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lunedì 28 gennaio 2019
martedì 31 marzo 2015
Rampini nel vuoto
Nella notte del 30 marzo 2015, durante la trasmissione "Piazza Pulita" condotta da Corrado Formigli si poteva ascoltare l'intervento di tale Severgnini, non ricordiamo su quale tema comunque di scarso
interesse per gli studiosi.
Pronta la risposta di Federico Rampini, all'epoca editorialista del
defunto quotidiano "la Repubblica", in collegamento satellitare da New
York.
Questa è una provocazione sul futuro diciamo
digitale. Severgnini ha detto una cosa interessante – sì – citando
crozza [impossibile ritrovare oggi il significato del lemma "crozza"],
cioè, la tachipirina, no? Be', guardate che in America già adesso il
primo medico di famiglia è diventato google. Nel senso che l'americano
medio quando ha dei sintomi influenzali prima di tutto va sul motore di
ricerca google consulta l'enciclopedie mediche e si fa l'autodiagnosi
poi semmai va dallo specialista. Ora questo non è attenzione a… a non
essere a non demonizzare queste innovazioni perché attraverso eh… il
motore di ricerca attraverso l'accesso al sapere che ci offre internet
si sono anche evitati molti errori medici. Perché…
Intervento di C. Formigli: "Allora fermiamoci qui."
F. Rampini e C. Formigli [in coro] : "… la classe medica a volte sbaglia. / Fermiamoci qui Rampini."
Improvvisamente la macchina da presa, con un repentino zoom verticale
all'indietro, abbandona Rampini al suo appassionato intervento rivelando
più precisamente lo spazio: un gigantesco tubo di lamiera qua e là
arrugginito e trasudante umidità, di diametro congruo ma non
ragguardevole, culminante in una ringhiera. Attorno a quella ringhiera: i
mostri.
Non sono mostri. Sono esseri umani. Gli ultimi
esemplari? Mai dire mai, la nostra, dobbiamo prenderne atto, è una lotta
che durerà secoli. Seminudi, scheletrici, inzaccherati di ogni
possibile lordura, si aggirano intorno al tubo-baratro e ridono
orrendamente, piangono, si strappano i capelli. Primi piani fulminei,
quasi subliminali: quella bocca parzialmente sdentata e i denti rimasti
accusano carie devastanti eppure quella bocca è ilare, quei piedi dai
quali scoppiano vesciche con effetti sonori mai registrati dagli archivi
di missaggio, una mano che strizza freneticamente e senza costrutto
un'appendice floscia e sgocciolante (ma di cosa?) tra due cosce
assurdamente adipose e forse purulente. Molti si sporgono verso il
fondo, verso l'origine di quell'oscuro richiamo: non demonizzare…
monizzare… are… Alcuni di essi sporgono l'ano cosparso di emorroidi e
spruzzano misere gocce di feci verso la latrina gigantesca al centro
della quale si staglia l'oratore Rampini (così si spiegano le sue molte
chiazze?). Non intenzionalmente, si badi (è importante): il loro corpo
rachitico è continuamente scosso da convulsi accessi di tosse, dilatando
lo sfintere e provocando l'involontaria espulsione.
Ma costoro stanno realmente guardando in fondo a
quel fosso? Stanno ascoltando? È ancora possibile garantire
un'intenzionalità in questa sarabanda di cui gli odierni ricercatori
rintracciano echi iconografici di Dürer, di Charcot, di Tod Browning, di
Lovecraft e del film "Alien 3" (secondo l'audace interpretazione di
HGVG XII tutti gli esseri viventi della struttura edoniana sarebbero
cloni di "Danny Webb")? E ancora: questo ennesimo, fastidioso ma
comunque in medio termine condannato bubbone di umanità provvede al
proprio sostentamento? E come? Forse ricorrendo al cannibalismo? Oppure
dobbiamo prendere in considerazione l'assurda eresia di JHGYE XYV, che
dietro Rampini si illude di intravedere un rettangolo di luce, a livello
del suolo, dal quale – ma è solo un'illazione pseudoaccademica –
verrebbe passato "del cibo" non meglio determinato, in modo tale da
assicurare la preservazione del "corpo Rampini" e quindi del valore
"libertà di pensiero"? Abbiamo seri motivi di dubitarne.
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domenica 28 giugno 2009
L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)
XXIII — SHOCK CORRIDOR
Gli dèi rendono pazzi coloro che vogliono perdere.
Euripide: didascalia finale del Corridoio della paura (Samuel Fuller, 1963).
Euripide: didascalia finale del Corridoio della paura (Samuel Fuller, 1963).
Saldi estivi: scopri il titolo di questo film poco noto e vinci quattro camicie di forza outlet. Mercoledì e venerdì appariranno nuove immagini, ma ovviamente i capi in vendita saranno diminuiti. C'è ressa, nel manicomio Italia.
AGGIORNAMENTO (mercoledì 1° luglio): È stato aggiunto un secondo fotogramma. Una delle camicie di forza è stata lacerata dai coltelli. Ne restano tre.
AGGIORNAMENTO (mercoledì 1° luglio): È stato aggiunto un secondo fotogramma. Una delle camicie di forza è stata lacerata dai coltelli. Ne restano tre.


ATTENZIONE: la partita si è conclusa giovedì 2 luglio alle 12.39. Il film "poco noto" (un folle capolavoro) è The Unknown (Tod Browning, 1927), centrato da Bianca.
Il gioco chiude per l'estate.
La prossima sfida si terrà domenica 6 settembre.
L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
afasol: 14 camicie di forza.
arcomanno : 11 camicie di forza.
bianca: 6 camicie di forza.
YagaBaba: 3 camicie di forza.
gegio: 3 camicie di forza.
Andrea: 2 camicie di forza.
maxeramax: 2 camicie di forza.
Il gioco chiude per l'estate.
La prossima sfida si terrà domenica 6 settembre.
L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.
GRADUATORIA
afasol: 14 camicie di forza.
arcomanno : 11 camicie di forza.
bianca: 6 camicie di forza.
YagaBaba: 3 camicie di forza.
gegio: 3 camicie di forza.
Andrea: 2 camicie di forza.
maxeramax: 2 camicie di forza.
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venerdì 15 maggio 2009
Dacci un Taglio

La somiglianza
Se la “scampagnata” è un genere, la scena che vediamo non è forse un compimento del genere? Queste due specie di oche che non sanno “accomodare” bene i propri occhi sarebbero (come tutti i presenti) la metafora resa visibile, trasformata in specie, delle signorine impacciate, scioccherelle e male in arnese – posso sempre immaginare di veder comparire, un giorno o l’altro, delle cugine di provincia che gli somigliano.
Questo quadro, dopo tutto conforme a un’arte – infatti basta che sia una composizione, che organizzi dei personaggi in determinate pose, che sistemi una scenografia —, forse è imbarazzante per l’eccesso stesso degli elementi accessori. Questo quadro – più che tutta la pittura dove la figura appare solo perché è stata in precedenza deformata per apparire — non è inverosimile: è la somiglianza stessa.
Il quadro somiglia perché ci fa orrore, oppure perché lo riconosciamo? E lo riconosciamo perché non vi siamo ancora entrati; altrimenti non potremmo identificarlo, e sarebbe lui a sceglierci.
La sua somiglianza è dunque qualcosa di ermeticamente chiuso in se stesso? Questo mondo – qui sta la sua follia – si somiglia all’infinito: qui sta il suo orrore.
Più che uomini e donne anormali, in queste interminabili infanzie vediamo degli animali lievemente eccentrici. Dimenticavo quella specie di pollo che se ne sta sdraiato in primo piano a fare un po’ di musica. Quest’uomo è troppo magro da mangiare? non si regge sulle sue esili gambe e così è destinato a passare da una barella all’altra, fino a esaurire la sua magrezza? tenta di ammaliare col suo strumento tre vampiri imbecilli o ha già trasformato altri mostri in questa trinità dischiusa dalla sua impotenza? Il tronco umano riserva a se stesso una parte che si trova nel Giudizio universale di Signorelli, cioè un colore aggiunto a questa scena dall’interno.
Certo, tutto questo non designa nessuno fuori dall’immagine, senza però riuscire a mostrarci “degli altri”; in maniera implacabile, in maniera solitaria fino al suono di un’armonica che percorre la tetra campagna, questa immagine racchiude in sé una somiglianza.
Jean Louis Schefer, L’uomo comune del cinema (traduzione di Michele Canosa), Quodlibet, Macerata 2006, p. 51.
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