— Ti aspetto sabato al Circo Massimo.
— Mi sa che non posso. Conto comunque di rivederti a Filippi.
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lunedì 4 marzo 2024
sabato 20 marzo 2010
Interferencia secreta
PAROLE VENUTE DALLO SPAZIO
Che cos'è Interferencia secreta? È un nastro registrato illegalmente. Sono voci che parlano e trasmettono ordini e contrordini l'11 settembre del 1973. Voci che abbiamo sentito vagamente in qualche momento della nostra vita, ma alle quali non riusciamo a dare un volto, come se provenissero da immagini senza sostanza. Voci che sono echi di una paura sconnessa annidata in qualche punto del nostro corpo. Fantasmi immaginari. Una paura reale e, al tempo stesso, comune.
Alcuni ordini sono tassativi: si parla di uccidere immediatamente, si parla di arresti, si parla di bombardamenti. Gli uomini che parlano qualche volta scherzano: questo non ce li rende più vicini, al contrario, li inabissa, sono uomini che vengono fuori da fosse invisibili e impercettibili e con un linguaggio vagamente militare si assumono il compito di instaurare l'ordine. L'umorismo di cui fanno sfoggio è, malgrado tutto, familiare. Un umorismo che riconosciamo e non vorremmo riconoscere.
Chi parla potrebbe essere mio padre o mio nonno. Chi trasmette gli ordini potrebbe essere un mio vecchio compagno di scuola, quello prepotente o quello diligente, quello insignificante oppure quello che soltanto una volta ha partecipato ai nostri giochi. In queste voci familiari possiamo osservarci, di riflesso, come se ci vedessimo in uno specchio. Non è lo specchio di Stendhal, lo specchio che passeggia lungo la strada, ma potrebbe esserlo e per molti di coloro che ascoltano le voci lo sarà certamente in via definitiva.
All'inizio le voci sono indistinguibili. A poco a poco, però, ciascuna acquista una personalità, sebbene tutte condividano l'impronta della cilenità, ossia l'impronta lasciata da un'infanzia immersa nella nebbia e in qualcosa che in mancanza di una parola migliore chiameremo felicità. Le voci venute dallo spazio non solo ridisegnano l'isola infantile chiamata Cile: ci mostrano con la bacchetta del maestro la nostra realtà, ci chiedono di aprire gli occhi e anche le orecchie. Sono voci di uomini reali. Alcuni di loro, è evidente dal timbro, dalle esitazioni, sono spaventati e nervosi. Altri mantengono la compostezza con un sangue freddo invidiabile. Il nastro avanza e a poco a poco le voci si fanno sempre più familiari, come se fossero sempre state lì, a parlarci, a minacciarci. La similitudine è superflua. Infatti, sono sempre state lì. Sono gli uomini che ordinarono a un padre di sodomizzare il proprio figlio se non voleva che li uccidessero entrambi, sono i capetti che introdussero topi vivi nella vagina di una militante del MIR di ventidue anni cui davano della puttana.
L'apparenza, però, è quella di un gioco. Le voci si trascinano dalla nostra infanzia come numi tutelari decisamente buontemponi: se Dio non esiste, tutto è possibile, se la patria chiama, tutto si può fare. Alcune voci esitano. La maggior parte accetta, dubbiosa. La loro ingenuità, a volte, è immensa. Un ufficiale d'alto grado, in comunicazione diretta con un altro ufficiale d'alto grado, dice che da quel momento, data l'importanza di quel che deve trasmettergli, gli parlerà in inglese. Come se l'inglese fosse una lingua morta o come se nessuno, dall'altra parte, sapesse l'inglese.
Non c'è niente da fare: sono le voci della nostra infanzia. Voci cilene, come infiltrate in un film troppo grande per loro, voci che trasmettono un messaggio che loro stesse non capiscono del tutto. Un dialogo al di là della realtà, là dove il dialogo è impossibile. Eppure l'immagine finale, per quanti fatti straordinari accumuli, non sfugge a una banalità troppo familiare, ripetuta fino alla nausea. Tutti noi, in qualche momento della nostra vita, abbiamo conosciuto gli uomini che stanno parlando. Le voci, come in un immenso romanzo radiofonico a puntate, recitano per noi, ma soprattutto recitano per loro stessi. Pornografia, snuff movies. Finalmente hanno trovato il ruolo della loro vita. Alla fine i soldati hanno la loro guerra, la loro guerra più bella: di fronte a loro ci siamo noi, disarmati, ma a guardare e ad ascoltare.
Roberto Bolaño, Tra parentesi (trad. Maria Nicola), Milano 2009, pp. 88-90.
Alcuni ordini sono tassativi: si parla di uccidere immediatamente, si parla di arresti, si parla di bombardamenti. Gli uomini che parlano qualche volta scherzano: questo non ce li rende più vicini, al contrario, li inabissa, sono uomini che vengono fuori da fosse invisibili e impercettibili e con un linguaggio vagamente militare si assumono il compito di instaurare l'ordine. L'umorismo di cui fanno sfoggio è, malgrado tutto, familiare. Un umorismo che riconosciamo e non vorremmo riconoscere.
Chi parla potrebbe essere mio padre o mio nonno. Chi trasmette gli ordini potrebbe essere un mio vecchio compagno di scuola, quello prepotente o quello diligente, quello insignificante oppure quello che soltanto una volta ha partecipato ai nostri giochi. In queste voci familiari possiamo osservarci, di riflesso, come se ci vedessimo in uno specchio. Non è lo specchio di Stendhal, lo specchio che passeggia lungo la strada, ma potrebbe esserlo e per molti di coloro che ascoltano le voci lo sarà certamente in via definitiva.
All'inizio le voci sono indistinguibili. A poco a poco, però, ciascuna acquista una personalità, sebbene tutte condividano l'impronta della cilenità, ossia l'impronta lasciata da un'infanzia immersa nella nebbia e in qualcosa che in mancanza di una parola migliore chiameremo felicità. Le voci venute dallo spazio non solo ridisegnano l'isola infantile chiamata Cile: ci mostrano con la bacchetta del maestro la nostra realtà, ci chiedono di aprire gli occhi e anche le orecchie. Sono voci di uomini reali. Alcuni di loro, è evidente dal timbro, dalle esitazioni, sono spaventati e nervosi. Altri mantengono la compostezza con un sangue freddo invidiabile. Il nastro avanza e a poco a poco le voci si fanno sempre più familiari, come se fossero sempre state lì, a parlarci, a minacciarci. La similitudine è superflua. Infatti, sono sempre state lì. Sono gli uomini che ordinarono a un padre di sodomizzare il proprio figlio se non voleva che li uccidessero entrambi, sono i capetti che introdussero topi vivi nella vagina di una militante del MIR di ventidue anni cui davano della puttana.
L'apparenza, però, è quella di un gioco. Le voci si trascinano dalla nostra infanzia come numi tutelari decisamente buontemponi: se Dio non esiste, tutto è possibile, se la patria chiama, tutto si può fare. Alcune voci esitano. La maggior parte accetta, dubbiosa. La loro ingenuità, a volte, è immensa. Un ufficiale d'alto grado, in comunicazione diretta con un altro ufficiale d'alto grado, dice che da quel momento, data l'importanza di quel che deve trasmettergli, gli parlerà in inglese. Come se l'inglese fosse una lingua morta o come se nessuno, dall'altra parte, sapesse l'inglese.
Non c'è niente da fare: sono le voci della nostra infanzia. Voci cilene, come infiltrate in un film troppo grande per loro, voci che trasmettono un messaggio che loro stesse non capiscono del tutto. Un dialogo al di là della realtà, là dove il dialogo è impossibile. Eppure l'immagine finale, per quanti fatti straordinari accumuli, non sfugge a una banalità troppo familiare, ripetuta fino alla nausea. Tutti noi, in qualche momento della nostra vita, abbiamo conosciuto gli uomini che stanno parlando. Le voci, come in un immenso romanzo radiofonico a puntate, recitano per noi, ma soprattutto recitano per loro stessi. Pornografia, snuff movies. Finalmente hanno trovato il ruolo della loro vita. Alla fine i soldati hanno la loro guerra, la loro guerra più bella: di fronte a loro ci siamo noi, disarmati, ma a guardare e ad ascoltare.
Roberto Bolaño, Tra parentesi (trad. Maria Nicola), Milano 2009, pp. 88-90.
Dust.
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giovedì 26 giugno 2008
Saldi d'estate: Leggiti un Aleph e guardane tre!

Jorge Luis Borges, L’Aleph.
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