lunedì 17 ottobre 2011

Uno, nessuno, Lavitola


Il fatto è che non si riesce a capire se e quanto sia influente, questo Lavitola. Le intercettazioni audio rispettano sempre lo stesso, stranissimo e straniante copione: quello telefona, accenna un "buonasera presi…" e va SUBITO al dunque: "Sa, per quella cosa…". La voce dell'altro sembra sempre provenire dall'oltretomba: rantola, è chiaro che è stato svegliato dallo squillo. Altro che nottate da sballo, piuttosto quei centenari che ormai sonnecchiano 22 ore su 24. Lavitola parla e lui mugugna, sembra più infastidito che altro. Niente, al telefono non si riesce a cavargli nulla. E quindi: "Senta, quando ci vediamo". E l'altro, chissà perché improvvisamente prontissimo (tanto non ha niente da fare, non deve mica consultare l'agendina, non fa mica il Presidente del Consiglio): VENERDÌ. Un fantomatico venerdì, lui venerdì è sempre libero, tanto c'è sempre un venerdì (e viene sempre dopo giovedì, che arriva sempre all'improvviso, come diceva Holly Golightly). Poi parte il disco, sempre uguale, sempre senza alcun rapporto con le richieste di Lavitola: i magistrati, repubblica, la rivoluzione, io sono stufo, conta un cazzo. Lavitola lo lascia blaterare, poi torna a bomba, ossia a bresaola: notare che quando tira fuori gli insaccati non si capisce mai se si stia appellando a grasse metafore massoniche o se si illuda di parlare in codice. Tutto sempre al telefono, ovviamente, quando persino i "goodfellas" scorsesiani (ossia mezze calzette, manovalanza di Paul Sorvino o Tony Soprano, mica Corleone e Clemenza) sanno che in certe circostanze si addice il sussurro nell'orecchio, e finanche la mano, a coprire il labiale nel retrobottega, con i camion che arrivano proprio giovedì, pieni di pellicce surgelate, anche d'estate. E infine la chiusura brusca, anche un tantino irrispettosa, ammonitrice: "Presidente, lei si limiti a fare ciò per cui ci paga e rompa meno il cazzo". Il tutto è imprendibile: quanto Lavitola influenzi Berlusconi, Lavitola di cui fino a ieri non sapevamo nulla e ora si scopre che era il direttore dell'"Avanti!", ah, esiste ancora l'"Avanti!", sì, esiste, ma forse non è l'"Avanti!", bisogna fare un passo indietro, in avanti, per capire che l'"Avanti!" non è quell'"Avanti!" là, è un altro "Avanti!", ci sono due "Avanti!" ma un solo Lavitola (forse), pieno di soldi, indebitato fino al collo, l'uomo che nell'ombra ha tramato e controllato l'Italia, forse il mondo o almeno Pomezia, un disgraziato povero in canna, un accattone, un genio, anzi la protesi della sua stessa minchia, che vuol fare affari, piazzare titoli merci persone appalti ombrelloni salumi (e pesci! tonnellate di pesci), tutto sempre di nascosto, ma solo per finire in tv intervistato da Mentana e Travaglio, tutto alla luce del sole nell'ombra, telefona così lo beccano, magari il prossimo ferragosto va in turné con Manila Gorio, un giro di conferenze sulla massoneria vitto e alloggio tutto compreso, poi garrota la cuginetta in uno scantinato, felice e contento si fa un dieci anni in galera e quando esce si autocondanna all'ascesi mistica in una sperdutissima isoletta dei famosi. Più o meno. Che tanto lui non conta un cazzo: è un signor nessuno, come tutti.

venerdì 14 ottobre 2011

Punto di fuga


Sì, lo so che è la seconda volta che ti mostro questa scena. Ma sono due minuti di ripasso che levati: un piano sequenza di perfetta semplicità, almeno in apparenza. Panoramica di 90°, poi mdp inchiodata a guardare il lungomare della versiliana, con profondità di campo infinita e punto di fuga prospettico centrale, a perdita d'occhio (anche nel senso del "Boom", con lo stesso attore). Eyes Wide Shut con ottusa ostinazione, nella luce "tra cane e lupo" del crepuscolo. (Non so chi fosse Leonida Barboni, ma di certo non è mio suocero.) Intenso sviluppo economico e sociale promesso a tutti da un Paese sul punto di diventare Terra di Nessuno, mostruoso circolo vizioso la cui circonferenza non è da nessuna parte e il centro in una località che si chiama Ronchi Poveromo (manco a farlo apposta). Pasolini e Antonioni forse in segreto se la sognavano, una scena così. (Il secondo credo che lo dichiarò apertamente.) Come sfondo sonoro, una gran bella canzone in oscena versione "melodia d'ascensore", aspettando di sentirla risuonare nelle grandi Stande di Milanodue a uso e consumo di zombi leghisti. La mdp copre uno spazio infinito, come dicevo, ma in realtà non si allontana mai dal perno (l'uscita del locale). In attesa di buttarlo in faccia a qualcuno, all'epoca un treppiede serviva ancora a quello: far credere allo spettatore che Piove sia musica di commento, mentre è ancora, è sempre e solo musica di scena. (E infatti Modugno era cliente abitudinario dell'"Oliviero" di Comparini, topos cinematografico per eccellenza.) Il carrello non è sempre necessario, a volte anche una piccolissima panoramica può essere una questione morale.

In mezzo all'inquadratura, gesticola il più grande attore di tutti i tempi. Si vede solo lui, anche quando ormai è un puntino che corre in lontananza: non come nei finali di Charlot, dove lui si allontana con fiduciosa sprezzatura. No, lui qui sta scappando: è lui, il punto di fuga.
Un minuto e quaranta di cinema puro.
Notare che per quasi tutto il tempo dà le spalle allo spettatore. Un interprete fuori classe si riconosce dal fatto che recita anche di spalle (in Toro scatenato è così per quasi tutta la scena, quando lui chiede a Joe Pesci "Iufacmaiuaif?"). Dice: "Ahio. Me so' fatto male. A 'a mano". Il resto è danza, grazia terminale di uno sbronzo elegantissimo, metronomo naturale, a bello e apposta: cravatta a pois annodata alla brutt'e peggio, camicia bianca sgualcita e mezza fuori dai calzoni neri (sbraco millimetrato), giacchetta agitata in una tauromachia che Hemingway, Leiris e Manolete non siete nessuno, e mocassini pronti a inciampare in un ultimo inaudito tip o tap di claquettes (lui iniziò imitando Fred Astaire, infatti).
Quello stendersi in mezzo all'autostrada, tra un Anno Karenino di Frosinone e il vago ricordo di griffithiane donzelle in distress legate alle rotaie del cinema delle origini, per poi rialzarsi subito dopo, in un sussulto pupazzesco. Non tanto perché la vita, sebbene difficile, meriti di essere vissuta, ma quando mai: no, solo perché c'è ancora (sempre) una spider (o una Seicento, o un bus di turisti) su cui scatarrare. Il suicidio può aspettare: intanto ammazziamo gli altri.
Sospetto l'improvvisazione del genio, nell'evidenza di quell'Hitler sputacchiato ai tedeschi.
Magari ce lo meritassimo ancora, Alberto Sordi.

sabato 8 ottobre 2011

"Non siamo carbonari né pugnalatori alle spalle"

Ma sai che invece, magari con la scusa dell'insediamento al Quirinale, certi classici dell'import/export made in Italy potrebbero fare la loro porca figura?
Poi non so, capace che hai ragione tu, Scajola. Forse è meglio dar prova di coerenza: chi di spada ferisce eccetera.

mercoledì 5 ottobre 2011

Dacci un taglio

— Oggi qui c’è molta confusione. È seccante perdere le cose.
— Perdere dati?
— Tutto il Duecento. Abbiamo perso molti computer di tipo convenzionale. Qui è tutto uno spostar cose, un “riorganizzare”, ma stavolta è tutta colpa di ZERO, la più grande banca dati del mondo. Be’, peccato: povero piccolo Duecento… Non è un granché come secolo, solo Dante e qualche Papa corrotto, ma è così perturbante, così fastidioso…
Un bibliotecario (Ralph Richardson) e Jonathan E. (James Caan) in Rollerball (Norman Jewison, 1975).