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mercoledì 9 luglio 2025

venerdì 24 aprile 2015

Un'avventura della libertà

Cercando (e trovando, vedi sotto) in rete Sobibór, 14 octobre 1943, 16 heures di Claude Lanzmann, che in Italia non è mai uscito, mi son ricordato di questo testo. Me lo aveva chiesto un quotidiano, per il 25 aprile di 10 anni fa.

Anzitutto il volto di un uomo, sulla sessantina. Poi, fuori campo, una voce chiede: “Signor Lerner, aveva già ucciso, prima?”. E Yehuda Lerner risponde: “No, non avevo mai ucciso nessuno”. La cinepresa fissa il suo volto. Che sorride. Se mai c’è qualcosa di vero nel luogo comune di quel che si dice un “sorriso enigmatico”, questa verità deve trovarsi nelle pieghe del sorriso di Lerner. Il film è Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heures. È un’unica, lunga testimonianza raccolta da Claude Lanzmann. Sobibor era un campo di sterminio. Vi finirono 250.000 ebrei. Un giorno, guidati dall’ufficiale ebreo russo Alexander Petchersky, i prigionieri si ribellarono. Lerner era appena un ragazzino: con un’accetta, tagliò in due il cranio di un nazista. “Lei sta impallidendo, signor Lerner.” “È normale impallidire, quando si ricordano cose simili.” La Resistenza passa attraverso “l’esercizio effettivo della violenza”, che secondo Lanzmann “richiede due precondizioni indissociabili: una disposizione psicologica e una conoscenza tecnica”.
    Nell’attesa (della disposizione psicologica, della conoscenza tecnica, dell’accetta), si può cominciare a resistere da soli. Anzitutto sopravvivendo per cinque anni interi, quando si è un pianista ebreo naufrago nella Varsavia occupata; nutrendosi di quel che capita. Obbligando la mente a non dimenticare la manciata di note di un notturno di Chopin, tra le scariche di mitra e le bombe, nel Pianista di Polanski. Si può resistere burocraticamente: a Schindler è bastato spostare da una lista all’altra mille nomi per salvare altrettante vite. È grazie a lui che Spielberg ha potuto farci vedere mezzo secolo dopo i veri sopravvissuti. Si può resistere tacendo, nel Silenzio del mare di Melville, come fanno un padre e sua figlia, lasciando l’ufficiale tedesco intrappolarsi nelle contraddizioni del suo monologo, e suggerendogli in extremis la rivolta nelle parole impronunciate di Anatole France: “È bello che un soldato disobbedisca a ordini criminali”.
    C’è poi la resistenza organizzata, partigiana, armata: quella ad esempio di Paisà di Rossellini; del post 8 settembre, da Tutti a casa di Comencini al Partigiano Johnny adattato da Guido Chiesa. E il suo ricordo, crepuscolare e spietato, nello splendido L’armata degli eroi di Melville: titolo italiano assurdo, per l’originale L’Armée des ombres. O ne I nostri anni di Daniele Gaglianone. Si resiste fermando Il treno di Frankenheimer, per salvare Monet e Cézanne. O cercando di non perdere L’ultimo metrò di Truffaut. “Essere o non essere”: anche ridendo, per il Lubitsch di Vogliamo vivere, “that is the question”: e il monologo di Amleto, infatti, contiene messaggi in codice per la Resistenza.
    C’è infine la rivolta di massa, popolare. Le città resistenti, da Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy alla Praga ricostruita a Hollywood in Anche i boia muoiono di Fritz Lang (e Brecht); dalla fantasticata e borgesiana Tara de La strategia del ragno di Bertolucci a Roma, città aperta, che fu insieme film su e di Resistenza. Girato in condizioni avventurose nelle strade della città, l’opera di Rossellini è anche un gesto di autocritica linguistica (il regista aveva realizzato opere di propaganda), le cui conseguenze, nella storia del cinema, sono ancora visibili.
    Lerner: “Sono entrato nella foresta e a questo punto credo che l’emozione per tutto quel che mi era successo, la fatica, la notte… le gambe non mi reggevano più, e sono crollato. Sono caduto e mi sono addormentato”. E in Sobibor Lanzmann si concede un commento personale, che mai si era permesso nelle nove ore del suo Shoah: “Fermiamoci qui. È troppo bello quando dice che è crollato nella foresta. Il seguito è un’avventura della libertà”.

lunedì 27 dicembre 2010

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XLVII — IL GRANDE FREDDO

Tre monache a chi riconosce il film da cui è estratto questo fotogramma.
AGGIORNAMENTO (giovedì 30 dicembre): Seconda immagine. Due monache per tenerti al caldo.
AGGIORNAMENTO (sabato 1 gennaio): Al ballo di Capodanno hai perso la scarpetta, Cenerentolo. Fortuna che resta una monaca per scaldarti il piedino.

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ATTENZIONE: La partita si è conclusa senza vincitori. Il film da riconoscere era Per favore, non mordermi sul collo (Dance of the Vampires aka The Fearless Vampire Killers, 1967) di Roman Polanski.
Per la seconda volta, bianca si aggiudica il premio dell'anno, confermando la sua supremazia con uno scarto superiore al 2008.
La prima sfida del 2011 si terrà lunedì 3 gennaio.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA DEFINITIVA 2010

bianca: 17 antitetaniche.

arco: 9 antitetaniche.
nessundorma: 9 antitetaniche.
Strelnik:
9 antitetaniche.
oscar amalfitano: 8 antitetaniche.
Janie Jones: 3 antitetaniche.
dario: 1 antitetanica.
La petite cousine: 1
antitetanica.

venerdì 26 marzo 2010

FilmmakerOnDemand ovvero Destini incrociati

Chiuso in una cella svizzera, un ebreo polacco a rischio di estradizione USA finisce di plasmare il suo ultimo film da un argilloso romanzo su uno scribacchino inglese confinato in una villa-bunker statunitense e alle prese con la riscrittura dell'inconsistente autobiografia di un Tony Blair su cui pende una minaccia di estradizione UK. Le inverosimiglianze lacerano la trama, ma sullo schermo l'illogico sipario strappato appare ricucito dall'alchemico ordito della magia, e allora non ha più importanza sapere se sia Roman Polanski a sognare il suo personaggio senza nome oppure il contrario (o ancora se dagli abissi un fantasma nascosto dietro la nona porta del terzo piano stia scrivendo il destino di entrambi). Quel che conta è l’incubo stesso, la sua indecifrabile certezza.


giovedì 8 ottobre 2009

Les Gauloises bleues (Libertango)

[…] Vana opera è quella
di chi pratica l'arte del futuro
e attende al fuoco e all'are! Se dai segni
trae nemiche le sorti, spiace a quelli
che ne hanno gli auspici. Se al contrario
vinto dalla pietà non dice il vero,
fa ingiustizia agli dèi.
Tiresia a Creonte in Euripide, Le Fenicie (trad. di C. Diano).

Vedo disastri. Vedo catastrofi. Peggio: vedo avvocati!
Cassandra (Danielle Ferland) nella Dea dell’amore (Mighty Aphrodite, 1995) di Woody Allen.

Alla fine d'agosto, come capita a ciascuno di noi, la morte raggiunse Charles Foster Kane e mi si smagnetizzò il Bancomat. Telefonai alla mia banca italiana per chiedere, dato che vivo in un altro paese dell'UE, di spedirmi una nuova carta per posta. La richiesta parve esosa al bancario, particolarmente irritato: era chiaro che l'avevo smagnetizzata apposta, la carta. Alla fine desistetti, e mi limitai a comunicargli i miei dati.
O almeno ci provai. Un'impresa disperata, vista la furia del bancario.
E poi ormai ci ho fatto il callo: ho un nome difficile da capire (per non parlare del cognome).
— Mi chiamo Altiero…
— …
— … Vuole… che le faccia lo spelling…?
(tono piccato) No, guardi che ce la faccio benissimo da solo, signor Alfiero!
— … con la "t", veramente…
(seccatissimo) Alfieto!

Fleshbech.
Un mese prima.
Ho un amico con il quale non ho nulla in comune. È solo che si chiama Gualtiero, e allora ci siamo detti che la quasi omonimia bastava, se non per sigillare l'inizio di una grande amicizia (anni fa scrisse: "Come si fa sulla Terra a pronunciare la battuta 'Ricordo tutto di Parigi, i tedeschi erano in grigio, tu eri in blu'? Come si fa in un solo film ad avere due personaggi che si chiamano Ferrari e Renault? A Casablanca si può"), almeno per passare qualche giorno in vacanza assieme in una villa in campagna, dove ero ospite. (No, la casa non appartiene a Jack Nicholson.) Lo invitai. Commise l'errore di accettare.
In vacanza io mi sveglio nevroticamente tardi. Gualtiero si sveglia nevroticamente presto, sempre, non solo in vacanza. Si sveglia all'alba, per vederla, ma poi guarda sempre a ovest. Così, all'ora in cui le piante puzzano di rugiada, incontra un giardiniere che è solito bazzicare da quelle parti. E che gli chiede, insospettito dalla presenza di uno sconosciuto che volge le spalle al sole che sorge: "Mi scusi, ma dov'è finito il signor Gualtiero"?
Gualtiero, la fronte imperlata di sudore freddo, mi racconta tutto al mio primo caffè, verso le undici e mezza. Dice che non ha osato, che non ha avuto il coraggio, che le labbra gli tremavano mentre si tratteneva dal dire: 'Veramente… il signor Gualtiero… sarei io'.
Dice di aver pensato ad Alain Delon, in quel film di Joseph Losey: "Forse è meglio così, meglio tacere. Pensa, bastava che lui, la prima volta che glielo chiedono, avesse risposto: 'No, vi sbagliate, non sono il Monsieur Klein che cercate, mi avete confuso con un altro', e si sarebbe salvato".

Sempre così, in vacanza, d'estate: o si parla di calciomercato o si legge un'intervista a Rupert Everett sul supplemento di un qualsiasi quotidiano (è chiaro che Everett ha venduto una ventina d'interviste, tutte uguali, tutte insieme, a vari supplementi italiani: ne smaltiscono una all'anno, più o meno alla fine di luglio). Oppure si parla di universi paralleli, di casi nella vita, di destini incrociati. Io da anni vedo film senza guardarli e dimenticandoli immediatamente; Gualtiero non va al cinema dal 1996, ma si ricorda tutti i film che ha visto prima di quella data. O comunque si ricorda i film memorabili. Ci sono dei registi, magari non sono geniali "en el sentido nocturno y más alemán de esta mala palabra", come disse un tale a proposito di Quarto potere, ma sono dei registi intelligenti. Sono quelli che quando fanno un film lo girano in modo tale che esso produca memoria. Forse perché la loro vita o la loro opera o ambedue hanno proprio a che fare con la memoria, in qualche modo. Non lo so. E comunque non è questo il punto. Il punto è che subito dopo aver ricordato Mr. Klein, Gualtiero aggiunge un altro esempio: "… o come l'inquilino del terzo piano. Pensaci, bastava che in quella scena avesse detto al tabaccaio: 'No, grazie mille, ma io fumo solo Gauloises' e il film finiva lì".

In questo tipo di storie, la figura prediletta è quella della metafora spaziale: bivi, incroci, ecc. Un tale, sempre lui, ci ha scritto pure un racconto in cui si immaginava un parco tutto così, fatto solo di biforcazioni, non ricordo come si chiamasse, la prossima volta che vedo il giardiniere glielo chiedo, magari lui lo sa.

A dire il vero, io una domanda ce l'avrei, Mr. Polanski. Giuro che non ha nulla a che fare con la sua predilezione per le fanciulle in fiore. Pensando piuttosto alla sua opera, che spesso, retrospettivamente, è sembrata a molti una strana e amara profezia della sua stessa vita: se quest'impressione ha qualche oscura fondatezza, come mai, il 27 settembre scorso, invece di fumarsi una Marlboro, si è imbarcato per Zurigo?

lunedì 28 settembre 2009

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XXVII — LA PERPETUA

Un centrino se riconosci il film da cui è tratto questo fotogramma. Nuovi indizi giovedì e sabato.
AGGIORNAMENTO (giovedì 1° ottobre): Nuovo fotogramma. Se il titolo non fosse già preso lo avrei intitolato No se culpe a nadie.
AGGIORNAMENTO (sabato 3 ottobre): Nuovo fotogramma, ovvero Se questa è una donna che visse due volte.

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P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso il notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui.

ATTENZIONE: la partita si è conclusa sabato 3 ottobre alle 14.49. arcomanno si piazza in testa alla graduatoria.
Il film da riconoscere era L'inquilino del terzo piano (Le Locataire, 1976) di Roman Polanski. Pecché? Pecché me so' scassat'!

Oh.
La prossima sfida si terrà lunedì 5 ottobre.

Magara.
A seconda del riporto di Schifani.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
arcomanno: 15 centrini.
afasol: 14 centrini.
bianca: 7 centrini.
maxeramax: 3 centrini.
YagaBaba: 3 centrini.
gegio: 3 centrini.
Andrea: 2
centrini.