mercoledì 28 maggio 2008

End titles: Un saluto a denti stretti


SYDNEY POLLACK, 01/07/1934 — 26/05/2008.

lunedì 26 maggio 2008

Orson Welles — Un fogliettone

I
1915—1940: UN FUMETTISTA, UN ATTORE E UN POETA

Orson Welles con il cagnolino Caesar

George Orson Welles nasce a Kenosha, nel Wisconsin, il 6 maggio 1915. La madre, Beatrice Ives, pianista, campionessa di tiro e attiva femminista, muore nel 1924; il padre, Richard Head, eccentrico inventore e industriale, nel 1928. A 13 anni, Orson Welles finisce sotto la tutela del Dr. Maurice Bernstein. La sua infanzia si svolge in un clima di effervescente creatività artistica. A 3 anni debutta all’opera di Chicago, come comparsa in Sansone e Dalila; a 5 rivela un precoce talento di pianista (che la morte della madre interrompe bruscamente); il 26 febbraio 1926, un articolo a lui dedicato nel “Madison Journal” titola: “A soli 10 anni, un fumettista, un attore e un poeta”. Nel 1926 Welles entra alla Todd School di Woodstock, dove perfeziona le doti drammaturgiche, recitando e realizzando per il teatro scolastico, tra la redazione di critiche per quotidiani e viaggi in Europa e in Asia. Nel 1931 si reca in Irlanda per darsi alla pittura, la sola vocazione che rimarrà inespressa e che Welles rimpiangerà per tutta la vita. Intanto negli Stati Uniti lo aspetta, consistente e minacciosa, una borsa di studio per l’Università, che Welles vorrebbe evitare a tutti i costi. Fa allora credere a Hilton Edwards, regista del prestigioso Dublin Gate Theatre, di essere un noto attore americano. Viene assunto seduta stante nella troupe, per recitare in varie opere — tra cui Suss l’ebreo, Tre sorelle, La locandiera e buona parte del repertorio shakespeariano —, realizzando personalmente alcune di esse.
Nel 1933, Welles si prepara a calcare le scene londinesi, ma la Gran Bretagna gli rifiuta il permesso di lavoro. Torna negli Stati Uniti, da cui riparte subito per il Marocco e la Spagna, dove sopravvive pubblicando racconti polizieschi e cimentandosi nella tauromachia. Di ritorno a New York è assunto nella troupe di Katharine Cornell, che segue nella tournée di Romeo e Giulietta. Nel 1934 cura un’edizione delle opere di Shakespeare e realizza il suo primo cortometraggio cinematografico, Hearts of Age. Otto minuti vagamente surrealisti: dalla valigetta del giovane mago, che si ritaglia la parte della Morte, escono maschere, pianoforti, scalinate. Saranno gli strumenti di futuri illusionismi in grande scala. E aspettando Rita Hayworth a Shanghai, il nostro chiude la prima moglie, Virginia Nicholson, in una bara. (Il filmato che presentiamo comporta un accompagnamento sonoro ovviamente non originale.)


In quegli anni inizia a lavorare alla radio: a partire dal 1935 collabora al celeberrimo The March of Time, che presenta l’attualità facendo recitare ad attori le voci dei personaggi reali. Per anni Welles presterà la sua voce polimorfa a Hitler, Mussolini, Stalin, Freud e decine di personalità della politica e dello spettacolo. La versione cinematografica della trasmissione offrirà lo spunto di un perfetto pastiche all’inizio di Quarto potere.
Dal 1936 al 1937, Welles realizza messinscene teatrali per il Federal Theatre, istituzione sovvenzionata dalla Work Progress Administration (WPA). Tra le più innovative, va ricordato un Macbeth (1936) con attori di colore e spostamento della trama dalla Scozia a Haiti, e The Cradle Will Rock (1937), dramma in favore dei sindacati la cui prima viene annullata all’ultimo momento dalla WPA, obbligando la troupe a improvvisare una recita senza scenografie né costumi nella platea di un teatro vicino. L’incidente sancisce la fine dei rapporti tra Welles e il Federal Theatre. Assieme a John Houseman fonda allora il Mercury Theatre, i cui attori — Joseph Cotten, Agnes Moorehead, Everett Sloane, Ray Collins, per citare i nomi più importanti — resteranno legati alle future avventure del regista. Intanto, durante quegli anni la radio si sta trasformando nel primo grande mezzo di comunicazione di massa. Una delle trasmissioni più seguite è The Shadow, che narra le avventure di una sorta di uomo invisibile. La voce del protagonista è quella di Welles. La sua fama e il successo teatrale di Caesar (1937), adattamento dell’opera di Shakespeare in costumi moderni e con espliciti riferimenti al fascismo, spinge la CBS ad affidargli una trasmissione settimanale di un’ora, nella fascia serale di massimo ascolto. Ogni puntata dovrà adattare in diretta un classico della letteratura o del teatro. Welles sfrutterà tutte le possibilità narrative e drammaturgiche del nuovo mezzo, rivoluzionando la storia della radio.
The Mercury Theatre on The Air. First Person Singular inizia a diffondere l’11 luglio 1938 con un adattamento di Dracula dove il regista interpreta alternativamente le voci del narratore, del Dottor Seward e del vampiro. Dal 9 dicembre 1938, l’industria Campbell’s Soup (la cui lattina di pomodori pelati, 25 anni dopo, sarà elevata a eterno feticcio da Andy Warhol) diventa lo sponsor della trasmissione, che proseguirà fino al 31 marzo 1940 con il titolo The Campbell Playhouse. In tutto, Welles produce, realizza, interpreta (conservando il gusto di dar voce a più personaggi) e talvolta scrive 80 puntate, molte delle quali si riveleranno utili prove per i suoi lavori futuri. Il repertorio spazia da Jane Eyre al Conte di Montecristo, da L’isola del tesoro al Giro del mondo in 80 giorni, da Cuore di tenebra a Huckleberry Finn, da Giulio Cesare all’Orgoglio degli Amberson. Ogni storia è in prima persona e gli ascoltatori vengono continuamente interpellati; le transizioni del racconto, il gioco tra dialogo e narrazione, le possibilità sonore legate a rumori, musiche e silenzi sono portate a livelli tutt’ora insuperati di ingegno creativo. Welles passa nel corso di una stessa giornata da uno studio radiofonico all’altro (la CBS mette un ascensore a sua esclusiva disposizione), proseguendo le rappresentazioni teatrali in corso e curando le ripetizioni di quelle a venire (ricordiamo Too Much Johnson, 1938, e Five Kings, 1939, sunto in cinque ore di quattro opere di Shakespeare — Enrico V, Riccardo II, Enrico IV, Prima e Seconda parte — dove Welles incarna Falstaff), presenziando convegni politici e culturali e moltiplicando gli interventi sui giornali. In tre anni, si può dire che Welles realizzò quel che a malapena un essere umano molto talentuoso potrebbe compiere in una vita intera. (CONTINUA...)

giovedì 22 maggio 2008

Bistecche 2

— Emile, stasera preferisci carne o pesce?
— Pesce.
— E se avessi detto carne, cosa avresti preferito?
— Mah, non so… Vitello.
— E se invece del vitello avessi scelto manzo, avresti preferito una bistecca o un arrosto?
— Una bistecca.
— E se avessi detto arrosto, ti sarebbe piaciuto cotto o al sangue?
— Molto al sangue.
— Ebbene caro, sei sfortunato perché il mio arrosto di manzo è un po’ troppo cotto.
Angela (Anna Karina) serve ad Emile Récamier (Jean-Claude Brialy) un pezzo di carne carbonizzata ne La donna è donna (Jean-Luc Godard, 1961).



lunedì 19 maggio 2008

Malelingue

Un groviglio fumante, sanguinolento, asimmetrico di ossa, budella, denti, culminante in due teste orrende, mezzo uomo e mezzo caos. Sembrano partorite da una teratologia degna di Baltrušaitis, un concentrato sulfureo di odio, i sette peccati capitali riuniti, più tutti gli altri: quelli a venire, quelli di universi sconosciuti, quelli ancora senza nome. I due mostri sono siamesi: hanno la lingua in comune.


Conclusa l’autopsia, il Dr. Blair sentenzia: “sembra tutto normale”.

giovedì 15 maggio 2008

lunedì 12 maggio 2008

Bicchieri

Il giorno in cui l'uomo di cui vorrei dimenticare il nome (come diceva sempre Borges a proposito di Perón) presenta la lista dei suoi ministri al Presidente della Repubblica, un illustre editorialista di un prestigioso quotidiano conclude così il suo commento: "Quando si comincia un’opera complicata è d’obbligo e non solo cortese guardare il bicchiere dalla parte dove è pieno". Secondo me il bicchiere è completamente vuoto perché gli italiani se lo sono bevuto tutto e dentro c'era il loro cervello (e magari il midollo se lo sono tracannato "alla spina"), ma il punto non è questo. Il punto è che "guardare il bicchiere dalla parte dove è pieno" mi sembra alquanto incomprensibile per chi il cervello non se l'è ancora bevuto tutto. Scusa, rileggi e pensa: "guardare il bicchiere dalla parte dove è pieno". Il bicchiere, la parte...: ma che è? Bisogna mettersi di profilo? Il bicchiere è pieno se lo vedi da sinistra, ma se ti sposti a destra è vuoto? Ma che razza di bicchieri hanno gli illustri editorialisti di prestigiosi quotidiani? "Guardare il bicchiere dalla parte dove è pieno"... Dove è pieno che? Il bicchiere? Ma per godere di sì bella vista si deve spostare l'osservatore o il bicchiere? E se è il bicchiere, in che senso va spostato? E spostandolo, non c'è il rischio di rovesciarne il contenuto dalla parte dove è pieno per poi ritrovarsi con due o più parti del bicchiere che allora comunque lo guardi, ti giri e te lo rigiri da tutte le parti, apparirà sempre vuoto sopra e sotto le parti del suddetto bicchiere? E poi pieno di che? Più ci penso, a 'sta storia del bicchiere con le parti piene e quelle vuote e quelle che chissà, più mi sembra di vedere un bicchiere alla Escher, tipo ipercubo o tesseratto. Un iperbicchiere, un bicchieratto anche un po' bischero, un metabicchierino birichino, con tante, infinite parti, in alcune dimensioni della realtà piene, in altre vuote, parti di un tutto, a parte tutto, o di un tutto, almeno, in parte...




P.S.: La poesia letta dalla bambina dotata di inutili poteri telecinetici nella scena finale di Stalker credo sia stata scritta da Arseni Tarkovskij, padre del regista:

Amo gli occhi tuoi, amica mia,

il loro gioco splendido di fiamme

quando li alzi all’improvviso

e come un fulmine celeste

guardi veloce tutto intorno.


Ma c’è un fascino più forte.

Gli occhi tuoi rivolti in basso

negli attimi di un bacio appassionato

e fra le ciglia semichiuse,

del desiderio il cupo e fosco fuoco.


(Nei sottotitoli francesi del film, il primo verso è: "Amo gli occhi tuoi, amico mio" e a questo punto non garantisco più nulla, io non parlo il russo, scusami pardòn.)

AGGIORNAMENTO (22 marzo 2009): Da una dacia d'orrore in una taiga di noia giunge voce che la poesia sia di Fëdor Ivanovič Tjutčev. Insomma, c'è chi popola uno spazio di immagini, di province, di reami eccetera eccetera. A me tocca accontentarmi di errori, svarioni e refusi. Basta non guardare specchi e bicchieri e siamo a cavallo, come diceva Calamity Jane.

giovedì 8 maggio 2008

Baratri

ecco quel che chiedeva
David O. Selznick
voglio del Rio e Tyrone Power
in una storia d'amore
che si svolga nei mari del sud
la trama non m'importa
basta che si intitoli
birds of paradise
e che alla fine del Rio
si butti in un vulcano
Jean-Luc Godard, Histoire(s) du cinéma, 3a — La Monnaie de l'absolu (1998).


lunedì 5 maggio 2008

Ma allora mi ami... ma quanto mi ami? E mi pensi... ma quanto mi pensi?




Un altro shining di Wendy Torrance. Un'altra visione un po' pompier, e non a caso si trova solo nell’edizione americana del film, che dura una buona ventina di minuti in più (fu Kubrick stesso ad accorciare il montaggio per l’Europa). La sequenza (6 secondi in tutto) si colloca subito dopo l’incontro tra Wendy e me: “splendida festa, vero?”. E infatti lei entra nella Gold Room dell’albergo, dove impazza una splendida festa di morti: ma stavolta il fiammeggiante salone è avvolto in un alone bluastro, livido; e i fantasmi in carne e ossa che avevano accolto Jack ora sono solo in ossa, scheletri agghindati e in posa come le mummie di Palermo. Tre inquadrature, tre danses macabres più rigide che fisse: la mia preferita è la seconda, dove sullo sfondo campeggiano due cadaveri rinchiusi nelle loro cabine telefoniche, come casse da morto. Ironia sottile, ché se ben ricordate il sistema di comunicazioni dell’Overlook Hotel è a dir poco difettoso. Quindi, un’eternità trascorsa su un’infinita linea telefonica isolata, col rischio, magari, di capitare su avvilenti messaggi dal futuro, registrati da un pazzo pelato: “Non so se ci siete o no. Forse pulite solo i tappeti. Se è così, vivrete una lunga vita. Ma se siete voi scienziati, dimenticate l’esercito delle 12 scimmie...”. Ma cos’è, mi prendi in giro? Ma quali scimmie? Quelle che lanciano ossa di tapiri nello spazio? Ma che fai, alludi? Guarda che se ti pesco mi strappo una costola e te la tiro in fronte! Insomma, roba da farti girare i coglioni, se non si fossero già decomposti da un secolo. Almeno Dave Bowman poteva bersi un bicchiere di rosso, di tanto in tanto, mentre a questi due poveri disgraziati la bottiglia di champagne sarà negata per sempre, per sempre, per sempre... È lì fuori, a portata di mano, sul tavolino; ma loro sono bloccati nella cabina, e comunque la bottiglia è vuota dal 1921. Già, 1921, odissea nel centralino: chissà se a quei tempi c’era già “La preghiamo di attendere, un operatore le risponderà appena possibile”.

Segue “dettaglio”, come nei libri d’arte dei Fratelli Fabbri.


giovedì 1 maggio 2008

La grande domanda

Bolaño.jpg

Se sine significa sì e none significa no, cosa significa ne?
Oggi non mi sento molto bene.
Roberto Bolaño, I detective selvaggi, traduzione di Maria Nicola, Sellerio Editore, Palermo 2003, p. 152.