Visualizzazione post con etichetta Habemus papam. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Habemus papam. Mostra tutti i post

domenica 8 luglio 2018

Carlo Vanzina nello specchio congelato dello schermo

La morte di Carlo Vanzina è una notizia che interessa l'Italia e lì si esaurisce: né per vari motivi si possono immaginare recuperi in futuro da parte di critica e pubblico internazionali: come avvenne con Risi, Germi, Bava, Margheriti, Pietrangeli; o con Sordi e Totò. Per vari motivi, non solo legati alla "qualità", questo non avverrà: ricordo un festival dedicato al nostro cinema pecoreccio vari anni fa alla Cinémathèque-bis di République, che forse non a caso venne chiusa poco dopo.
È quindi una questione nazionale e sociologica, non proprio materie sulle quali mi sento di poter pontificare. Ciò detto, questo vale per quasi tutto il cinema italiano da più di quarant'anni. Non ho nulla da rimproverargli, è solo che non ci penso mai. Non penso mai a Virzì, o a Sorrentino, o a Garrone che pure non mi dispiace, o a Moretti (se non in chiave di memorialistica pseudoantropologica, pseudosociologica) che dopo Habemus papam grazie ma mai più, o a Guadagnino di cui non ho mai visto e forse mai vedrò una mera polaroid. Sono proprio del tutto estranei alla mia contingenza, da troppi anni. È come se si occupassero di neuropsichiatria, di botanica, di algebra, che sembra una battuta sarcastica nei confronti di Moretti, ma un po' è vero e comunque non è mai riuscito fino in fondo a far qualcosa per non meritarsela.
Il problema è che la maggior parte di questi registi confezionavano e confezionano prodotti esclusivamente industriali, riproducibili e infatti riprodotti pigramente da loro stessi: Sorrentino per esempio ha creduto fin dall'inizio che l'autore cinematografico deve proiettare sullo schermo i propri fantasmi privati e da questo fellinismo d'accatto non si schioderà mai più, non si interrogherà mai sull'interesse di quella proiezione, né verrà attraversato dal dubbio che i suoi fantasmi non sono privati ma solo un'espressione, a monte e a valle, del Kitsch.
Un simile discorso vale se si paragona un Vacanze di Natale a Ferie d'agosto. L'unica differenza risiede nel pubblico di riferimento, borghesia medio-bassa nel primo caso, medio-alta nel secondo. Ambedue i prodotti mirano a meccanismi di identificazione dei "loro" spettatori; il film è tutto conchiuso in quel processo. Non c'è nient'altro, né nei Vanzina, né nei Virzì. In ambedue i casi il presente non viene né fotografato, né documentato, né archiviato, come invece si legge ovunque: il cinema non è nato per farlo e non lo ha mai fatto. Non foss'altro che per i tempi tecnici: rispetto all'ideazione arriva in sala con minimo un anno di ritardo. Quel presente è già passato.
Fotografa quindi, documenta, archivia, i suoi stessi spettatori compiaciuti, identificati, identificabili, e riconoscenti. Questo è ripeto da quarant'anni il vero panorama di una cinematografia nazionale che fu tra le più belle del mondo e di cui fuori dall'Italia non importa più nulla a nessuno.
Possiamo quindi – ma solo tra noi – notare che la morte di Carlo Vanzina vede, grosso modo e ancora una volta, contrapporsi un tipo di consumatori, appartenenti alla borghesia medio-alta, a un altro tipo di consumatori, appartenenti alla borghesia medio-bassa. Il cinema non c'entra nulla. La questione è politica: in questo come in vari altri casi non c'è più alcun punto di contatto tra le due classi. Un tempo quel punto di contatto c'era, e il fatto che non ci sia più è il principale problema politico che dovremmo porci.

C'è chi è più responsabile di questa situazione, chi meno. C'è poi chi non ne ha colpa alcuna. Carlo Vanzina non mi piaceva molto, ma secondo me era tra questi ultimi.

lunedì 5 settembre 2011

Habemus papam: la mia recensione!


Sfidando accidia e contingenze varie, ieri notte son riuscito a trovare due ore per vederlo.
Mi astengo dal giudicare la prestazione di Piccoli: la sua presenza si riduce a due brevi comparsate, che poi sono quelle che han visto tutti nel trailer: all'inizio con Stuhr e alla fine con Moretti psicoanalista.
L'ho visto in uno stato d'intorpidimento, ma almeno ho capito che è su Nanni Moretti che gira un film, a volte rivolgendosi direttamente al pubblico. E ci sono almeno tre scene che non dimenticherò.
La prima è quando Moretti torna su Ecce Bombo e dice che in una scena del film c'era un personaggio "invisibile", nel senso che era fuori campo ma non avrebbe dovuto esserlo. Mi scuso se sono impreciso, ma non ricordo bene, non ho il film sotto mano e quindi non posso verificare. Forse più che "invisibile" dice "controcampo". Perché aggiunge che quella persona era il controcampo "anche simbolico" (?) di quella scena. Come a dire il suo segreto significato? O il suo significato oscuro? Fatto sta che al montaggio era stato lasciato "invisibile". Perché "non era compatibile con quel genere di film".
Più tardi si gira una scena, e dato che Moretti fa anche l'attore, dietro la mdp c'è una, tipo l'assistente, che prima di dire "motore" ascolta le direttive di Moretti prendendo (o consultando) appunti. (O forse ha in mano la sceneggiatura, non è chiaro ma non importa.) Quindi lui si mette a correre, scavalca un muretto, scende delle ripide gradinate di pietra, trotterellando e rischiando quasi di investire una coppia di turisti. E lì si capisce che il tutto è in candid camera, perché è chiaro che quei turisti non sono comparse. Infatti mi son persino preoccupato per loro e anche un po' indignato (esagero: diciamo che ho provato un lieve senso di disagio), pensando ai pericoli che il cinema fa irresponsabilmente correre alla realtà fisica. Insomma, mi sono preoccupato per quella coppietta, per l'incolumità di creature comunque e sempre inermi nonché ignare e quasi sicuramente incolpevoli, la cui messa a repentaglio non trova giustificazione alcuna, mai, neppure in nome dell'arte. (Solo ora, mentre scrivo, vedo Gassman, una vecchia, e una piscina: però in bianco e nero.) Ma lì arriva il doppio colpo di genio di Moretti. Prima l'omaggio ai primordi del cinema, al burlesque: lui che arrivato alla fine delle scale si spatascia sul marmo; quindi, la poesia: l'intontito volto post-keatoniano che si alza e la mdp, partendo da e seguendo lo sguardo sobriamente sofferto, a inquadrare in panoramica-soggettiva, prima il biondo Tevere, e poi, come un'epifania, Castel Sant'Angelo.
La terza sequenza è memorabile per motivi strettamente personali (nevrotici). Ero con la mente altrove, e improvvisamente mi sono accorto che una voce femminile (non ricordo neppure le immagini, per dire) cantava qualcosa, forse una ninna nanna incomprensibile. Fonemi in libertà, ecolalie: non ci capivo più nulla. Pensando che il suono fosse troppo basso ho agguantato il telecomando, e appena prima di premere il pulsante + del volume il sangue mi si è raggelato nelle vene e mi sono guardato attorno. La sala in cui mi trovavo faceva pensare al cinema itinerante dello Spirito dell'alveare: un'aula scolastica, o piuttosto un seminterrato, seggiole di vimini portate da casa, sei-sette spettatori al massimo, neppure una donna, tutti con volti scavati dalle rughe, bruciati dal sole, terrosi, appunto spagnoli (pastori abruzzesi? no, questo l'ho pensato dopo). E se col telecomando avessi sbagliato, cambiato canale, spento lo schermo? O anche solo modificato alcunché nell'immagine o nel suono, senza neppure chiedere il permesso? Gli altri se la sarebbero presa? E come? Cosa mi sarebbe successo? Manco a farlo apposta, mi accorsi che mentre me ne stavo impalato, esitante, col telecomando in mano, uno spettatore si voltava: e mi fissava dritto negli occhi, truce. (E qui, più che Victor Erice, per darti un'idea dovrei citarti i "ganados" di Resident Evil 4, ma in quel momento confesso di non averci pensato.) Credo di aver poggiato tremante il telecomando. O forse ho sfiorato un tasto e sullo schermo è apparso per un attimo, verdognolo, onta e terrore imperituri, il "menù". A quel punto, inutile dire che il senso della canzone era diventato l'ultimo dei miei crucci. Ho colto solo una parola (ammesso che non me la sia sognata): "cevàpcici". A quel punto mi sono accorto che la ragazza alla mia destra – quindi in sala c'è una ragazza, in fin dei conti / la mia vicina di seggiola / la conosco, eccome / sono andato al cinema con lei – aveva gli occhi gonfi. Piangeva. Diceva: "Quella canzone. Mia nonna me la cantava tutte le sere, per farmi addormentare".
Faccio fatica ad ammetterlo, ma è chiaro che Habemus papam mi è piaciuto. Anche se volessi mentire, la prova del nove mi inchioderebbe. Son più di dieci anni che appena partono i titoli di coda scappo letteralmente dalla sala (faccio un'eccezione per i cartoni e i film con supereroi, perché ci sono gli outtakes o gli spin o i twist). Stavolta non mi sono schiodato dalla sedia. E Moretti mi ha ripagato. Proprio alla fine dei titoli di coda ho potuto leggere: "Il personaggio invisibile di Ecce Bombo era Massimo Troisi".