Visualizzazione post con etichetta Jean-Luc Godard. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Jean-Luc Godard. Mostra tutti i post

lunedì 3 luglio 2023

Stenshots

Cominciare bene.
«"Il cinema è uno sguardo che si sostituisce al nostro per offrirci un mondo accordato ai nostri desideri" diceva André Bazin. "Il disprezzo" è la storia di questo mondo.»
In realtà non fu Bazin a dirlo, ma Michel Mourlet.
Per cominciare bene, bisogna mentire.




martedì 13 settembre 2022

Non solo Aldrich

È un aspetto credo singolarissimo dell'opera di Quentin Tarantino di cui mi resi conto con Pulp Fiction (il senso di Reservoir Dogs mi sfuggì per anni, sciaguratamente, al cinema mi capita spesso). Nella citazione si tratta di mascherare il riferimento inafferrabile (ma il cineipotalamo può sempre coglierlo) con l'omaggio pop: pop discutibilmente sottovalutato, o a rischio d'oblio altrettanto ingiusto, o fossilizzato nel rispetto accademico. Tarantino riesuma e dà nuova vita (il cinema anima cadaveri, dà movimento a fotogrammi congelati, non ha mai fatto altro) a un cosmo che non ha nulla a che fare con un panico caos postmoderno: per chi vuol vederla c'è una gerarchia, una massima concentrazione prodotta e richiesta. C'è "ordine", "metodo".
Barry Lyndon dietro Mandingo, Rohmer oltre il grindhouse, Lubitsch sotto Castellari.
Godard lo definì: "un facchino".
Non è detto che sia un insulto, anche se per Godard lo era di sicuro (Godard insultava tutti, era il suo "ordine", era il suo "metodo").
Anche perché in fondo, cosa fa un facchino?

– Dans cette valise…
– … Il y a des surprises!




La (s)comparsa

JEAN-LUC GODARD, 3/12/1930 - 13/09/2022







domenica 6 giugno 2021

Stenshots





sabato 2 febbraio 2019

sabato 18 aprile 2015

Leggendo "La Carte et le territoire"

Quell'incrocio tra rue d'Assas e rue Vavin è un punto fermo della mia topografia anni Ottanta. A pochi metri (rue Vavin) si trovava il primo videoclub che frequentai, all'epoca ce n'erano pochissimi, una mezz'ora buona a piedi dal ciglio di Montparnasse, sul punto di diventare "Duroc": esisterà ancora, quel no man's land chiamato "Duroc"? e quel cinema storico, chiaramente una sala di teatro ottocentesco, dove rividi bambino, a colori, tutti i Jerry Lewis adorati pochi mesi prima a Roma sulla tv in bianco e nero? (Perché già allora non mi facevano più ridere? perché a quarant'anni, mostrandoli a mia figlia, mi fecero ridere di nuovo? E mi fecero ridere come una volta? O diversamente?) Come si chiamava? Le Ranelagh? Ma no, quello era dall'altra parte della città, all'epoca la padroneggiavo tutta, quell'immensa metropoli; poi qualche anno fa scoprii che non era affatto immensa; era piccolissima. È vero, te lo garantisco, Parigi è molto piccola, tranne il quindicesimo arrondissement che ha dimensioni variabili e infernali, ma quando feci questa scoperta, quando scoprii che il quindicesimo era infinitamente più grande di Parigi, non padroneggiavo più neppure il mio spazzolino da denti. Anche Le Dingue du palace era a colori, in quel cinema ("Les Ursulines"? macché). No, non è vero, The Bellboy l'ho scoperto con mia figlia pochi anni fa senza poterglielo spiegare, io ai bambini posso insegnare il cinema, non la lineare A.
Avrò avuto undici anni, al massimo dodici. È in quel negozietto che recuperai tutto Romero, Non aprite quella porta, The Toxic Avenger e tutto il peggiore orrore trash che puoi immaginare (ma anche Rohmer, Godard, La furia umana di Walsh, Buñuel, qualsiasi cosa mi capitasse a tiro). Mia madre mi lasciava prendere tutto, solo un film era verboten: Cane di paglia di Peckinpah. Ovviamente lo presi alla prima occasione buona, mentre lei era in viaggio.
A rue d'Assas invece c'era quel palazzo demente in mattoni rossi davanti al quale si siede il protagonista del romanzo di Houellebecq. Pochi anni dopo ci andai con Bohdan Paczowski, voleva fotografarla, non ricordo più perché. Ricordo (ma forse sbaglio) che era notte. Voleva fotografarla di notte? E perché?






martedì 27 dicembre 2011

BB

“Ogni mattina per guadagnarmi la pagnotta mi reco al mercato delle menzogne e pieno di speranze mi metto a fianco dei venditori.”


“ho registrato questa frase di Brecht
e ho chiesto a Fritz Lang
di dirla a Brigitte Bardot
e ho chiamato il film
il disprezzo”

mercoledì 22 dicembre 2010

Verso il mare

TOMMASO PADOA-SCHIOPPA, 23/07/1940 - 18/12/2010

venerdì 21 agosto 2009

Figli di Marx e

Questo è whisky, sulle bottiglie c'è scritto così, ma sembra quasi-cola.
Don Rafael Acosta (Fernando Rey) nel Fascino discreto della borghesia (Luis Buñuel, 1972).



lunedì 16 marzo 2009

Giromondo

La curiosa attrazione che prese il nome di Hale’s Tours, se davvero venne presentata [all’Esposizione Universale di Saint Louis, del 1904] nei modi previsti dal suo inventore, certo William Keefe, doveva consistere in un vagone ferroviario privo di una delle fiancate, che girava dentro un tunnel circolare la cui parete veniva a formare uno schermo continuo, senza inizio né fine. Sullo schermo venivano proiettate immagini prese da un treno in movimento.
Noël Burch, Il lucernario dell’infinito (trad. di Paola Cristalli, Il Castoro 2001), p. 40.

Inutile spiegare perché ieri sera ho ripensato a questa scena, che collocherei senza dubbio tra le dieci preferite del mio pantheon personale, se solo avessi un pantheon personale.
Poi mi sono detto che la scena poteva servire a illustrare sia i vent'anni dalla nascita di internet, sia i dieci dalla morte di Stanley Kubrick, inutile spiegare perché.



Ma poi lo so che potrebbe servire a illustrare qualsiasi cosa, in fondo.

Se un’immagine, guardata a parte, esprime nettamente qualcosa, se comporta un’interpretazione, essa non si trasformerà entrando in contatto con altre immagini; le altre immagini non avranno alcun potere su di essa, ed essa non avrà alcun potere sulle altre immagini. Né azione, né reazione: essa è definitiva e inutilizzabile, nel sistema del cinematografo.
Jean-Luc Godard, Histoire(s) du cinéma, 2b — Fatale beauté (1997).

mercoledì 14 gennaio 2009

giovedì 27 novembre 2008

Le parole e le cose

Sei Shonagon, damigella d’onore della principessa Sadako all’inizio dell’XI secolo, aveva la mania delle liste: lista delle “cose eleganti”, delle “cose desolanti”, o ancora delle “cose che non vale la pena fare”. Un giorno ebbe l’idea di scrivere la lista delle “cose che fanno battere il cuore”.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).

Una volta, alla metà del XIX secolo, tutte le cose più preziose al mondo venivano raccolte nel Palazzo di Cristallo a Londra: il radiotelegrafo di Siemens, i coltelli di Solingen, le stufe di ferro britanniche, divani con portacatino in cartone, cannoni Krupp (allora non in commercio). Questi erano gli antenati di tutti i prodotti moderni. Nel 1937 l’edificio andò distrutto dalle fiamme, esattamente quattro anni dopo l’incendio del Reichstag. Da allora le cose non hanno più un parlamento.
Il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983).

… notoriamente, non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale. La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo. "Il mondo" scrive David Hume, "è forse l'abbozzo rudimentale di un dio infantile che lo abbandonò a metà dell'opera, vergognandosi della sua esecuzione deficiente; è fattura di un dio subalterno, del quale gli dèi superiori si burlano; è la confusa produzione di una divinità decrepita, tenuta in disparte, che è già morta" (Dialogues Concerning Natural Religion, V, 1779). Si può andare più lontano; si può sospettare che non vi sia universo nel senso organico, unificatore, che ha questa ambiziosa parola. Se c'è, bisogna immaginare il suo fine; bisogna immaginare la parole, le definizioni, le etimologie, le sinonimie, del segreto dizionario di Dio.
Jorge Luis Borges, "L'idioma analitico di John Wilkins", in Altre inquisizioni (1952), trad. it. di Francesco Tentori Montalto.

giovedì 23 ottobre 2008

When you're smiling

i celebri e pallidi sorrisi
di Leonardo e Vermeer
dicono prima io
io
e dopo il mondo
Jean-Luc Godard, Histoire(s) du cinéma, 3a — La Monnaie de l’absolu (1998).

giovedì 9 ottobre 2008

On the wrong side of the road

Da soli si può andare in giro; in due si va sempre da qualche parte.
Madeleine (Kim Novak) a Scottie (James Stewart) ne La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock.

BOY DRIVES GIRL



GIRL DRIVES BOY


lunedì 6 ottobre 2008

Panni sporchi

— The film is like a battleground.
— I film sono come una battaglia.
— Yes. Love.
— L’amore…
— Hate.
— L’odio…
— Action.
— L’azione…
— Violence.
— La violenza…
— Death.
— E la morte.
— In one word: emotions.
— In una sola parola, l’emozione.
Il regista americano Samuel Fuller e la sua interprete nel Bandito delle undici (Pierrot le fou, 1965) di Jean-Luc Godard.

Nei film polizieschi, spesso e malvolentieri, il poliziotto ha una vita privata. Una moglie, di solito. Quella del tenente Colombo fortunatamente non si vede mai. Ma è una piacevole eccezione.
Tra sparatorie, indagini e minacce della gerarchia (molto tempo fa: "se non risolvi questo caso entro 24 ore passerai il resto della tua carriera sommerso dalle scartoffie"; poi era alla moda la bolgia stradale, e quindi: "finirai a regolare il traffico"; ora non so più quale sia il trito inferno del distintivo), il riposo del guerriero si svolge tra le quattro pareti domestiche. Credo che l'intento sia di dimostrare che l'eroe del film è un uomo come noi, con i suoi crucci e cruccetti coniugali. Identificazione al ribasso, suppongo anche nella speranza di interessare il pubblico femminile, secondo le indagini di mercato.
Solitamente si litiga, a casa del poliziotto: non mi porti mai in vacanza, al ristorante, alla sfilata di costumi brasiliani, frigna lei. Mentre io mi annoio mortalmente, e aspetto solo che ricominci a crepitare il Badabing! (espressione usata da Sonny Corleone nel Padrino: e mentre l'indice si avvicina alla tempia del fratello Michael, il pollice imita il cane della pistola: è per questo che il locale di Tony Soprano si chiama "Bada Bing", vabbé, chiusa la parentesi filologica, torniamo alle crisi di coppia). La noia diventa imbarazzo quando lei, puntuale come un orologio svizzero: "Sapresti dire quand’è stata l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore?!". Nella tastiera dello sceneggiatore, dev'essere una frase preimpostata, la funzione "F4" che in Boris prescrive sistematicamente agli attori degli "Occhi del cuore" un'espressione "basita".
Un regista come Michael Mann ha passato l'intera carriera a cercare di giustificare queste indigeste tranches de vie, noncurante dei moniti hitchcockiani ("Certains films sont des tranches de vie. Les miens sont des tranches de gâteau" diceva sir Alfred a Truffe). Credo che abbia sempre fallito: Heat dura tre ore solo a causa di questa presunzione psicologica. Un'ora di meno e sarebbe stato molto meglio.


Ho cercato nella memoria, e mi son venuti in mente solo due polizieschi dove l'operazione "family life" funziona. Ce ne saranno certamente altri, ma sono sicuro che il numero resti alquanto ridotto.
In ambedue i film stiamo parlando di sequenze (due per ciascuno) di durata ridotta, ma la cui intensità resta a mio avviso ineguagliata.
Il primo è Il grande caldo (The Big Heat, 1953), forse il capolavoro americano di Fritz Lang. Quando Lang fuggì dalla Germania nazista per andare in California (con tappa a Parigi), la prima cosa che scoprì fu che gli americani non sapevano cosa fosse un superuomo, a parte quello che si infila la calzamaglia azzurra nella cabina telefonica. Per loro l'eroe cinematografico era l'uomo qualunque, magari un benzinaio di nome Joe Wilson, che mastica noccioline e ha la faccia bonaria di Spencer Tracy (mio padre, calabrese, lo chiamava "spingi e trase", ma questa è un'altra storia). Insomma, non avevano letto Nietzsche. Ma non per questo passavano il tempo a stirare le camicie: avevano inventato Hollywood, mica balle. Lang era abituato a esser trattato come un imperatore: super-produzioni piene di mefistofelici Mabuse e Sigfridi alle prese con "temi forti" e architetture colossali, tra passati leggendari e dubbie Weltanschauung dell'avvenire. A Los Angeles invece aveva a disposizione i budget dei b-movie e l'obbligo contrattuale di non star lì a menarla. In altri termini, doveva smettere di essere un genio, e cominciare a essere intelligente. È un'impresa difficilissima, e non solo al cinema. Lui ci riuscì (fin dal suo primo film americano, Furia, 1936, appunto con Spencer Tracy-Joe Wilson). E ci riuscì meglio di altri indigeni, proprio perché per Lang la nozione di "uomo medio" era tutt'altro che naturale. John Doe non si dava in sé: andava osservato, pensato e ricostruito sullo schermo, come un'idea.
Il sergente Dave Bannion è il John Doe del Grande caldo. Ha il volto poco espressivo ma simpatico di Glenn Ford, una moglie, una figlia e un caso da risolvere (il suicidio di un collega). Detta così, sembra una vita disordinata, ma Bannion fa il funzionario, e fino a un certo punto del film riesce a svolgere correttamente il proprio mestiere, ossia a far sì che le cose funzionino.


Lei dice "We're just used to you"; pochi secondi dopo lui sentenzia: "The perfect marriage". La vita piccoloborghese è fatta di passioni abitudinarie.

Almeno finché dura: il secondo film è stato girato più di trent'anni dopo. Pochi ricordano che, per quasi un decennio, Michael Cimino fu il più gran regista della sua generazione. Il cacciatore è il miglior film sul Vietnam perché racconta quel che il cinema non aveva mai raccontato prima, almeno che io sappia: cosa fa una guerra (quella guerra) non nella mente degli essere umani in generale, ma al proletariato, e più particolarmente all'operaio in fonderia (d'origine russa, oltretutto, e in piena guerra fredda). Cimino era un regista geniale; ma era anche e soprattutto un uomo intelligente. Dopo Il cacciatore, girò I cancelli del cielo (se vuoi fartene un'idea, dopo vatti pure a vedere quattro sequenze): e la sua carriera fu stroncata. L'America è l'unico Paese dove puoi dire e fare quel che vuoi, almeno così pare. Persino sputare sulla bandiera a stelle e strisce: puoi fare anche quello. Ma stai sicuro che non te lo perdoneranno mai.
L'anno del dragone (Year of the Dragon, 1985) è un film diseguale: Cimino non lavorava da cinque anni, dopo il fiasco catastrofico dei Cancelli del cielo. Ma senza quel film, senza quell'assalto al ristorante distrutto a raffiche di mitra da due sicari di Chinatown, il nuovo action-movie di Hong Kong non sarebbe mai nato. Senza L'anno del dragone, niente The Killer (e il vero, grosso e grasso capolavoro di John Woo, Bullet in the Head, è uno sfacciato plagio del Cacciatore).
Nel cinema poliziesco, le scene di famiglia sono una pizza mortale. Nell'Anno del dragone ce ne sono due: e sono la cosa più bella di tutto il film.


Certo, è una scena pesante, ben diversa dal tono pacifico e conciliante di Lang: lì Bannion legge il giornale, poi si alza e aiuta ad apparecchiare la tavola, in un appartamento accogliente e aperto (cucina americana); qui il capitano Stanley White attraversa un pezzo d'America in cui il melting pot è già esploso in ghetti etnici, tra il suo quartiere polacco e la brulicante Chinatown che vuole "ripulire". La classe operaia ha attraversato il Vietnam, e ora "The World is Yours" di Scarface è stato sostituito dal cartello "No Dumping" con cui si apre la scena che vedrai fra poco. Il tinello cosy dei Bannion, perfettamente organizzato dall'architetto di formazione Lang come spazio ideale (ma senza darlo troppo a vedere, altrimenti i produttori si incazzano) qui diventa una cucina sporchissima, con al centro una lavatrice rotta. (Forse è un simbolo: un giorno lessi da qualche parte che i sociologi moderni tendono a considerare che una coppia è "stabile" a partire dall'acquisto della lavatrice.) Se i Bannion bevono dallo stesso bicchiere di birra e alludono ad altri "scambi", Stanley White beve dalla lattina, solo, e la fraseologia erotica è ridotta alla crudezza dell'orologio biologico, tra un "hai perso il tiro al bersaglio" e il rimprovero di non "scopare nei giorni giusti del mese". Senza figli, la coppia White vive sotto la spada di Damocle dell'ovulazione: in crisi d'astenia, ancor più che d'astinenza, muore letteralmente per carenza di vitamine. "I dolori sono beni personali. Chi ha troppi beni diventa un oggetto" diceva il narratore ne La forza dei sentimenti (Alexander Kluge, 1983). Non si può dire che i personaggi di Cimino siano ricchi, anzi. I beni sono ridotti all'essenziale. Ma persino un'esistenza ridotta ai generi di prima necessità non ti salva dalla rivolta degli oggetti. E così, alla fine della scena, lo spazio domestico si chiude sulla solitudine di Stanley, imprigionato in una cucina che, letteralmente, esplode.
Occhio alle analogie, però: in ambedue i casi, l'ossessione della verosimiglianza sociale, dalla precisione del golfino di Bannion e del grembiule della moglie ai pantaloni sformati e all'assenza di trucco di Connie White. Infine, è essenziale il riferimento alle condizioni lavorative ed economiche delle due coppie, dal costo di una bistecca ai turni di notte dell'infermiera. Se il poliziotto vive in una splendida villa la cui parete è stata sostituita da una vetrata con vista sull'oceano, non funziona. Son cose che Michael Mann non capirà mai. Ne capirà altre, ma se vuoi riuscire simili scene, sei obbligato ad accettare questo dubbio postulato: la realtà esiste.

La sequenza di Cimino si chiude con un bacio, altrimenti non ci sarebbe un seguito. E invece un seguito c'è sempre: come dire che al peggio non c'è mai fine. Infatti, torniamo a Lang. Seconda scena.



Jean-Patrick Manchette ha scritto quattro righe, su quel che hai appena visto. Forse non ricordava con precisione il film, ma siccome dove passa Manchette non cresce più l'erba, non ho altro da aggiungere:

Stavolta, invece di ipnotizzarvi come al solito sul momento della sigaretta o su quello della caffettiera bollente, guardate piuttosto come pazzi il modo in cui Fritz Lang inquadra durante i cinquanta secondi che precedono l’esplosione dell’automobile, la scena in cui Glenn Ford e sua moglie dicono buonanotte alla figlia, quella piccola correzione d’inquadratura, sembra che serva ad avvicinarsi a Glenn Ford, non sappiamo che serve ad avvicinarsi alla finestra oscura, è come se Lang ci dicesse che avremmo potuto prevedere, ma che non prevediamo mai. È terribile.
Jean-Patrick Manchette, “Charlie hebdo”, n° 483, 13 febbraio 1980 (ora in Les Yeux de la momie, Rivages / Ecrits noirs, Paris 1997, p. 157).


Cimino, adesso (attento, a scanso di equivoci è roba tosta):



Come avrai notato, stavolta le similitudini superano le differenze. Questo non significa obbligatoriamente che Cimino abbia voluto rendere un omaggio deliberato a Lang. Penso piuttosto che quando due registi intelligenti si trovano ad affrontare la stessa, difficile scena, è facile che giungano alla stessa conclusione: a un certo punto, l'automobile deve saltare per aria.
Non sto dicendo che in un film poliziesco la vita privata deve essere evocata solo se e in quanto essa serve l'azione. Quello è l'abc, e lo rispettano anche sceneggiatori e registi pezzenti, è il canovaccio-base del genere: "un poliziotto buono diventa cattivo perché gli hanno ammazzato la moglie, il caro collega o il canarino". No, qui il punto è un altro. Si tratta di far scoppiare la violenza esterna come conseguenza naturale e inevitabile della violenza interna. Se proprio vuoi, chiamalo fato: nel primo caso, l'intollerabile felicità in carne e ossa della famiglia modello, la passione della normalità; nel secondo, una rottura di tutto: cose, coppia, uomo, donna.
A proposito di donna. Avere a disposizione un'attrice capace di dire "Te ne vuoi andare adesso, prima che mi metta a piangere? Non voglio che accada. Non davanti a te. Ho il mio orgoglio" e subito dopo di scoppiare in lacrime come un vitello, be', un po' aiuta. Aiuta anche a sgozzarla, sempre come un vitello, un secondo dopo. Douglas Sirk diceva che il cinema è "lacrime e velocità". Come dire: lacrime e sangue. A motion picture / emotion picture, per tornare a Fuller e a Godard.

domenica 28 settembre 2008

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VIII — BLACKJACK SPLIT SCREEN

It seems to me I've heard that song before
It's from an old familiar score
I know it well, that melody

It's funny how a theme
Recalls a favorite dream
A dream that brought you so close to me

I know each word, because I've heard that song before
The lyrics said: "for evermore"
For evermore's a memory

Please have them play it again
And (Then) I'll remember just when
I heard that lovely song before
Parole della canzone I've Heard that Song before, scritte da Sammy Cahn nel 1942.

Stavolta è un file audio. Musica di commento, originale. Si trova in un film. E viene ripresa (sempre come musica di commento) in un altro film. Due punti, uno per ciascun film riconosciuto. Quindi stavolta si può vincere anche un solo punto. Il film originale dovrebbe essere abbastanza facile da riconoscere. Il secondo, forse, un po' meno (ma conoscendo il primo, google può aiutare, ne sono certo).
P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Martellone e possono essere consultate qui. E che te lo dico a fare che il gioco si svolge anche al cimitero?

SENTI E GIOCA

ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA VENERDÌ 3 OTTOBRE ALLE 00.22.
LA VINCITRICE È LA GODARDIANA DESAPARECIDA. LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 5 OTTOBRE. IL VINCITORE OTTERRÀ TRE FIORINI; MA SE MERCOLEDÌ NESSUNO AVRÀ TROVATO, LA SEQUENZA SARÀ ALLUNGATA DI QUALCHE SECONDO E IL PREMIO RIDOTTO A DUE FIORINI PER ALGERNON. NELL'ATTESA FREMENTE DELLE FRAMES, SALI SULL'ALFA, ROMEO: GODITI IL MARE DI CAPRI E IL DESERTO DEL NEVADA: PARE CHE IN QUEI DUE MINUTI PESCI E DE NIRO RIESCANO A INFILARE 21 VOLTE LA PAROLA "FUCK".





L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 5 dobloni.
andrea: 2 dobloni.
bianca: 2 dobloni
.
desaparecida: 2 dobloni.
adlimina: 1 doblone.

giovedì 22 maggio 2008

Bistecche 2

— Emile, stasera preferisci carne o pesce?
— Pesce.
— E se avessi detto carne, cosa avresti preferito?
— Mah, non so… Vitello.
— E se invece del vitello avessi scelto manzo, avresti preferito una bistecca o un arrosto?
— Una bistecca.
— E se avessi detto arrosto, ti sarebbe piaciuto cotto o al sangue?
— Molto al sangue.
— Ebbene caro, sei sfortunato perché il mio arrosto di manzo è un po’ troppo cotto.
Angela (Anna Karina) serve ad Emile Récamier (Jean-Claude Brialy) un pezzo di carne carbonizzata ne La donna è donna (Jean-Luc Godard, 1961).



giovedì 8 maggio 2008

Baratri

ecco quel che chiedeva
David O. Selznick
voglio del Rio e Tyrone Power
in una storia d'amore
che si svolga nei mari del sud
la trama non m'importa
basta che si intitoli
birds of paradise
e che alla fine del Rio
si butti in un vulcano
Jean-Luc Godard, Histoire(s) du cinéma, 3a — La Monnaie de l'absolu (1998).