— C’è un odore che conosco bene, quello della passione e della paura.
— Che ne sai?
— Sono cresciuto in un paese cattolico.
Il cileno Juan (Daniel Smith) e il tedesco Hermann (Henry Arnold) nella serie televisiva Heimat 2 — Cronaca di una giovinezza in 13 film (Edgar Reitz, 1993; Secondo episodio: “Due occhi da straniero — Juan, 1960/61”).
— Che ne sai?
— Sono cresciuto in un paese cattolico.
Il cileno Juan (Daniel Smith) e il tedesco Hermann (Henry Arnold) nella serie televisiva Heimat 2 — Cronaca di una giovinezza in 13 film (Edgar Reitz, 1993; Secondo episodio: “Due occhi da straniero — Juan, 1960/61”).
Mi raccontava che quando arrivò a Roma dal profondo Sud, la prima cosa che voleva vedere era quel grande magazzino di cui giù al paese si parlava con stupefatta reverenza. Ma avendo ricevuto una buona educazione e non volendo essere riconosciuto come terrone, quando chiedeva informazioni badava bene a usare il determinativo "il" al posto del meridionale "u".
"Scusi, dov'è il Pim?"
Non m'intendo di moda, ma mi piace pensare che il maglione indossato dall'uomo che sento, anzi guardo, parlare sullo schermo del mio computer sia stato acquistato da Upim.
Dice poche parole, e non sai bene se è per nausea e malavoglia. O perché ormai gli sono rimaste poche certezze, pochi principi (e nessun valore, altrimenti il golfino lo comprerebbe altrove): per articolarle un minuto basta e avanza. Dice poche parole, e magari non sono neppure le parole giuste. Ma al cinema le parole spesso non importano, e i film ricchi di battute pungenti e memorabili sono raramente i migliori.
Dice poche parole, e guardando fisso in campo. Ha occhi allampanati, e impenetrabili. Puoi leggerci quello che vuoi, in quegli occhi. Una severa fermezza. Una sorda resistenza. Una rabbia contratta. Un furore civile. Forse un po' di tutto questo. Per esserne sicuri, bisognerebbe capire chi o cosa sta guardando, così intensamente, quest'uomo. Un minuto e diciannove secondi: e non batte mai le ciglia. Nell'iperuranio, esisterà un'idea della secchezza. Appena prima delle tre parole conclusive, sei secondi di silenzio. Hai l'impressione che non riaprirà più bocca per l'eternità.
Secondo me non sta guardando la macchina da presa, e neppure, per usare un altro termine astratto, lo spettatore. Secondo me sta guardando "una cosa mostruosa e libera". O un cuore di tenebra, se preferisci.
Dice poche parole, ma non sono tanto le parole che contano. Un minuto di cinema puro: anche se parlasse in sargoto trasmagnano, ne capiresti pur sempre il senso. È tutto in quegli occhi, in quel maglione, e nel timbro della voce: in una parola, nello stile.
Una lezione di eleganza. Scusi, dov'è il Pim? Qui.