecc.) scompaiono, risucchiate da un buco nero di scherzi, battute, motti di spirito. Ecco un'altra costante: Bush jr. era irresistibilmente comico, e su questo giocava spesso e volentieri. È la storia della proposta paradossale fatta dal ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta di cacciare di casa i cosiddetti bamboccioni, che lo stesso on. Brunetta ha definito "uno scherzo". Un editorialista reputava sintomatico del degrado antropologico il fatto che non si fosse più in grado di capire che di scherzo si trattava, piuttosto che interrogarsi sulla natura di una classe politica ridotta a rappresentare e autorappresentare (consapevolmente, in modo ripeto deliberato e trasparente) una pagliacciata non-stop. Al racconto pirandelliano C'è qualcuno che ride, letto come possibile critica al fascismo, oggi si rimedia con un E tutti risero. Si stila così una nuova clausola del contratto sociale, che annulla tutti gli articoli precedenti: ai sovrani il diritto di essere dei buffoni; ai cittadini il dovere di avere senso dell'umorismo.
3) Il manicomio. Da ricondurre ovviamente ai due punti precedenti. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, descritto dalla moglie Veronica come uno che "non sta bene". Ma non solo: ricordo Francesco Merlo, in un'intervista radiofonica, definire "materia da psicoanalisi" la dichiarazione del già citato ministro Brunetta sulla sinistra ("può andare a morire ammazzata"). Il suo commento non mi sembrò costituire una scusante. Lo reputai convincente. Meglio: ovvio, ancora una volta. Mi limiterò a esempi noti a tutti, che curiosamente hanno in comune una mimica e spesso un vocabolario da teppista. Il corpo scosso dai tic di Nicolas Sarkozy, quando si trova in difficoltà o anche solo quando è contraddetto, magari invitando un pescatore che lo insulta da un parapetto a "scendere un po'"; il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, vittima di un raptus isterico davanti a una giornalista dell'australiana ABC che le sta ponendo normalissime domande; il ministro della Difesa Ignazio La Russa che in una trasmissione televisiva, in nome di un suo autoconcesso diritto all'"incazzatura", sostiene che i membri della Corte europea dei diritti dell'uomo e di "quei cinque organismi internazionali che non contano nulla possono morire". Silvio Berlusconi che minaccia, anzi "giura" di strozzare quelli che scrivono di mafia. Eccetera.
A fare il punto della questione, di tanto in tanto, come il massone guzzantiano spunta Minzolini: sempre out of the blue, eppure ormai prevedibilissimo, nella puntualità dei suoi interventi (cf. punto 1), sempre con occhi assatanati e tono minatorio, come se volesse piegare il braccio dello spettatore dietro la schiena per obbligarlo a promettere che "non lo farà più" (ma cosa?!). Solo che almeno nel Caso Scafroglia alla fine arrivavano i dottori: quello non era un set televisivo, ma la messinscena terapeutica di un ricovero per malati di mente.
Tempi bui, governati da un cavaliere oscuro. Gotham City, Italia.
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domenica 29 giugno 2008
L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)
IV — QUELLA MACCHINA LÀ DEVI METTERLA QUA.
Le automobili, con la loro accelerazione, potrebbero rappresentare un passo indietro della civiltà. Forse non aggiungeranno nulla alla bellezza del mondo o alla vita spirituale degli uomini. Non lo so. Ma le automobili sono arrivate. E quasi tutto apparirà diverso a causa di quel che portano. Cambieranno la guerra, e cambieranno la pace. E anche la mente umana cambierà a causa delle automobili.
L'inventore di "carrozze senza cavalli" Eugene Morgan (Joseph Cotten) in L'orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons, 1942) di Orson Welles.
L'inventore di "carrozze senza cavalli" Eugene Morgan (Joseph Cotten) in L'orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons, 1942) di Orson Welles.
Come annunciato dal Club Méditerranée, oggi la soluzione de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ doveva essere ricompensata con una misera conchiglia. Ma sarò generosamente perverso: ho tolto il suono dal filmato, è vero, ma chi indovinerà il titolo avrà mezza conchiglia in più. Godi, popolo! Poi, mercoledì, se nessuno avrà trovato prima, forse ripristinerò il sonoro. Solo che da quel momento la mezza conchiglia in più me la tengo tutta per me.
P.S.: Ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il tabellione e possono essere consultate qui. Continuo inoltre a non poter dimenticare che il gioco si svolge anche su un altro tavolo.
P.S.: Ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il tabellione e possono essere consultate qui. Continuo inoltre a non poter dimenticare che il gioco si svolge anche su un altro tavolo.
ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA MARTEDÌ 1° LUGLIO ALLE 12.22.
IL VINCITORE È ANCORA UNA VOLTA IL FELINO ARCOMANNO, CHE AGGIUDICANDOSI UNA CONCHIGLIA IN MEZZO SI RITROVA IN CIMA ALLA CLASSIFICA. QUASI UNA POLE POSITION PER LA PROSSIMA SFIDA, CHE SI TERRÀ DOMENICA SETTE SETTEMBRE (IL GIOCO VA IN FERIE; IL BLOG NON ANCORA: ISTRUZIONI A VENIRE) E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI AGGIUDICARSI UN PAIO DI CORONE D'ORO. NELL'ATTESA, GODITI IL FILMATO CON LA COLONNA SONORA E NON DIMENTICARTI DI METTERE LA MACCHINA LÀ. ANZI QUA. INSOMMA METTILA DA QUALCHE PARTE O TORNA ALLA SCUOLA GUIDA, CHE VUOI CHE TI DICA.
L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 3 conchiglie.
andrea: 2 conchiglie.
adlimina: 1 conchiglia.
IL VINCITORE È ANCORA UNA VOLTA IL FELINO ARCOMANNO, CHE AGGIUDICANDOSI UNA CONCHIGLIA IN MEZZO SI RITROVA IN CIMA ALLA CLASSIFICA. QUASI UNA POLE POSITION PER LA PROSSIMA SFIDA, CHE SI TERRÀ DOMENICA SETTE SETTEMBRE (IL GIOCO VA IN FERIE; IL BLOG NON ANCORA: ISTRUZIONI A VENIRE) E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI AGGIUDICARSI UN PAIO DI CORONE D'ORO. NELL'ATTESA, GODITI IL FILMATO CON LA COLONNA SONORA E NON DIMENTICARTI DI METTERE LA MACCHINA LÀ. ANZI QUA. INSOMMA METTILA DA QUALCHE PARTE O TORNA ALLA SCUOLA GUIDA, CHE VUOI CHE TI DICA.
L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 3 conchiglie.
andrea: 2 conchiglie.
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