Visualizzazione post con etichetta Chris Marker. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Chris Marker. Mostra tutti i post
lunedì 31 luglio 2023
martedì 1 luglio 2014
Gufi
Perché il gufo gufò? Perché il picchio picchiò.
Throper Fallcaster, collezionista di freddure sugli uccelli e 54° caso esaminato in The Falls (Peter Greenaway, 1980).
Da sempre, appena sento la parola "gufo", la prima cosa a cui penso è un racconto di Ambrose Bierce, An Occurrence at Owl Creek Bridge, che lessi da bambino. Fu pubblicato nel 1890 sul "San Francisco Examiner". Un anno dopo Bierce lo inserì nella raccolta Tales of Soldiers and Civilians. Il titolo riporta chiaramente alla Guerra civile americana. Ma nel racconto che mi colpì (questo blog racconta esclusivamente la storia di un uomo "marqué par une image d'enfance") il contesto storico è irrilevante. Anche i gufi c'entrano poco. Si limitano a dare il nome a un ponte, dove inizia e finisce la storia. Dove finisce, soprattutto. Anche se in realtà finisce dove inizia. Anche se in realtà finisce come inizia.
Sono appena dieci cartelle, ma a causa della trovata finale ha segnato per sempre la storia della narrativa mondiale, e in particolare la narrazione fantastica. Quando incombeva plumbea "l'egemonia culturale della sinistra" e "i professoroni" terrorizzavano la nazione, l'italiano disponeva di decine di migliaia di parole, e in quella babele poteva persino permettersi di ospitare vocaboli repellenti. Per il racconto di Bierce, possiamo star certi che sarebbe stato usato il mostruoso aggettivo "seminale". Oggi, fortunatamente, quell'epoca cupa si è conclusa, e con le nostre 500 parole non riusciremmo neppure a raccontare un fine settimana di Maigret, ma almeno "famo a capirci" e diciamo che il racconto di Bierce è "’na robba".
In letteratura, la stoccata finale delle varianti di Owl Creek Bridge la dà Borges nel suo più bel racconto, El Sur. Fu pubblicato assieme a due altri testi nella seconda edizione di Finzioni. Il colpo di genio di El Sur è l'azzardo supremo: eliminare del tutto la trovata finale per disseminarla lungo tutto il testo, in tal modo che solo il lettore più malizioso potrà sospettare la soluzione (e, più che sospettarla, sentirla: sentirse en muerte, come titolava il primo esperimento narrativo di Borges, ispirato al medesimo incidente autobiografico: un incidente "seminale"). È un'operazione squisitamente letteraria. Molti anni dopo, chiudendo il cerchio, Roberto Bolaño trasformerà il tutto in splendido e mediocre sberleffo, con El gaucho insufrible. Il pastiche di Bolaño elimina il colpo di scena, semplicemente. Non lo trovi né alla fine del racconto, né all'inizio, né durante. È bellissimo.
Al cinema i nipotini di Bierce riempirebbero un orfanotrofio dickensiano (per non parlare della televisione: quel racconto è praticamente il palinsesto di qualsiasi episodio di The Twilight Zone). Il mio preferito è Carnival of Souls di Harold Arnold "Herk" Harvey (dopo quel film, di "Herk" credo non si seppe più nulla). E non solo perché assieme a L'ultimo uomo della Terra di Ubaldo Ragona ispirò a Romero La notte dei morti viventi. Ma anche per quello. Il film più famoso è invece Il sesto senso di M. Night Shyamalan, che a me però non ha mai convinto perché non c'è colpo di scena, per quanto sorprendente (e dal 1890 quel colpo di scena non sorprende più), che giustifichi la tortura di un racconto psicologico. Shyamalan lo ha capito, e i film che ha fatto in seguito mi piacciono moltissimo.
Dal racconto di Bierce è stato girato un cortometraggio, La Rivière du hibou.
Subito dopo Bierce, quando sento la parola "gufo" penso a John Travolta, nel film in cui scoprii che John Travolta era un attore fenomenale. Blow Out è anche il film che preferisco di Brian De Palma. A ripeterlo rapidamente, diventa uno scioglilingua e sembra quasi di sentire il gufo gufare: blow out blow out blowlout.
La prima volta che Travolta raccoglie i suoi miserabili effetti sonori sul ponte dove inizia la storia (ma non finisce, anche se sempre lì si torna; mentre il film, che racconta un'altra storia, comincia prima e quindi finisce dove comincia), il gufo bubola e sembra guardarlo fisso negli occhi. Però quando la raccolta viene ricostituita mentalmente in studio, l'immagine si divide in due, la memoria si sdoppia razionalmente e schizofrenicamente, con il senno e la paranoia di poi: Travolta e il gufo guardano nella medesima direzione: verso l'incidente (o occurrence). Si chiama split screen, a De Palma piace molto perché a lui piacciono le cose più brutte, De Palma è lo spazzino del cine, se fosse italiano sarebbe capace di fare un film intitolato "Il bubolio seminale del gufo".
Naturalmente quell'immagine non l'hai più dimenticata.
Ma alla fine il gufo gufò gufò gufò.
venerdì 31 gennaio 2014
Ceci est l'histoire d'un homme marqué par une image d'enfance.
Pensando a quel che sta succedendo, nelle ultime ore vedo solo una scena. A volte torna, sarà che da bambino mi colpì.
L'ispettore Rogas,
poco prima della fine di Cadaveri eccellenti, si affaccia sul
terrazzo, da un piano molto alto, e guarda la città. Nel libro quella
scena non c'è. Francesco Rosi lavora su un'immagine topica del noir americano: il
poliziotto più o meno integerrimo, l'investigatore privato più o meno
integerrimo contempla "il contesto" dall'alto, in tutta
la sua complessità. Questa complessità, questa "corruzione" è la sua, o
perlomeno lui se ne fa carico e la comprende tutta, ergendosi quale
redentore cristico: "È una sporca città, ma è la mia città".
Dal reticolato palermitano che si staglia sotto di sé, l'ispettore Rogas sente salire, sempre più forte, il rombo dei carri armati.
Dal reticolato palermitano che si staglia sotto di sé, l'ispettore Rogas sente salire, sempre più forte, il rombo dei carri armati.
Etichette:
Cadaveri eccellenti,
Chris Marker,
Francesco Rosi,
La Jetée,
Leonardo Sciascia
lunedì 30 luglio 2012
domenica 13 marzo 2011
Soluzioni, dissoluzioni
Il mio amico Hayao Yamaneko ha trovato una soluzione: se le immagini del presente non cambiano, allora si cambiano le immagini del passato.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).
Etichette:
Chris Marker,
Kiyoshi Kurosawa,
Pulse,
stentube
sabato 13 novembre 2010
Time and again
Ad Orly, di domenica, i genitori portano i figli a vedere gli aerei in partenza. Di quella domenica, il ragazzo avrebbe ricordato spesso il sole fisso, la fine della rampa e un volto di donna. Nulla distingue i ricordi dagli altri momenti: solo più tardi si fanno riconoscere, dalle loro cicatrici. Quel volto che sarebbe diventato la sola immagine dei tempi di pace ad attraversare i tempi di guerra, egli si chiese a lungo se l’avesse visto veramente, o se avesse creato quel momento di dolcezza per puntellare il momento di follia che sarebbe sopraggiunto, con quel rumore improvviso, il gesto della donna, quel corpo che oscilla, il clamore della gente sulla rampa, confusa dalla paura. Più tardi capì di aver visto la morte di un uomo.
Voce narrante (Jean Négroni) di La jetée (Chris Marker, 1962).

Voce narrante (Jean Négroni) di La jetée (Chris Marker, 1962).

Etichette:
Charles Chaplin,
Chris Marker,
Il circo,
Jack Finney,
La Jetée
mercoledì 18 marzo 2009
Dacci un Taglio (e un indizio per L'ultimo gioco in città)
Nulla distingue i ricordi dagli altri momenti: solo più tardi si fanno riconoscere, dalle loro cicatrici.
Voce narrante (Jean Négroni) di La Jetée (Chris Marker, 1962).
Etichette:
Chris Marker,
dacci un Taglio,
La Jetée,
ultimo gioco in città
lunedì 8 dicembre 2008
Jean Louis Schefer o la solitudine dell'immagine
La vita criminale di Archibaldo de la Cruz trae origine da un ricordo d’infanzia. Non serve un motivo, basta un motivetto: quello del carillon, da lui azionato mentre la bella governante osservava dalla finestra una sommossa popolare. Le rotelle del giocattolo innescano magiche causalità, complice l’ossessione: la ballerina-automa ruota su se stessa, sgranando la melodia della nevrosi; l’irrefrenabile erotismo di un impulso omicida attraversa la mente del bambino; carica della polizia, colpi di pistola; una pallottola colpisce la governante, che si accascia al suolo, irrigidita in una posa lasciva. Da quella notte, Archibaldo non penserà ad altro che a trasformare quel primo caso in necessità, a volgere l’affetto feticista in azione omicida, a farsi protagonista dei propri desideri di amore e morte. Ma il destino seguiterà a beffarlo, votandolo a una carriera di incolpevole omicida seriale, disseminata di morti violente senza delitto né castigo, e condannandolo alla suprema umiliazione del lieto fine. Estasi di un delitto, Luis Buñuel, 1953.
Il sonno del signor Ferrand è tormentato da un incubo, il cui segreto viene svelato progressivamente: è notte e la città dorme; il silenzio è rotto da un ticchettio regolare; il rumore si fa sempre più vicino, sempre più minaccioso. È prodotto da un bastone bianco, che tasta affannoso il selciato. Chi lo impugna è cieco: senz’altro lo stesso Ferrand, bambino. Ma è solo una finzione criminale: il bastone passa attraverso la grata di un cinema chiuso, l’estremità ricurva serve ad avvicinare il carrello delle fotografie del film Quarto potere. Il bambino stacca le immagini ad una ad una, le infila sotto il braccio e fugge a gambe levate, passando davanti a un negozio specializzato in apparecchi acustici. Ferrand si sveglia di soprassalto. Ora fa il regista, ed è sordo. Effetto notte, François Truffaut, 1973.
Ne L’uomo comune del cinema, lo storico dell’arte Jean Louis Schefer — allievo di Barthes e autore di numerosi saggi di semiotica figurativa, dedicati a Paolo Uccello, al Correggio, a El Greco, a Goya o a Chardin — perpetra per trentaquattro volte un analogo delitto, riesumando dal tessuto della propria memoria altrettanti fotogrammi: immagini strappate a un’arte dove l’illusione del movimento serve a mascherare “l’origine del crimine”, ossia il tempo, trasformando lo spettatore in solito sospetto. È un piccolo classico della letteratura cinematografica, e il lettore italiano ha dovuto aspettare un quarto di secolo per poterne finalmente leggere la traduzione dal francese, una vera e propria impresa condotta da Michele Canosa per le edizioni Quodlibet (Macerata).
A metà strada tra il saggio e l’autobiografia in absentia, Schefer ruota attorno all’esperienza della proiezione cinematografica, e fa della stessa proiezione una ruota (o una sfera) il cui centro invisibile coincide con l’occhio dello spettatore. La fonte di luce del libro si trova nella prima parte, appunto dedicata ai fotogrammi cinematografici, ciascuno di essi accompagnato da un testo breve che sembra richiamarsi alla poesia in prosa o, più precisamente, al blasone. Non sono quasi mai foto posate, ma scatti che in origine si inserivano in sequenze drammatiche, comunque dinamiche. Sono dunque fotografie rare, sconosciute, non sempre di qualità eccelsa, in un bianco e nero spesso sgranato. Il testo che le accompagna non è mai infondato, eppure non si limita a commentare le immagini: sembra piuttosto produrle, come se il fotogramma non preesistesse all’“uomo comune”, ma fosse il prodotto, lo “scatto” del ricordo, incerto tra una promessa di azione e la dissolvenza. La memoria dello spettatore-Schefer diventa in tal modo una camera oscura, e quel che in esso è restato imprigionato (impressionato) “non è il contrario dell’oblio, piuttosto il suo rovescio” come diceva Chris Marker nel film Sans soleil.
L’esperienza dello spettatore è stata spesso paragonata a quella di una persona che sogna. E se il sonno della ragione (o della memoria) genera mostri, non sorprende allora che tutte le immagini di Schefer abbiano il sapore di un incubo. I fenomeni da baraccone in Freaks di Tod Browning, capitanati dal torso umano Prince Randian: “Questo coso è ancora un uomo? già un mostro? Un uomo non coincide forse col suo viso, cioè lì dove può essere indifferentemente sublime e atroce? Non so perché questo personaggio di Freaks condensato o ridotto a un solo membro in fasce (un membro e non un organo), a un manicotto rampante, come ci mostra la fotografia, evochi l’idea husserliana di quella curiosa sottrazione dei fenomeni che permette di raggiungere l’essenza”. E la Mummia sbrindellata di Terence Fisher: “Questa bambola gigantesca, fatta di stracci, di bende (tutto il suo corpo è una corazza purulenta), diventa, fin nei suoi occhi fasciati, uno sguardo della putrefazione che condanna il mondo”. Ma anche il volto incipriato della Nanà di Jean Renoir: “Questo essere non è desiderabile (porta persino la maschera dell’odio verso il desiderio), non è semplicemente mai sazio: è un essere che può tramutare il mondo intero in cibo”. Persino Stanlio & Ollio, Buster Keaton o Charlot sono mostruosi, quando la mente li proietta alla luce di una pallida lampadina nuda, nella cantina dove il bambino Schefer, futuro “uomo comune del cinema”, aspettava che passassero i bombardamenti, la guerra e l’infanzia: “Eppure è solo l’immagine, anzi di più: è la solitudine di quest’immagine”.

Un nulla? No: un (non)nulla. Ma se è così, allora perché Archibaldo de la Cruz afferma che il suo ricordo infantile, delizioso e delittuoso, gli è rimasto impresso nella memoria “come fosse una fotografia”?
giovedì 27 novembre 2008
Le parole e le cose
Sei Shonagon, damigella d’onore della principessa Sadako all’inizio dell’XI secolo, aveva la mania delle liste: lista delle “cose eleganti”, delle “cose desolanti”, o ancora delle “cose che non vale la pena fare”. Un giorno ebbe l’idea di scrivere la lista delle “cose che fanno battere il cuore”.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).
Una volta, alla metà del XIX secolo, tutte le cose più preziose al mondo venivano raccolte nel Palazzo di Cristallo a Londra: il radiotelegrafo di Siemens, i coltelli di Solingen, le stufe di ferro britanniche, divani con portacatino in cartone, cannoni Krupp (allora non in commercio). Questi erano gli antenati di tutti i prodotti moderni. Nel 1937 l’edificio andò distrutto dalle fiamme, esattamente quattro anni dopo l’incendio del Reichstag. Da allora le cose non hanno più un parlamento.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).
… notoriamente, non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo. "Il mondo" scrive David Hume, "è forse l'abbozzo rudimentale di un dio infantile che lo abbandonò a metà dell'opera, vergognandosi della sua esecuzione deficiente; è fattura di un dio subalterno, del quale gli dèi superiori si burlano; è la confusa produzione di una divinità decrepita, tenuta in disparte, che è già morta" (Dialogues Concerning Natural Religion, V, 1779). Si può andare più lontano; si può sospettare che non vi sia universo nel senso organico, unificatore, che ha questa ambiziosa parola. Se c'è, bisogna immaginare il suo fine; bisogna immaginare la parole, le definizioni, le etimologie, le sinonimie, del segreto dizionario di Dio.
Jorge Luis Borges, "L'idioma analitico di John Wilkins", in Altre inquisizioni (1952), trad. it. di Francesco Tentori Montalto.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).
Una volta, alla metà del XIX secolo, tutte le cose più preziose al mondo venivano raccolte nel Palazzo di Cristallo a Londra: il radiotelegrafo di Siemens, i coltelli di Solingen, le stufe di ferro britanniche, divani con portacatino in cartone, cannoni Krupp (allora non in commercio). Questi erano gli antenati di tutti i prodotti moderni. Nel 1937 l’edificio andò distrutto dalle fiamme, esattamente quattro anni dopo l’incendio del Reichstag. Da allora le cose non hanno più un parlamento.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).
… notoriamente, non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo. "Il mondo" scrive David Hume, "è forse l'abbozzo rudimentale di un dio infantile che lo abbandonò a metà dell'opera, vergognandosi della sua esecuzione deficiente; è fattura di un dio subalterno, del quale gli dèi superiori si burlano; è la confusa produzione di una divinità decrepita, tenuta in disparte, che è già morta" (Dialogues Concerning Natural Religion, V, 1779). Si può andare più lontano; si può sospettare che non vi sia universo nel senso organico, unificatore, che ha questa ambiziosa parola. Se c'è, bisogna immaginare il suo fine; bisogna immaginare la parole, le definizioni, le etimologie, le sinonimie, del segreto dizionario di Dio.
Jorge Luis Borges, "L'idioma analitico di John Wilkins", in Altre inquisizioni (1952), trad. it. di Francesco Tentori Montalto.
sabato 25 ottobre 2008
Dacci un Taglio
La polizia del campo spiava perfino i sogni.
Voce narrante (Jean Négroni) de La Jetée (Chris Marker, 1962).
Etichette:
Chris Marker,
dacci un Taglio,
La Jetée,
mostri
domenica 14 settembre 2008
L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)
VI — GLI OCCHI DEL TEMPO
Apri gli occhi, Maxie, e dormi.
Il giornalista sportivo Mike Hagen (Gregory Peck) a Maxie Stultz (Mickey Shaughnessy), pugile suonatissimo e sua guardia del corpo ne La donna del destino (Vincente Minnelli, 1957).
Il giornalista sportivo Mike Hagen (Gregory Peck) a Maxie Stultz (Mickey Shaughnessy), pugile suonatissimo e sua guardia del corpo ne La donna del destino (Vincente Minnelli, 1957).
Oggi la soluzione sarà ricompensata con tre ventini. Se nessuno avrà trovato, mercoledì aggiungerò un secondo indizio. Ma da quel momento otterrai solo due ventini: e stavolta non scherzo.
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso l’avv. GODini e possono essere consultate qui. E vabbé, mo' ce lo sai che il gioco si svolge anche altrove (vacci, di tanto in tanto: chissà che quel che vai disperatamente cercando qui, non finisci per trovarlo lì).
AGGIORNAMENTO (Mercoledì 17 settembre): Kim e Jimmy ti suggeriscono un vertiginoso indizio. Ma hanno chiesto di essere pagati con un ventino. Se ora trovi la soluzione, ne restano solo due. Se continui a non trovare, forse venerdì allungherò la durata del filmato da riconoscere. E mi riprenderò un altro ventino.
NOTA BENE: Non venirmi a dire che la soluzione è Vertigo, però, eh? Altrimenti non lo avrei messo nelle etichette, e la posta sarebbe un quarto di ventino.
AGGIORNAMENTO (Venerdì 19 settembre): il filmato da riconoscere è stato allungato di qualche secondo. Non andare alla sostanza, guarda la forma. Vinci un ventino.
AGGIORNAMENTO (Sabato 20 settembre): io non volevo. È Piazzolla che ha insistito. Questo nuovo indizio comporta anche un cambiamento nell'ordine di successione dei filmati: a rigor di logica. Ma il film da riconoscere resta il secondo.
ATTENZIONE: La partita si è conclusa senza vincitore (né vinti: la graduatoria rimane quindi immutata). È una brutta notizia? Ce n'è anche una buona.
Ricordo una proiezione dell'Aurora di Murnau, presentata da Claude Chabrol. Prima dell'inizio del film Chabrol disse più o meno queste parole: "Sono solito non parlare di cinema con chi non ha mai visto L'aurora. Quindi stasera potremo chiacchierare gradevolmente, dato che fra un'ora e mezza tutti voi avrete visto L'aurora". E ora anche tu avrai visto La Jetée (Chris Marker, 1962) — cortometraggio di 28 mn, considerato da alcuni, tra cui William Gibson, il più gran film di fantascienza mai girato — in tre parti su youtube:
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Sì: come indicato nei titoli di testa, il film è un foto-romanzo. O no? Lo spezzone del quiz si trova all'ottavo minuto della seconda parte youtube del film. Se guardi attentamente, nella successione dei fotogrammi fissi qualcosa succede tra 8mn39s e 8m45s: lei apre gli occhi. Senza che la tua retina distingua la successione di fotogrammi. Something's moving. Un'emozione? Un evento? Non esageriamo: chiamamolo cinema (un po' nel senso in cui Carmelo Bene in Nostra Signora dei Turchi dice: "Al momento chiamiamola educazione").
Guardando il film hai capito il riferimento a Vertigo di Hitch, film-matrice di tutta l'opera di Marker, come lui stesso ha ripetuto fino all'abnegazione.
L'esercito delle 12 scimmie è il remake ufficiale della Jetée.
Un amico di Sacrofante Marche mi fa notare che le prime parole del film nominano Alitalia. È un caso, direi. Un ricordo, al massimo.
LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 21 SETTEMBRE E PERMETTERÀ AL VINCITORE DI AGGIUDICARSI DUE NOCCIOLINE. SE NESSUNO TROVERÀ LA SOLUZIONE PRIMA, MERCOLEDÌ INSERIRÒ UNO O DUE INDIZI, MA ALLORA MI MANGERÒ MEZZA NOCCIOLINA, ULULANDO NEL MIO ALTO CASTELLO ULULÌ.
Iscriviti a:
Post (Atom)