giovedì 5 settembre 2019

The Dead Don't Die (Jim Jarmusch, 2019)

The Dead Don't Die, dato il tema e il cast francamente obeso, era prevedibilmente inutile, forse divertito e di certo poco divertente. La visione conferma le magre aspettative, anche se il film si rivela meno irritante di Only Lovers Left Alive, altra incursione in chiave languido-poeticistica nel genere horror, che al nostro sembra interessare poco o nulla, come sembra interessargli poco o nulla da un ventennio qualsiasi cosa faccia. Questo menefreghismo lo spaccia per sprezzatura, e in alcune scene, per esempio di Paterson, la truffa sembra quasi funzionare. Nulla da obiettare in particolare (salvo i folli e inerti riferimenti metafilmici, Adam Driver cui "Jim" ha dato da leggere "l'intero copione" mentre il povero Bill Murray ha avuto accesso solo alle sue scene, simili sciocchezze e strizzatine d'occhio costellano tutto il film, sono sempre state una pessima idea, almeno in Mezzogiorno di fuoco Mel Brooks le raggruppava tutte nel trascurabile finale). Il film non è irrispettoso nei confronti dei suoi predecessori, anzi. Solo che essi lo spiaccicano senza pietà. O meglio: lo spettatore assiste leggermente sbigottito allo spettacolo di un regista che si stende in mezzo all'autostrada facendosi travolgere da una teoria di autotreni, da quello targato Twin Peaks a quello che trasporta "trilogia di Romero" e lo spin-off Diary of the Dead, dalle finte e geniali parodie Shaun of the Dead e The Battery alla Pussy Wagon che trasporta The Bride Uma Thurman e già che ci siamo anche Michonne di The Walking Dead, se abbiamo Tilda Swinton non facciamoci mancare nulla, anzi no, improvvisamente arriva un'astronave e se la porta via, sembra un po' il sogno da fantascienza depressa de L'uomo che non c'era e un po' quello di un uomo che dorme senza sognare nulla, un uomo felice, a suo modo felice. Tutti doviziosamente omaggiati, quasi tutti ricordati nei titoli di coda, ringraziati, venerati, anche forse un po' disprezzati, come forse è un po' disprezzato lo spettatore, ma sempre con tanto affetto "molto molto" newyorchese.

The Dead Don't Die rivela una certa verità del cinema di Jarmusch, che da giovane era stato allievo e amico di un Nicholas Ray ormai abbastanza impazzito. In fondo Jarmusch è la versione contemporanea e pop di Louis Malle, che abbandonò da giovane una carriera abbastanza promettente di documentarista per darsi al "cinema d'autore", stando sempre bene attento a non turbare nessuno, a cogliere le idee più originali e innovative quando esse erano diventate perfettamente identificabili, decifrabili, accettabili, in una parola "culturali".

NOTA

Molti film di Jarmusch non sono esattamente pallosi. È abbastanza palloso Stranger Than Paradise, tutta la parte di Down by Law con il solo Benigni lasciato incontrollato è pallosissima, come pallosissimi sono Mystery Train (tranne forse l'episodio giapo) e aiutami a dire Night on Earth, è alla lunga palloso l'Indiano che spiega le cose in Dead Man, certe inquadrature dall'alto con filo a piombo ripetute con pigro compiacimento in Only Lovers Left Alive, qui la gag su "Sarà stato un animale, o forse tanti animali", forca caudina sotto la quale devono passare prima Murray, poi Driver, infine Sevigny, quando arriva Sevigny già lo sai che deve dire quella cosa là e che tu dovrai ridere, quindi subisci due minuti, due minuti al cinema possono essere un'eternità, e quell'eternità non produce nulla, è solo un'esperienza sfiancante, finché lei dice "Sarà stato un animale" ecc. e non ridi, e quel tuo non ridere a sua volta non cambia nulla della tua esistenza, né è grave che lo faccia o meno, stai solo subendo il tutto mentre qua e là cogli qualche lacerto di bellezza comunque compreso nel prezzo, per esempio Adam Driver per ora continua a essere un corpaccione singolare, ma è merito credo abbastanza naturale di Adam Driver e del suo singolare corpaccione, va bene anche se a riprenderlo è Alan Smithee. È quello il problema, che spesso quello che ci piace in Jarmusch ci sarebbe piaciuto comunque, anche senza Jarmusch.

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