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mercoledì 16 dicembre 2009

La caduta nel quotidiano/2

Are we worth saving? You tell me.
Debra (Michelle Morgan): ultime parole di Diary of the Dead (George A. Romero, 2007).

Generatore manuale di commenti: tra minacce e tentazioni censorie, prosegue temeraria e indomita la nostra sfavillante e multiforme vita nei social network, ovvero come smettere di preoccuparsi e cominciare ad amare il tasto “annulla”, offrendo sempre e comunque il peggio di noi, su una strada senza ritorno e a senso unico.
(Titolo a cura di Stan Lubrick, Mario Calabresi e Lina Wertmüller)

− Ignorati, fai come se non esistessi.

− E stasera? Ancora semolino?

− Phaiga lo dici a tua sorella.

− Preferirei sapere a che cosa NON stai pensando.

− Guarda che la settimana delle tette era l'altra.

− Hai già provato tutto uguale ma con i piedi in una pozza d'acqua?

− Sarà, ma anche una frase che riesce a mettere insieme una doppia negazione e il lemma "socialnetworkizzati" in un colpo solo fa disperare dell'umanità.

− Penserei che stai postulando per recitare una parte importante nel prossimo film dei Vanzina, per poi finire spiaccicata sul mese di febbraio di un calendario e infine coinvolta in un tristissimo caso di cronaca nera che ti farà piombare nel trito tunnel della droga, dal quale uscirai per imboccare senza soluzione di continuità l'annosa via dell'alcoolismo, quindi l'autostrada della bulimia diabetica. Il 22 novembre 2021 una congestione ti farà colare a picco nella piscina di un piccolo imprenditore di Casale sul Sile (TV), ma in assenza del proprietario. Verrai ritrovata due giorni dopo dalla colf mesopotamica in via di regolarizzazione e al tuo funerale qualcuno piangerà, forse.

− Il giorno in cui ti ritroverai con una doppia coppia d'assi e di otto mi piacerebbe essere presente, pallone gonfiato che non sei altro.

− Verrai ripescata. Meglio esser precisi.

lunedì 26 gennaio 2009

Le baccanti

Sulla terra, la vera minoranza è la minoranza dei vivi; nel film, questa minoranza di miliardi entra in guerra contro un’armata ben più potente: l’armata dei morti. Faremo questa guerra servendoci di computer, di raggi laser, di film infrarossi e di dischi ultrasensibili. Abbiamo intenzione di finirla una buona volta per tutte con il problema dell’“oltremorte” e dei mondi paralleli.
Dal soggetto di “Murmures dans des chambres lointaines”,
progetto incompiuto di Jacques Tourneur.


Venuti a deporre fiori sulla tomba del padre, Barbara e suo fratello vengono aggrediti da un uomo dall’andatura goffa e lo sguardo vacuo: solo più tardi, la persone asserragliate in un’isolata casa di campagna scopriranno che gli assedianti un po’ ebeti non sono ubriachi molesti, ma morti rinati per nutrirsi dei vivi. Invece di rivelare coraggio, intelligenza e coesione di fronte al pericolo, il gruppo (campione della società americana e forse dell’umanità) viene sterminato in una sola notte, non tanto a causa degli zombi quanto per la propria stoltezza. Girato in un bianco e nero sgranato e con movimenti di macchina a spalla, interpretato da attori non professionisti, La notte dei morti viventi (1968) continua a terrorizzare grazie a un dispositivo dalla crudeltà ineguagliata. Le approssimazioni delle riprese sono perfettamente sublimate dall’illusione di assistere a un macabro documentario. Incesto, antropofagia, matricidio e parricidio, finale tragico; i principali tabù morali e cinematografici vengono spazzati via grazie a un’invenzione catalizzatrice di pulsioni e brutalità: lo zombi. A differenza della tradizione vudù, secondo la quale lo zombi è un vivo in stato di morte apparente la cui personalità è stata annullata e sostituita dalla volontà di un padrone-burattinaio, quelli di Romero sono cadaveri-baccanti, tornati alla vita per ragioni oscure, privi di qualsiasi movente se non quello — irrazionale ma determinato — di uccidere tutti i viventi, divorandoli, lacerandone il tessuto fisico e sociale.


Nella storia del genere, il postulato dell’esistenza dopo la morte è segretamente consolatorio; Romero è uno dei pochissimi registi ad aver rappresentato l’immortalità come una condizione spaventosa, riducendo l’umano a corpo putrefatto privo di coscienza, a biologia assurda e fine a se stessa. Freud notava che “ora come in passato è estranea al nostro inconscio l’idea della nostra stessa mortalità”(1): nulla sembra più difficile che pensare quel non-luogo che è la morte in sé. Allo stesso modo, quando si considerano i classici della letteratura fantastica, la morte è certo un’avventura frequente, ma raramente il tema stesso del racconto. Per Romero, invece, nulla merita di esser guardato più a fondo, con ottusa ostinazione. Nei “living dead”, quel che conta è il secondo termine; non a caso, il primo scomparirà dai titoli originali dei seguiti. Lo pensava anche André Bazin: “La morte è uno dei rari eventi che giustifichi il termine di specificità cinematografica”(2).



In Zombi (1978) la malattia ha raggiunto livelli epidemici, gli zombi infestano città e centri commerciali. Onnipresenti e numerosissimi, i morti di Romero diventano spesso pretesto ad ampi totali dove la narrazione cede il passo al gusto diabolico di disporre cadaveri ambulanti nello spazio, o a brevi primi piani dove l’identità del volto umano si decompone in maschera di dolore famelico, tra inerzia dello sguardo vitreo e bestialità di mascelle trituranti. Il film raggiunge in quei casi vette di poesia truculenta, che determina un fantastico “stagnante” e trasforma il soprannaturale da apparizione in presenza. Troppo tardi per consolarsi con la distinzione che vorrebbe relegare il fantastico fuori campo. Ormai gli zombi sono troppi, e le loro gueules cassées hanno preso possesso dell’inquadratura.



(1) Sigmund Freud, Il perturbante, in Opere, vol. 9 - L’Io e l’Es e altri scritti (1917-1923), Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 103. Il testo prosegue con strana serenità nel descrivere il timore della morte come atavico ma destinato a venire sommerso per sempre — ossia a non “tornare” più come unheimlich — dai progressi dell’intelletto, della scienza e della pietà. Quasi un secolo dopo (il saggio di Freud fu pubblicato nel 1919) questo momento sembra ancora lontano, e il cinema non ha smesso di mostrare la paura “secondo cui il morto è diventato nemico dei sopravvissuti e mira a prenderli con sé come compagni della sua nuova esistenza” (ibid.).
(2) André Bazin, “Mort tous les après-midi”, in Qu’est-ce que le cinéma?, vol. 1, Editions du Cerf, Paris 1958, p. 68.