giovedì 31 marzo 2011

Senza ironia

Prevedo che l'uomo si rassegnerà a imprese ogni giorno più atroci; presto non vi saranno più che guerrieri e banditi; dò loro questo consiglio: l'esecutore di un'impresa atroce immagini d'averla già compiuta, s'imponga un futuro che sia irrevocabile come il passato.
Jorge Luis Borges, Finzioni ("Il giardino dei sentieri che si biforcano"), Einaudi, Torino 1955, p. 82.

Qualche nota in margine a questo post.

Sul sito del "Nouvel observateur", 29 marzo sera, un breve articolo sull'esito dell'incontro Sarkozy-Cameron colpisce la mia attenzione. Firmato da Vincent Jauvert, in un capoverso entra leggermente in collisione con la linea del settimanale francese, che ho già esposto sommariamente. Dice:

- Il y est affirmé que l'intervention militaire a permis de sauver des 'centaines de milliers de personnes d'une catastrophe humanitaire annoncée'. D'où vient ce chiffre très important? Mystère.

Sì, lo so. Nel link che ho messo sopra questo capoverso non lo trovi. Era il primo punto "strano" della dichiarazione franco-britannica, secondo Jauvert. Dopo poche ore è sparito.
(Ieri mattina, da commentatore, gli ho chiesto gentilmente spiegazioni. Non so proprio cosa mi ha preso, tanto più che i commenti del nouvelobs sono un mix di spam e preoccupante spazioazzurro. Per il momento non ho avuto risposta.)

***

Quand'è che ho cominciato a dubitare di quel che leggevo sui giornali (soprattutto di centrosinistra, se non nettamente a sinistra, come "il manifesto") e vedevo in tv? Quando vidi le fosse scavate nella sabbia, davanti al Mediterraneo? Forse sì, non ricordo. Ricordo invece la reazione vergognosa che ebbi di fronte all'editoriale di Vittorio Zucconi, l'indomani, su "la Repubblica". Vittorio Zucconi, per molti giorni, firmò gli editoriali sulla Libia. Mi chiedevo perché, con quali credenziali. (E dire che a me Zucconi sta pure simpatico.) E ricordo ancora di non esser riuscito a trattenermi dal notare la strana costruzione dell'articolo, una "littérature du ressassement" (ma da "roman de gare", con un'ideuzza ripetuta ad libitum pur essendo già mediocre in partenza), l'assurdità di un editoriale che girava freneticamente in tondo, come il trito criceto nell'annosa ruota, per arenarsi esausto su un'immagine grottesca:

Se non ci fosse la maledetta spiaggia, soltanto grigia e malinconicamente fuori stagione e fuori tempo, come nel finale dei film di Fellini. Quale governo rispettabile oserà mai più farsi fotografare mentre ossequia e bacia il macellaio di Tripoli, ci si chiedeva ieri? Quale turista, per quanto disperato, oserà mai affondare la paletta in quella sabbia.

Era il 24 febbraio. La paletta mi faceva ridere. Sardonicamente, ma ho riso. Mi sentivo peggio di Jünger a Parigi, questa è la verità. Da un canto. Ma va detto a mia misera difesa che dall'altro canto, forse, qualcosa non mi tornava.
Il giorno dopo (25 febbraio) leggo, sempre su "Repubblica", un articolo di Vincenzo Nigro, l'inviato di "Repubblica" a Tripoli.
Addio paletta di piccoli Burke & Hare, addio maledetta spiaggia tripolitanriminese, addio turista disperato: "F for Fake". Ma nella chiusa tutto viene miracolosamente riesumato: un capolavoro di prestidigitazione che avrebbe ricevuto il plauso di Orson Welles.

Da Bab Al-Aziziya o dal luogo in cui si ripara, Gheddafi comunque sta provando a dare gli ultimi ordini. Carri armati sono stati visti in marcia verso Misurata, a Zawia si è combattuto, dicono che bombe e missili dell'esercito avrebbero colpito i ribelli, 40 morti e anche una moschea distrutta. Da qui, dalla "calma" di Tripoli è difficile, impossibile verificare, sapere, conoscere i dettagli: in albergo confermano che verso Zawia l'esercito, o i mercenari che siano, si preparano a difendere la strada verso Tripoli. Non c'è nessun modo per confermare i racconti di chi ha visto miliziani entrare negli ospedali a uccidere i rivoltosi feriti e ricoverati. Nessuna conferma nemmeno sulla nazionalità dei mercenari (italiani? Sembra impossibile).
Un libico, arrivando con noi in aereo, guardava le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime. "Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli, vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie in secondo piano". Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono tante notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri.
Tante delle cose di cui accusano Gheddafi oggi sono clamorosamente false. Ma nei 40 anni del suo regno migliaia di ribelli nelle fosse comuni ci sono finiti per davvero: presto qualcuno potrebbe andare a scavare quelle vere. A rovistare nel passato di un regime che questa sera, a Tripoli, ormai sembra senza futuro.

Vertigini temporali, ancora una volta, spiagge dai sentieri che si biforcano. Storpiando l'amico Hayao Yamaneko, "se le immagini del presente sono truccate, usa le immagini vere del passato". Tanto la DeLorean dell'informazione funziona anche invertendo la freccia del tempo, come insegna Martin Amis: back to the past.

26 febbraio. Nigro comincia a essere davvero a disagio. Questo articolo lo lessi sul cartaceo, non avevo accesso alla rete.

I racconti che da Tripoli rimbalzano su Reuters e sulle tivù parlano di decine di morti. È inutile, è impossibile chiedere di andare a controllare, verificare negli ospedali. Una rivoluzione che crolla è pericolosa e bugiarda, una rivoluzione che arriva non è attendibile, e di sicuro usa tutta la disinformazione, le bugie che può inventarsi per rovesciare il regime. Cattive informazioni nella notizia dell' aeroporto militare sotto il controllo dei ribelli, così come bocconi avvelenati sulle fosse comuni in riva al mare che invece sono il triste cimitero di Tayura. […] Troppo tardi il regime si è accorto di alcuni errori, tra cui quello degli ultimi giorni: aver provato a tener fuori i grandi media stranieri, le odiate Al Jazeera e Al Arabiya. [Nigro non pensa o omette di ricordare che Al Jazeera è di proprietà del Qatar, che pare abbia qualche interesse a veder cadere Gheddafi] Dovevano evitare piazza Tahrir, ma è stato un autogol. Dall' estero, parlando al telefono con i libici, inventando e ingigantendo quello che è successo per davvero, i network arabi hanno accelerato la decomposizione del regime. Non è vero che i cacciabombardieri abbiano colpito indiscriminatamente i quartieri di Fashlun, Siahia, Gerganesh: abbiamo visto, ci siamo fatti raccontare le case, le strade, e non ci sono i segni dei bombardamenti. Gli aerei hanno lavorato sulla strada di Misurata contro colonne di ribelli che adesso sembrano di nuovo in marcia verso la capitale.

In questo contesto l'ultima frase è un'ipotesi assolutamente verosimile, ma senza riscontri. Nigro non è sulla strada di Misurata e visto quel che ha appena scritto sorprende l'assenza di fonti. Quel "sembrano" spostato più avanti, tuttavia, mi suona come un'ammissione-lapsus. Ma comunque si noti la differenza che Nigro suggerisce tra i bombardamenti aerei indiscriminati contro i civili (falsi, all'epoca) e quelli contro persone armate (verosimili, ripeto).
Purtroppo sul sito di "Repubblica" l'articolo di Nigro (la cui importanza è testimoniata dal richiamo sulla prima pagina del cartaceo) è indicizzato malissimo. Forse quel giorno non apparve sul sito o più probabilmente ci restò pochissimo, non posso saperlo. Fatto sta che se copi qualsiasi passo e lo incolli virgolettandolo su google ottieni solo quattro risultati (o nove, dipende dal passo citato). E uno di essi rimanda al sito di "Repubblica". Il che è quantomeno strano, se si considera che la rete è un ricettacolo di mammolette pacifiste, complottisti balbuzienti e dietrologi disperatamente alla ricerca del segreto che tramuti in oro la quinta acqua del bollito.
Ed è un peccato perché tra tutti gli articoli di Nigro che ho letto, questo mi sembrava il più documentato, il più interessante, il più onesto.

Il 18 marzo torna Vittorio Zucconi. E chiude definitivamente la questione.

In Libia, come in Egitto, era la voce di una gioventù cresciuta nel sogno di Internet, non nella aspirazione al gilet al tritolo, a chiedere aiuto. A dimostrare di essere pronta a pagare con il proprio sangue la liberazione, mentre qualcuno osava ironizzare sull´esistenza di fosse comuni o distinguere fra sepolture individuali o di massa.

Niente ironia: lo ordina Zucconi. Strano divieto, lanciato da un giornalista che ho spesso apprezzato per la capacità di destreggiarsi nell'arte dell'ironia, che puntella una carriera di articoli sul nulla siderale (buffi costumi locali statunitensi, piccoli cruccetti del nerd, simpatica vita da nonno).
Niente ironia, siamo d'accordo. Ma le notizie? "Non capisco, non si sente!…" Il rumore del Mediterraneo è assordante. In ogni caso la richiesta è maleducata, fortuna che ormai la fa solo "qualcuno": come si permette, come "osa" chiedermelo? Io sono una persona seria, un professionista, per i poveracci che vanno a pesca di notizie c'è Paparazzo.
Visto il tono preferisco ubbidire. Ed è per questo che non ho intitolato il post "Porca paletta".


(1) Lascia sbalorditi, sul sito del quotidiano (diretto proprio da Zucconi) l'assenza assoluta di articoli di esperti. Per settimane la geopolitica si è ridotta a un link che rimandava al sito di "Limes", dello stesso gruppo editoriale. Pochi giorni dopo l'intervento militare il link è stato tolto dalla pagina. Si aspetta ancora il suo ritorno. Forse quel che vi si trova non conforta la linea del giornale, espressa in chiari termini in questa riunione di redazione.

lunedì 28 marzo 2011

Tonsils. Positively tonsils.

Sento or ora la presentatrice del canale francese all-news i>TELE che introduce un reportage sull'avanzata verso Tripoli in questi termini: "Les rebelles ont repris les villes d'Ajdabiya et de Ras Lanouf appuyés par les bombardements de la coalition…". Lo dice senza batter ciglio. L'avanzata militare resta naturalmente la notizia principale e al resto viene assegnato lo strapuntino della proposizione subordinata, di modo che lo spettatore francese possa godersi tranquillamente le immagini dei combattenti, che scorrono davanti alle telecamere sventolando le bandierine della République e ringraziando Sarkozy, senza interrogarsi circa un intervento che non ha più assolutamente nulla a che fare con la legalità.
Se non col senno di poi, stampata in faccia quella comica espressione di sorpresa che gli inglesi chiamano double take e di cui Edward Everett Horton fu maestro indiscusso.

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

X — … AND MIND THE GAP

Un cavallo a chi riconosce il titolo del film da cui è estratto questo fotogramma.


ATTENZIONE: La partita si è conclusa lunedì 28 marzo alle 19.38. arco ha riconosciuto Il bacio dell'assassino (Killer's Kiss) del confidenziale Stanley Kubrick. Vince un cavallo, anche se invece di giocare a scacchi farebbe meglio a linkare il tumblr sul suo blog (o a comprarsi un nuovo pc).
La prossima sfida si terrà lunedì 4 aprile.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 3 cavalli.
Strelnik: 3 cavalli.
oscar amalfitano: 2 cavalli.
suibhne: 2 cavalli.
arco: 1 cavallo.

sabato 26 marzo 2011

e se mi' nonna ciaveva le rote era un T-55 580 hp con motore diesel V-55

Laurent Joffrin è il direttore del "Nouvel Observateur", settimanale francese considerato vicino alla sinistra repubblicana. È stato tra i più ferventi sostenitori di un intervento in Libia, spingendosi ad appoggiare l'odiato Sarkozy persino quando questi minacciò di bombardare Gheddafi e le truppe lealiste da solo, qualora non si fosse riuscito a ottenere uno straccio di autorizzazione multilaterale.
Il suo editoriale di ieri riproponeva il solito nastro. Mentre scorreva placido, tuttavia, l'hardwar(e) Joffrin si è lasciato sfuggire una frase che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta:

Ceux qui réprouvent l'intervention aérienne en Libye doivent se souvenir que, sans elle, les soldats du colonel Kadhafi auraient pris sans coup férir Benghazi, capitale provisoire des insurgés, et seraient aujourd'hui occupés à réprimer sans pitié ceux qui ont eu l'affront de mettre en cause la dictature d'un pouvoir ubuesque.

Una nuova dimensione spaziotemporale, in altre parole.
Oltre la storia fatta con i se, oltre l'ucronia, oltre la fantapolitica, oltre qualsiasi forma di "Minority (o preventive) report".
Qui c'è un balzo evolutivo.
Ora addirittura ci si ricorda di un futuro parallelo.
Devo ricordarmi di quel che non accadrà domani.
Non è difficile, in fondo. Basta equipaggiarsi: nuovi modi e tempi verbali (indicativo condizionato, participio anch'io, strafuturo remoto, passato ritornante, secondo lo schema lasciato intravedere dagli antesignani Pomì e Pummarò), una fialetta di pillole doverosamente bipartisan azzurre e rosse e passa la paura.
Lo sapevate? Lo sapevate che il deserto del reale è in Libia? Benvenuti.


venerdì 25 marzo 2011

La carte routière


Le film de Buster Keaton ne donnait cette image que de façon fugitive ; il ne donnait que son installation, non son état ou sa durée.
C'est donc ici un tout autre champ et une sorte de compensation du scénario (et de cette perte d'image qu'est la possibilité narrative) dont la suite nous est donnée. C'est fantasmatiquement la durée saisie par un corps immobile ; une telle durée ne peut se representer, elle se résout à la production de quelques attributs géants du corps. Ainsi la carte routière n'est plus faite pour dessiner (pointiller) un territoire, des trajets, une échelle qui ne représenteront pas cette anatomie invisible. C'est pourtant ce qui dissimule ce personnage qui devrait le guider… Cette lecture est absurde, elle est sollicitée, elle interprète ? elle n'est pourtant que l'image, elle n'est, de plus, que la solitude de cette image.

Que s'est-il passé ? l'isolement et la destination de cette image — nul n'eût jamais songé (ni réussi) à photographier aussi malicieusement un parent ou un ami — sont une espèce de produit : il a fallu qu'un préalable de mouvements ou d'actions soit encore sensible en elle, que tout un complot d'aventures s'y devine déjà pour que nous la percevions comme un isolement momentané et comme cette suspension de signification dans laquelle notre lecture peut ici rôder et s'affoler dans la composition de ses éléments essentiels. Tout le sens et la force motrice du film disparus ne nous laissent ici (et nous accordent déjà) que la possibilité d'y contempler du destin. Celui-ci n'est pas narratif, et tout juste pouvons-nous soupçonner qu'il l'ait été ; il est physique. Que s'est-il passé ? il reste pour nous ce personnage pourvu d'un poids et d'une surface de papier. C'est donc l'assurance qu'il est lisible, qu'il est caché, que rien n'est écrit sur lui, qu'il est donc indéchiffrable. C'est, avant même, la certitude que cela est un jeu, que ce poids de papier n'est pas destiné à durer mais que nous seuls pourrions lire la carte dans laquelle il s'est collé comme un insecte. Un personnage a été englouti par ce planisphère, l'Amérique dessine vaguement un sexe à ce corps plaqué à du papier tue-mouches.
Jean Louis Schefer, L'Homme ordinaire du cinéma, Paris 1997 (prima ed. 1980), pp. 66-7. (Traduzione eroica di Michele Canosa, Quodlibet, Macerata 2006, ma dannazione non riesco proprio a ritrovare il libro nel caos domestico.)

mercoledì 23 marzo 2011

La marseillaise

Lyrics:

Nos partenaires
la population
d'ores et déjà
d'ores et déjà
nos avions
des civils désarmés.

Dès hier
l'avertissement suivant
les populations civiles
nos pays
tous les participants au sommet.

Se libérer de la servitude
ces révolutions
une immense espérance
les valeurs de la démocratie et des droits de l'homme.

Ces peuples arabes ont besoin
c'est notre devoir
choisir elle-même son destin
nous avons le devoir
son appel angoissé.

Au nom de la conscience universelle.

Sur mandat du conseil de sécurité de l'ONU
et notamment le partenaire arabe
a perdu toute légitimité
de choisir lui-même son destin.

Sans délai et sans réserve
la porte de la diplomatie.

Je le dis avec solennité
devant ses responsabilités
c'est une décision grave
aux côtés de ses partenaires arabes
son rôle devant l'Histoire.


martedì 22 marzo 2011

Coso

DESTIN. — C'est au moment même où, l'Histoire témoignant une fois de plus de sa liberté, les peuples colonisés commencent à démentir la fatalité de leur condition, que le vocabulaire bourgeois fait le plus grand usage du mot Destin. Comme l'honneur, le destin est un mana où l'on collecte pudiquement les déterminismes les plus sinistres de la colonisation. Le Destin, c'est pour la bourgeoisie, le truc ou le machin de l'Histoire.

Naturellement, le Destin n'existe que sous une forme liée. Ce n'est pas la conquête militaire qui a soumis l'Algérie à la France, c'est une conjonction opérée par la Providence qui a uni deux destins. La liaison est déclarée indissoluble dans le temps même où elle se dissout avec un éclat qui ne peut être caché.
Phraséologie : "Nous entendons, quant à nous, donner aux peuples dont le destin est lié au nôtre, une indépendance vraie dans l'association volontaire." (M. Pinay à l'ONU.)
[…]
GUERRE. — Le but est de nier la chose. On dispose pour cela de deux moyens : ou bien la nommer le moins possible (procédé le plus fréquent) ; ou bien lui donner le sens de son propre contraire (procédé plus retors, qui est à la base de presque toutes les mystifications du langage bourgeois). Guerre est alors employé dans le sens de paix et pacification dans le sens de guerre. Phraséologie: "La guerre n'empêche pas les mesures de pacification." (Général de Monsabert.) Entendez que la paix (officielle) n'empêche heureusement pas la guerre (réelle).
MISSION. — C'est le troisième mot mana. On peut y déposer tout ce qu'on veut : les écoles, l'électricité, le Coca-Cola, les opérations de police, les ratissages, les condamnations à mort, les camps de concentration, la liberté, la civilisation et la "présence" française.
Phraséologie: "Vous savez pourtant que la France a, en Afrique, une mission qu'elle est seule à pouvoir remplir." (M. Pinay à l'ONU.)
POLITIQUE. — La politique se voit assigner un domaine restreint. Il y a d'une part la France et d'autre part la politique. Les affaires d'Afrique du Nord, lorsqu'elles concernent la France, ne sont pas du domaine de la politique. Lorsque les choses deviennent graves, feignons de quitter la Politique pour la Nation. Pour les gens de droite, la Politique, c'est la Gauche : eux, c'est la France.
Phraséologie : "Vouloir défendre la communauté française et les vertus de la France, ce n'est pas faire de la politique." (Général Tricon-Dunois.)
Dans un sens contraire et accolé au mot conscience (politique de la conscience), le mot politique devient euphémique ; il signifie alors: sens pratique des réalités spirituelles, goût de la nuance qui permet à un chrétien de partir tranquillement "pacifier" l'Afrique.
Phraséologie : "... Refuser a priori le service dans une armée à destination africaine pour être sûr de ne pas se trouver dans une situation semblable (contredire un ordre inhumain), ce tolstoïsme abstrait ne se confond pas avec la politique de la conscience, parce qu'il n'est à aucun degré une politique." (Editorial dominicain de La Vie intellectuelle.)
Roland Barthes, Mythologies ["Grammaire africaine"], 1957, ora in Roland Barthes, Œuvres complètes, Paris , 1993, p. 648.

***

On a pu lire dans l’un des premiers numéros de l’Express quotidien, une profession de foi critique (anonyme), qui était un superbe morceau de rhétorique balancée. L’idée en était que la critique ne doit être "ni un jeu de salon, ni un service municipal" ; entendez qu’elle ne doit être ni réactionnaire, ni communiste, ni gratuite, ni politique.
Il s’agit là d’une mécanique de la double exclusion qui relève en grande partie de cette rage numérique que nous avons déjà rencontrée plusieurs fois, et que j’ai cru pouvoir définir en gros comme un trait petit-bourgeois. On fait le compte des méthodes avec une balance, on en charge les plateaux, à volonté, de façon à pouvoir apparaître soi-même comme un arbitre impondérable doué d’une spiritualité idéale, et par là même juste, comme le fléau qui juge la pesée.
Les tares nécessaires à cette opération de comptabilité sont formées par la moralité des termes employés. Selon un procédé terroriste (n’échappe pas qui veut au terrorisme), on juge en même temps que l’on nomme, et le mot, lesté d’une culpabilité préalable, vient tout naturellement peser dans l’un des plateaux de la balance. Par exemple, on opposera la culture aux idéologies. La culture est un bien noble, universel, situé hors des partis pris sociaux : la culture ne pèse pas. Les idéologies sont, elles, des inventions partisanes : donc, à la balance ! On les renvoie dos à dos sous l’œil sévère de la culture (sans s’imaginer que la culture est tout de même, en fin de compte, une idéologie). Tout se passe comme s’il y avait d’un côté des mots lourds, des mots tarés (idéologie, catéchisme, militant), chargés d’alimenter le jeu infamant de la balance ; et de l’autre côté des mots légers, purs, immatériels, nobles par droit divin, sublimes au point d’échapper à la basse loi des nombres (aventure, passion, grandeur, vertu, honneur), des mots situés au-dessus de la triste computation des mensonges ; les seconds sont chargés de faire la morale aux premiers : d’un côté des mots criminels et de l’autre des mots justiciers. Bien entendu, cette belle morale du Tiers-Parti aboutit sûrement à une nouvelle dichotomie, tout aussi simpliste que celle qu’on voulait dénoncer au nom même de la complexité. C’est vrai, il se peut que notre monde soit alterné, mais soyez sur que c’est une scission sans Tribunal : pas de salut pour les Juges, eux aussi sont bel et bien embarqués.
Ibid. ["La critique ni-ni"], pp. 651-2.


lunedì 21 marzo 2011

Vita privata











L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

IX — POTUS

Tre ritratti autografati di Nancy Reagan ("Oh, Nancy's pretty good") se riconosci il film da cui ho tratto questo fotogramma. Nuove immagini giovedì e sabato, ma ogni volta donerò una foto di Nancy in beneficenza.
AGGIORNAMENTO (giovedì 24 marzo): Ritratto di Bunga Bunga dei fratelli Alinari. E Due foto di Nancy in palio.
AGGIORNAMENTO (sabato 26 marzo): Anche le infermiere ucraine hanno i loro hobby inconfessabili. Una foto autografata di Nancy per il solutore dell'enigma.




ATTENZIONE: La partita si è conclusa senza vincitori. Il titolo da riconoscere era I tre amigos (¡Three Amigos!, 1986) di John Landis, uno dei film più sottovalutati della storia del cinema. La prima foto era il singing bush, che canta mezzo repertorio USA in due minuti con la voce di Randy Newman. La seconda il tableau vivant immortalato dall'infame El Guapo (anche un bambino avrebbe riconosciuto Jefe che impugna la scimitarra). Infine la terza immagine immortala tre oneste lavoratrici di Santo Poco mentre fabbricano divise di amigos, nella scena in cui Martin Short dirà la seconda migliore battuta del film, subito dopo questa:



La prossima sfida si terrà lunedì 28 marzo, se riesco a farmi venire uno straccio d'idea.

mercoledì 16 marzo 2011

Hard Aleph

Vidi il popò di Briatore, vidi cani e gatti, vidi le moltitudini della Padania, vidi una caprese in cui si alternavano fette di mozzarella blu e fette di pomodori marci al centro di un piatto di plastica, vidi una mascella spezzata (era Berlusconi), vidi infiniti denti che addentavano i miei denti come nel gabinetto di un'igienista, vidi tutte le igieniste e nessuna mi spazzolò, vidi a corso Rinascimento le stesse teste di cazzo che trent’anni prima avevo viste a via degli Uffici del vicario, vidi sgrammaticature, sx, coca light, peni di cartone, jacuzzi fai da te, vidi contorti disegni di legge e ciascuno dei loro emendamenti, vidi a Milano Due una meteorina che levati, vidi l'extension, il culo a mandolino, vidi un tumore nella 32AA in 40D, vidi un buco in mezzo all'autostrada, dove prima era un giudice, vidi in una casa di Secondigliano un Meridiano di Guia Soncini, vidi insieme la prescrizione e la decorrenza dei termini di quella prescrizione, vidi un tramonto sul plastico di Brembate di Sopra che sembrava riflettere il colore di un trifoglio del plastico di Brembate di Sotto, vidi la mia stanza da letto occupata da Alessandro D'Avenia, vidi in un cesso di Avetrana un orologio Cartier Miss Pasha con cinturino intercambiabile posto tra due mortadelle che lo ammodernizzano più meglio, vidi chihuahua impellicciati su una spiaggia di Fregene il pomeriggio, vidi tutte le venuzze del naso di Ferrara alle 20.33, vidi Fede e Mora al dopolavoro mandarsi messaggini, vidi in uno stand di arredamento beato chi s'oo fa' 'n sofà, vidi 33 ragazze sul pianerottolo di un ascensore con aglio e oglio, vidi dildi, tsunami, vulnus e La Russa, vidi tutti gli elettori del Pdl che esistono sottoterra, vidi una nipote di Mubarak, vidi in un cassetto della scrivania (e la calligrafia mi fece tremare) lettere impudiche, incredibili, precise, che Kafka aveva dirette a Milena Jensenká, vidi la tomba di Fede ad Arcore scaraventata in una fossa comune, vidi i resti meravigliosi di quel che forse era Simona Ventura, vidi una chiazza del mio vomito per terra, vidi il meccanismo regionale delle liste elettorali provinciali e la politicizzazione comunale della Corte costituzionale borgatara, vidi Radiolondra, da tutti i punti, vidi in Radiolondra il fattoquotidiano e nel fattoquotidiano di nuovo Radiolondra e in Radiolondra ilfattoquotidiano, vidi i miei denti sporchi e la mia prostata, vidi i tuoi denti sporchi, e provai acidità e presi un maalox, perché il mio palato aveva pregustato il pasto indigesto e sconnesso, la supposta, il cui nome deridono i coglioni, ma che nessun coglione ha contemplato: l'indistruttibile spazioazzurro.

lunedì 14 marzo 2011

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VIII — YOU KNOW, FOR KIDS!

Due hula hoop a chi riconosce il film da cui è estratto questo fotogramma.


ATTENZIONE: La partita si è conclusa dopo appena 6 minuti. Un nuovo challenger, suibhne, ha riconosciuto Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music, 1965) di Robert Wise.
La prossima sfida si terrà lunedì 21 marzo.

L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
bianca: 3 hula hoop.
Strelnik: 3 hula hoop.
oscar amalfitano: 2 hula hoop.
suibhne: 2 hula hoop.

domenica 13 marzo 2011

Soluzioni, dissoluzioni

Il mio amico Hayao Yamaneko ha trovato una soluzione: se le immagini del presente non cambiano, allora si cambiano le immagini del passato.
Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).


mercoledì 9 marzo 2011

Tempo (inde)finito

Adesso è mezzogiorno, e siamo di fronte a Matera. I Sassi, visti da qui, con le loro architetture spontanee, merlettano la vista del canyon che li nasconde. La città nuova segna il limite del cielo.
Siamo seduti lungo un tavolo, accosciati per terra. Davanti a noi, grosse miche di pane, qualche cesto con la frutta: sono le prime pere di san Giovanni e le prime albicocche arrivate da Bari.
Noi apostoli non siamo tutti. Su un lato, Ferruccio Nuzzo che fa Matteo, poi Giovannino, il nipote di Elsa, Enrique che fa Cristo. C'è Pietro (il nome evangelico ha sostituito per tutti il nome proprio). C'è Agamben, e ci sono io. Agamben è innamorato: si dilegua facilmente, è distratto (aspetta sempre che G. gli telefoni, o magari che arrivi all'improvviso).
Alfonso, Alfonso Gatto, gli occhi celesti come il cielo delle sei della mattina al mare, è paziente più di tutti — lui, sant'Andrea. Gli chiedo, appena posso: «Andrea, dimmi "Sembianza"». E lui attacca: «Forse la luna è sorta / per dare la sembianza / d'una timida porta / alla tua cheta stanza…». Pier Paolo raccoglie quello che diciamo — sente sempre, qualsiasi cosa faccia, — e dice, pensando all'ermetismo: "È finito il tempo dell'analogica". E Alfonso, con eroica, dignitosa pazienza: "Non per tutti".
Siamo dunque intorno al tavolo. Giuda si preoccupa della battuta che dovrà dire. Gliel'hanno scritta male su un foglietto: s'impappina, mi guarda ridendo.
Per questo pasto in casa di Maria di Betania, che è Natalia Ginzburg, ci sono ospiti nuovi. C'è Gabriele Baldini, che ha ovviamente accompagnato Natalia, e che sulla tunica del costume, nelle pause, porta, appesa al collo, una macchina fotografica. Gabriele è un fotografo bravissimo e ora scatta qualche posa in gara con Ferruccio in attesa del ciak.
«Pronti!»
Da una porticina costruita fra due cumuli di pietra, entra Natalia, un manto in testa e una brocca di creta fra le mani. Entra spedita.
«Nooo!» Un grido ferito, di raccapriccio.
Natalia non si era tolta le sue scarpe, e le portava, visibilissime, sotto il costume. Bisogna ricominciare. E Gabriele ride di Natalia.
Enzo Siciliano, Campo de' Fiori.


lunedì 7 marzo 2011

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

VII — UN CHAPEAU DE PAILLE

Quante quante mai reminiscenze? Due bastano e avanzano, se riconosci il film da cui ho tratto questo fotogramma. Nuove immagini giovedì e sabato, ma ogni volta l'alzheimer incipiente mi avrà fatto scordare mezzo ricordo.
AGGIORNAMENTO (giovedì 10 marzo): Secondo fotogramma. Una reminiscenza e mezzo in palio.
AGGIORNAMENTO (sabato 11 marzo): Terza immagine. Una reminiscenza e poi basta voltarsi indietro: bisogna guardare al futuro!




ATTENZIONE: La partita si è conclusa senza vincitori. Il film da riconoscere era Butch Cassidy (Butch Cassidy and the Sundance Kid, 1969) di George Roy Hill.
La prossima sfida si terrà lunedì 14 marzo, se riesco a farmi venire uno straccio d'idea.

martedì 1 marzo 2011

Bringing home the bacon

JANE RUSSELL, 21/07/1921 - 28/02/2011