lunedì 10 dicembre 2012

Winnetou

Lei è insopportabile, ma a parte questo stavo per mettermi a piangere più volte per la bellezza, letteralmente, come il mio amico Azio con la moglie quando guardavamo Sentieri selvaggi, peraltro citato all'inizio. L'ho rivisto in tre serate, da solo. Quella di ieri interamente dedicata al mexican sit-in in cantina. Potrei tenerci un corso annuale, se qualcuno mi pagasse per farlo: il film si arena squisitamente per 25 mn (ho cronometrato), dove per 18 mn ciarlano di continuo in tedesco con sottotitoli per lo spettatore Usa, e quello spettatore è obbligato a leggere le ciarle e a non vedere più nulla, legge  di accenti sbagliati ed è turlupinato perché non ha passato un decennio a Francoforte un decennio a Monaco e soprattutto un decennio a Piz Palü quindi merita di essere come minimo turlupinato e torturato mentre tutti si comportano in modo inverosimile e anacronistico e recitano da cani ciarlando in crucco e seduti come stoccafissi seduti e non c'è neppure uno straccio di musica di commento a salvare questi bastardi senza gloria tranne per una frazione di secondo un paio di trite note scalcagnate e stralciate da un orrendo spaghetti western che non c'entrano un cazzo se non a invocare grossolanamente il trito schioppo nascosto sotto il bancone e presto impugnato dal barista che chissà perché sparerà ai buoni tanto tutti son vestiti da nazi tutti uguali chiusi in una topaia claustrofobica a concionare in tedesco seduti come baccalà seduti eppure da quella topaia crucca quel figlio di puttana incolto e volgare di Tarantino riesce a scovare il nazi furbetto dell'angolino che la sa lunga col suo schnaps crucco e il culo inchiodato a una sedia nel suo angolino cieco perché Pastrone un secolo prima forse s'era inventato il carrello e anche quell'analfabeta bastardo di Tarantino la sa lunga e andiamo avanti così senza alcun senso potrebbe durare due ore e mezza e sarebbe bellissimo finché tutti schiodano il culo e si sforacchiano con luger coltelloni mitra e schioppi e godono con noi nel caos totale e per meno di dieci secondi.
Come sempre, Brad Pitt è perfetto.


2 commenti:

arco ha detto...

Senza dubbio la scena migliore di tutto il film. Insieme a quella iniziale in Francese (ancora ciarle!) e all'interrogatorio di Diane Kruger. Proprio tu mi hai fatto notare, del resto, come il film sia proprio un susseguirsi di interrogatori.
Altre parti del film mi piacciono meno (le uscite coi titoloni spaghettowestern, il finale un po' WTF, etc.), ma a volte faccio un po' la fine bouche, mi dimentico che Tarantino fa finta di fare finta di fare il grezzone.

Stenelo ha detto...

Sì, i riferimenti trashoni di Tarantino sono in parte delle coperture, a nascondere, come si addice alla cultura americana, riferimenti altissimi: in questo caso "To Be or Not to Be" di Lubitsch (esplicitamente citato dopo pochi minuti: "Lei sa come mi chiamano, vero?") e i suoi illustri nipotini ("Le Dernier métro", il Gamaar è la versione al cubo del théâtre Montmartre). Avveniva lo stesso in "Death Proof", sicuramente il suo film più radicale, dove in filigrana non era difficile pensare all'amico e nume tutelare Hellman e a Rohmer, più sottile e per pochi la ripresa della struttura di "Une sale histoire" (Jean Eustache).
Ciò detto, il trash esiste, ma Tarantino lo costruisce, se lo fabbrica da solo. La tendenza era già iniziata con "Jackie Brown", ma è giunta al parossismo con gli ultimi due film. Non una battuta memorabile, incongruenze e inverosimiglianze a strafottere (ma è vero che Tarantino, dopo averle prodotte, le scavalca e noi le ignoriamo), attori non sempre al top, ragazze non sempre cinegeniche ecc. La scena nel bar-cantina, ad esempio, è mediocrissima quanto a organizzazione dello spazio (unica condizione necessaria e sufficiente per un mexican stand-off che si rispetti) e Tarantino si permette addirittura di far spuntare un secondo vano (e un nuovo personaggio) dopo una decina di minuti dall'inizio della scena: errore che non commetterebbe neppure Ed Wood. In un cinema dominato dalla grazia trendy dei vari "In the Mood for Love", dei Wes Anderson (tutta roba che mi piace, a scanso di equivoci, sono persino indulgente nei confronti della Coppola, a parte il suo ultimo film), Tarantino persegue un suo sapientissimo artigianato del brutto, camuffandolo da omaggio. Che tutto questo alla fine risulti splendido è un suo segreto di fabbricazione.
Ora penso che è dai tempi di "Jackie Brown" che Quentin cerca di evadere dalla propria riduzione ad aggettivo ("tarantiniano"), era evidente nei tempi dilatatissimi, nella riduzione di battute a effetto, nelle scelte sorprendentemente "deceptive" (le esecuzioni fuori campo o cieche, De Niro scritturato solo per stravaccarsi su un divano con l'espressione da pesce lesso, che poi sia la sua migliore interpretazione è un altro discorso o lo stesso discorso) ecc.
Negli ultimi due film ha trovato il suo uovo di Colombo: il miglior modo per distinguersi dagli altri e soprattutto da se stesso è sbagliare tutto, sempre. È una poetica death proof: impossibile che una teoria di errori diventi maniera.