venerdì 15 maggio 2009

Dacci un Taglio

scampagnata.jpg

La somiglianza


Se la “scampagnata” è un genere, la scena che vediamo non è forse un compimento del genere? Queste due specie di oche che non sanno “accomodare” bene i propri occhi sarebbero (come tutti i presenti) la metafora resa visibile, trasformata in specie, delle signorine impacciate, scioccherelle e male in arnese – posso sempre immaginare di veder comparire, un giorno o l’altro, delle cugine di provincia che gli somigliano.
Questo quadro, dopo tutto conforme a un’arte – infatti basta che sia una composizione, che organizzi dei personaggi in determinate pose, che sistemi una scenografia —, forse è imbarazzante per l’eccesso stesso degli elementi accessori. Questo quadro – più che tutta la pittura dove la figura appare solo perché è stata in precedenza deformata per apparire — non è inverosimile: è la somiglianza stessa.
Il quadro somiglia perché ci fa orrore, oppure perché lo riconosciamo? E lo riconosciamo perché non vi siamo ancora entrati; altrimenti non potremmo identificarlo, e sarebbe lui a sceglierci.
La sua somiglianza è dunque qualcosa di ermeticamente chiuso in se stesso? Questo mondo – qui sta la sua follia – si somiglia all’infinito: qui sta il suo orrore.
Più che uomini e donne anormali, in queste interminabili infanzie vediamo degli animali lievemente eccentrici. Dimenticavo quella specie di pollo che se ne sta sdraiato in primo piano a fare un po’ di musica. Quest’uomo è troppo magro da mangiare? non si regge sulle sue esili gambe e così è destinato a passare da una barella all’altra, fino a esaurire la sua magrezza? tenta di ammaliare col suo strumento tre vampiri imbecilli o ha già trasformato altri mostri in questa trinità dischiusa dalla sua impotenza? Il tronco umano riserva a se stesso una parte che si trova nel Giudizio universale di Signorelli, cioè un colore aggiunto a questa scena dall’interno.
Certo, tutto questo non designa nessuno fuori dall’immagine, senza però riuscire a mostrarci “degli altri”; in maniera implacabile, in maniera solitaria fino al suono di un’armonica che percorre la tetra campagna, questa immagine racchiude in sé una somiglianza.

Jean Louis Schefer, L’uomo comune del cinema (traduzione di Michele Canosa), Quodlibet, Macerata 2006, p. 51.

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