Adesso è mezzogiorno, e siamo di fronte a Matera. I Sassi, visti da qui, con le loro architetture spontanee, merlettano la vista del canyon che li nasconde. La città nuova segna il limite del cielo.
Siamo seduti lungo un tavolo, accosciati per terra. Davanti a noi, grosse miche di pane, qualche cesto con la frutta: sono le prime pere di san Giovanni e le prime albicocche arrivate da Bari.
Noi apostoli non siamo tutti. Su un lato, Ferruccio Nuzzo che fa Matteo, poi Giovannino, il nipote di Elsa, Enrique che fa Cristo. C'è Pietro (il nome evangelico ha sostituito per tutti il nome proprio). C'è Agamben, e ci sono io. Agamben è innamorato: si dilegua facilmente, è distratto (aspetta sempre che G. gli telefoni, o magari che arrivi all'improvviso).
Alfonso, Alfonso Gatto, gli occhi celesti come il cielo delle sei della mattina al mare, è paziente più di tutti — lui, sant'Andrea. Gli chiedo, appena posso: «Andrea, dimmi "Sembianza"». E lui attacca: «Forse la luna è sorta / per dare la sembianza / d'una timida porta / alla tua cheta stanza…». Pier Paolo raccoglie quello che diciamo — sente sempre, qualsiasi cosa faccia, — e dice, pensando all'ermetismo: "È finito il tempo dell'analogica". E Alfonso, con eroica, dignitosa pazienza: "Non per tutti".
Siamo dunque intorno al tavolo. Giuda si preoccupa della battuta che dovrà dire. Gliel'hanno scritta male su un foglietto: s'impappina, mi guarda ridendo.
Per questo pasto in casa di Maria di Betania, che è Natalia Ginzburg, ci sono ospiti nuovi. C'è Gabriele Baldini, che ha ovviamente accompagnato Natalia, e che sulla tunica del costume, nelle pause, porta, appesa al collo, una macchina fotografica. Gabriele è un fotografo bravissimo e ora scatta qualche posa in gara con Ferruccio in attesa del ciak.
«Pronti!»
Da una porticina costruita fra due cumuli di pietra, entra Natalia, un manto in testa e una brocca di creta fra le mani. Entra spedita.
«Nooo!» Un grido ferito, di raccapriccio.
Natalia non si era tolta le sue scarpe, e le portava, visibilissime, sotto il costume. Bisogna ricominciare. E Gabriele ride di Natalia.
Enzo Siciliano, Campo de' Fiori.
Siamo seduti lungo un tavolo, accosciati per terra. Davanti a noi, grosse miche di pane, qualche cesto con la frutta: sono le prime pere di san Giovanni e le prime albicocche arrivate da Bari.
Noi apostoli non siamo tutti. Su un lato, Ferruccio Nuzzo che fa Matteo, poi Giovannino, il nipote di Elsa, Enrique che fa Cristo. C'è Pietro (il nome evangelico ha sostituito per tutti il nome proprio). C'è Agamben, e ci sono io. Agamben è innamorato: si dilegua facilmente, è distratto (aspetta sempre che G. gli telefoni, o magari che arrivi all'improvviso).
Alfonso, Alfonso Gatto, gli occhi celesti come il cielo delle sei della mattina al mare, è paziente più di tutti — lui, sant'Andrea. Gli chiedo, appena posso: «Andrea, dimmi "Sembianza"». E lui attacca: «Forse la luna è sorta / per dare la sembianza / d'una timida porta / alla tua cheta stanza…». Pier Paolo raccoglie quello che diciamo — sente sempre, qualsiasi cosa faccia, — e dice, pensando all'ermetismo: "È finito il tempo dell'analogica". E Alfonso, con eroica, dignitosa pazienza: "Non per tutti".
Siamo dunque intorno al tavolo. Giuda si preoccupa della battuta che dovrà dire. Gliel'hanno scritta male su un foglietto: s'impappina, mi guarda ridendo.
Per questo pasto in casa di Maria di Betania, che è Natalia Ginzburg, ci sono ospiti nuovi. C'è Gabriele Baldini, che ha ovviamente accompagnato Natalia, e che sulla tunica del costume, nelle pause, porta, appesa al collo, una macchina fotografica. Gabriele è un fotografo bravissimo e ora scatta qualche posa in gara con Ferruccio in attesa del ciak.
«Pronti!»
Da una porticina costruita fra due cumuli di pietra, entra Natalia, un manto in testa e una brocca di creta fra le mani. Entra spedita.
«Nooo!» Un grido ferito, di raccapriccio.
Natalia non si era tolta le sue scarpe, e le portava, visibilissime, sotto il costume. Bisogna ricominciare. E Gabriele ride di Natalia.
Enzo Siciliano, Campo de' Fiori.