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martedì 10 aprile 2018

lunedì 2 dicembre 2013

So stop your sighin'

Daniel Cohn-Bendit ripropone l'oligarchia dei "saggi" di destra in versione rivoluzionaria sessantottina. Le due visioni hanno in comune:

– L'idea che i popoli europei non sono in grado di capire i problemi e le misteriose soluzioni dei nostri tempi, le "riforme" eccetera. Sono inoltre incapaci di proiettarsi nel futuro, vivono nel presente immediato, sono gretti, egoisti, limitati. E pensare che nel Medioevo si progettavano cattedrali la cui costruzione richiedeva secoli! (Mai che si ipotizzi la possibilità che ieri come oggi una cattedrale fosse considerata un optional, e che un mattone fosse aggiunto se e quando c'era tempo e denaro per farlo.)
– La scarsa considerazione per le questioni "sociali": se non irrilevanti, comunque non dirimenti. Ci si limita a rattoppare, quando si può, la miseria più nera; la (ex) classe media si arrangi: ad esempio leggendo i volantini promozionali dei supermercati invece dei programmi elettorali, cosa che quasi tutti facciamo da una vita. Peggio per noi: non siamo degni interlocutori della nuova "cultura politica" propugnata dai Monti e Cohn-Bendit.
– Il segno dell'emergenza costante come pietra tombale su qualsiasi obiezione: per gli oligarchi di destra, lo spread, il debito pubblico, la crisi, da cui si sta sempre per "uscire", domani, nel 2014, nel 2015, nel 2016…; da vero rivoluzionario, Cohn-Bendit ci aggiunge l'incubo stalinista del "2043": fra trent'anni ci sarà una catastrofe ecologica globale. Tanto quando la catastrofe (non) verrà ci saremo già attrezzati (rovinati?) e Cohn-Bendit sarà morto e quindi irresponsabile.

Secondo me Cohn-Bendit, come tante altre personalità politiche europee, anche degne di grande stima, non ha mai avuto una gran cultura democratica. Non era la priorità del 68 francese, non è la priorità dei tecnocrati alla Monti o alla Barroso o alla Merkel, che infatti ha una formazione politica DDR.
La figura di Giorgio Napolitano, in questo senso, è un unicum in Europa, perché racchiude in sé tutte queste Eigenschaften. Ancora una volta, come avviene da un secolo, l'Italia è l'esperimento mondiale per eccellenza, la provetta del pianeta.
Nei fatti ha ragione Cohn-Bendit? Può darsi, basta che si sia consapevoli di quel che dice e delle conseguenze di quel che dice. Se nessuno si lamenta, perché "avercela con la propria epoca"? Oltre alla beffa, non sia mai che si debba "subirne i danni".

 

lunedì 30 novembre 2009

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXXVI — L'UOMO CHE C'ERA

Tre aggeggi a chi riconosce il film da cui ho estratto questo fotogramma. Nuova immagine giovedì, ma allora riceverai solo due robe. Ultima foto sabato: ti ritroverai con un coso tra le mani.
AGGIORNAMENTO (giovedì 3 dicembre). Fu un celebre scrittore a notarlo ed annotarlo per primo. C'era anche lui. C'erano tutti, prima che non ci fosse più nessuno. Due robe a chi lo ritrova.



ATTENZIONE: La partita si è conclusa giovedì 3 dicembre alle 17.55. Il film da riconoscere era Zelig (Woody Allen, 1983). bianca ottiene due robe.
La prossima sfida si terrà lunedì 7 dicembre.


L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 18 robe.
bianca: 16 robe.
afasol: 14 robe.
maxeramax: 3 robe
.
YagaBaba: 3
robe.
gegio: 3
robe.
Andrea: 2
robe.

giovedì 5 marzo 2009

Le solite note

Ti ho mai raccontato di quella volta che ho visto Errol Flynn sfoderare l’uccello e suonarci il pianoforte? Oh, be’, è stato un secolo fa, io ero agli inizi, come fotomodella, e sono andata a questa festa - un mezzo mortorio - dove c’era Errol Flynn che, tutto compiaciuto di se stesso, tira fuori l’uccello e ci ha suonato un pezzo al pianoforte. Gran botte sui tasti. Ha eseguito You Are My Sunshine. Figurati che cazzo di sonata!
Lo racconta Marilyn Monroe a Truman Capote in Musica per camaleonti (III, 6: “Una bellissima bambina”).

Tu non ti meriti Cole Porter.
Mickey Sachs (Woody Allen) a Holly (Dianne Wiest) in Hannah e le sue sorelle (Woody Allen, 1986).

In realtà il mio sogno è sempre stato quello di ballare bene. Flashdance si chiamava quel film che mi ha cambiato definitivamente la vita. Era un film solo sul ballo.
Saper ballare.
E invece alla fine mi riduco sempre a guardare, che è anche bello, però… è tutta un’altra cosa.
Nanni Moretti sulla Vespa in Caro diario (Nanni Moretti, 1993).




lunedì 19 gennaio 2009

La caduta di Troia

Il est vrai que Molière œuvrait dans le comique, et c'est toujours le même problème, on finit toujours par se heurter à la même difficulté, qui est que la vie, au fond, n'est pas comique.
Michel Houellebecq, La Possibilité d'une île, Fayard, Paris 2005, p. 387.

Ricordi la scena di Prendi i soldi e scappa (1969), in cui il ladruncolo Woody Allen cerca di evadere dalla prigione fabbricandosi una rivoltella di sapone che si scioglie in una montagna di schiuma quando la punta, sotto la pioggia, contro un secondino? Quasi quarant'anni dopo, Ewan McGregor e Colin Farrell fanno esattamente la stessa cosa: costruiscono due pistole artigianali nel garage, affidandosi ai ricordi d'infanzia. Solo che in Cassandra's Dream, stupidamente intitolato Sogni e delitti dai distributori italiani, la cosa non fa più ridere per niente. Come con Dark Star di Carpenter e Alien di Scott, la parodia ha anticipato il modello "serio", ma qui l'inversione cronologica è ancora più vertiginosa: dimostra che un gag prolungato tradisce un ritardo di maturità, l'insensato desiderio di restare bambini in eterno — è il segno del fascismo, e anche quello dei nostri tempi — e le conseguenze nefaste di tale desiderio.
C'è effettivamente qualcosa di inutilmente profetico, nel gioiellino foggiato da Woody Allen un anno prima del tracollo economico-finanziario. Non a caso, durante un buon terzo del film viene evocata la figura fantasmatica dello "zio d'America e della Cina", allegorica sintesi della ricchezza moderna e mondializzata. E quando lo spirito (Zeitgeist) appare in carne e ossa, come Harry Lime nel Terzo uomo, quello che vediamo è un maiale azzimato, la subumanità a immagine e somiglianza dei subprime.
La lotta di classe ridotta ai minimi termini, quindi: la coppia dei fratelli Farrell e McGregor ha sostituito le bonnes Huppert e Bonnaire de La Cérémonie (Il buio nella mente, 1995: ancora una volta, complimenti al titolo italiano). Chabrol, ma molto più furioso. Cassandra's Dream non assomiglia davvero più al Woody Allen che conoscevamo: questo processo di separazione da se stesso era in atto da un po' di tempo, con alti e bassi, e ormai mi sembra perfettamente compiuto. Il film è irriconoscibile, almeno in apparenza. Dico in apparenza, perché per gli aficionados del regista, Cassandra's Dream è attraversato da una forma di Unheimlich, che gli italiani chiamano "perturbante", sacrificando l'essenziale connotazione familiare del termine. Gli echi deliberati delle opere precedenti non sono il frutto di uno stanco autocitazionismo: la pistola di Prendi i soldi e scappa e quella fabbricata da Farrell, appunto, ma anche il pedinamento omicida di Anjelica Huston in Crimini e misfatti (una pochade, al confronto) e quello dell'uomo d'affari, o la negazione di qualsiasi rappresentazione diretta della violenza, come in Match Point. Qui è in gioco qualcosa di molto più radicale della pigra ripetizione di modelli precedenti. È come se Woody Allen ripercorresse la propria opera per rivelare che essa si è costruita su un odio viscerale del presente. E ci obbligasse a rivisitarne i luoghi, per scoprire che non vi si trovava nulla che somigliasse a un sentimento pacificato nei confronti della realtà. Era solo che questo disprezzo prodigioso si esprimeva in filigrana, come rifiuto di rappresentazione. In altri termini, ci si faceva scudo di cose piacevoli raccontate in modo piacevole, per non essere costretti a guardare impietriti cose spaventose. In Cassandra's Dream, mi sembra che Woody Allen non riesca più a distogliere lo sguardo dalla Gorgone, e che lo faccia con un certo coraggio. La Londra piccoloborghese e contemporanea diventa il rovescio della medaglia della Rockaway Beach yiddish, fantasticata in "quell'inverno del '42" di Radio Days. Meglio: il suo specchio.


Di solito, quando un film manca di ironia percepisco tale assenza come un grave difetto (preferisco Sorrisi di una notte d'estate a Sussurri e grida, per esempio). Ma le eccezioni sono troppe per confermare la regola. Quel che mi ha colpito in Cassandra's Dream è stata proprio la sensazione di trovarmi di fronte a un film perfettamente privo di ironia. Perfettamente, e anche furiosamente, perché questa sottrazione del sorriso è perseguita con un accanimento rabbioso. Forse lo preferisco a Match Point, e stavolta la contraddizione che caratterizza i due film mi sembra raggiunga un parossismo difficilmente sostenibile e trovi al contempo un proprio cupo equilibrio: da un canto, la placidità di una messinscena sovrana, perfettamente controllata; dall'altro, una collera profonda, quasi cieca, che nulla è più in grado di trattenere. I due movimenti dovrebbero essere incompatibili; qui si tengono per mano, forse aiutati dall'algido understatement del contesto "british".
Ma l'evocazione di Meduse e Cassandre non tragga in inganno: la categoria del destino è affatto estranea alla visione del mondo del regista newyorchese, e quindi alla sua visione del cinema. Anche nei suoi film meno riusciti, Woody Allen non ha mai rappresentato qualcosa in cui non credeva. Non crede nella possibilità di un senso predefinito, di un qualsivoglia cosmo, e ancor meno nella predeterminazione. In questo senso, è veramente un ateo assoluto. Crede, eventualmente, nella fortuna: ma non come possibile declinazione del destino. E nell'idea dell'opportunità, dell'occasione (quella che pare non si debba mai lasciar "sfuggire"). E nella miseria morale dilagante, al di là delle classi sociali, delle generazioni, del sesso. Quando questi tre elementi si incontrano, il risultato è Cassandra's Dream. La scena in cui Ewan McGregor incontra i genitori della fidanzata attrice è eloquente: il padre, ascoltando i progetti dementi di finanza creativa del giovanotto, confessa che anche lui, un tempo, quando era giovane e pieno di energie, se solo avesse osato, se l'occasione si fosse presentata, se fosse stato un po' più coraggioso

P.S.: Adoro che nella scena del parco (anche stavolta sotto la pioggia, ma senza più alcuna saponetta redentrice) lo spettatore capisca le vere intenzioni dello zio qualche secondo prima di McGregor e Farrell. Saper gestire così bene l'anticipazione, fare in modo che essa non produca noia e delusione, è la caratteristica di un grande artista.