lunedì 21 luglio 2008

Orson Welles — Un fogliettone

V
1943-1949: NELLE FOGNE E TRA GLI SPECCHI

Altre persone, così ho letto, fanno tesoro dei momenti memorabili della loro vita: la volta in cui sono saliti sul Partenone all’alba, la notte d’estate in cui hanno incontrato una ragazza solitaria a Central Park, e stabilito una tenera amicizia, come si dice nei libri. Anch’io una volta ho incontrato una ragazza a Central Park, ma non c’è molto da ricordare. Quello che ricordo io è quando John Wayne uccise tre uomini con una carabina mentre cadeva nella polvere in Ombre rosse e la volta in cui il gattino trovò Orson Welles sulla soglia del portone nel Terzo uomo.
Walker Percy, L’uomo che andava al cinema, Milano 1989, p. 13.

Durante la guerra Welles dedicò buona parte delle sue energie a collaborare allo sforzo bellico, realizzando trasmissioni radiofoniche di propaganda, divertendo i soldati con numeri di illusionismo, scrivendo editoriali e rubriche di politica, società e cultura (comprese ricette gastronomiche e previsioni di astrologia). Nel 1943 produsse (non accreditato) e interpretò La porta proibita (Jane Eyre) di Robert Stevenson. Se si esclude Terrore sul Mar Nero, di dubbia attribuzione, è il suo primo ruolo in un film non diretto da lui. Privo di potere contrattuale, la carriera d’attore servirà a Welles per finanziare i suoi progetti cinematografici: fu protagonista o comparsa d’onore in decine di film, alcuni di pessima fattura, spesso riservandosi il privilegio di scrivere le proprie battute. Si sospetta altresì che in alcuni casi sia passato dietro la macchina da presa per realizzare le scene in cui appare: un’ipotesi più che verosimile, ma difficilmente dimostrabile.
Dei film interpretati da Welles, il più importante è indubbiamente Il terzo uomo (1949; The Third Man) di Carol Reed: assieme alla Guerra dei mondi, la caratterizzazione del truce ma simpatico trafficante Harry Lime resta la sua migliore interpretazione e il suo più grande successo popolare, e nel 1951 rivestì la voce del personaggio in un ciclo di avventure scritte in buona parte da lui per la radio inglese (The Adventures of Harry Lime). Per chi volesse vedere il vero Welles, senza trucco, questa pare sia l’unica occasione (anche se alcuni sospettano un naso finto). Dato per morto ma nominato continuamente, Lime esce improvvisamente dall’ombra solo dopo la metà del film, totalizzando sullo schermo una presenza di appena cinque minuti. Il film vortica così attorno a un vuoto, creando un’attesa che l’arrivo di Welles esalta, nel dialogo sulla Gran ruota del Prater e durante l’inseguimento finale nelle fogne di Vienna. L’autore di Quarto potere aveva accettato di recitare nel film per finanziare il suo Otello. Si disse che Welles aveva collaborato alla regia del film, ma mi sembra un sospetto infondato: ne Il terzo uomo si ritrovano le qualità principali del cinema di Reed, dallo sguardo documentaristico al leggero umorismo. Sembra tuttavia probabile che Welles scrisse le sue brevi battute, arricchendo il ritmo scoppiettante del film con il suo torbido personaggio, al contempo cinico e inconsciamente tormentato. Sua è una delle considerazioni destinata a restare tra le più celebri della storia del cinema: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia e cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”.


SAME PLAYER SHOOTS AGAIN, AND IN ITALIAN TOO!


Tra gli altri film interpretati da Welles, vale la pena menzionare Cagliostro (1947; Black Magic) di Gregory Ratoff, Moby Dick, la balena bianca (1956; Moby Dick) di John Huston, Frenesia del delitto (1959; Compulsion) di Richard Fleischer, l’episodio “La Ricotta” di Pier Paolo Pasolini in RoGoPaG o Laviamoci il cervello (1962), Un uomo per tutte le stagioni (1966; A Man for all Seasons) di Fred Zinnemann, l’episodio di Joe McGrath in Casino Royale (1967), Comma 22 (1970; Catch-22) di Mike Nichols, Dieci incredibili giorni (1971; La Décade prodigieuse) di Claude Chabrol, Malpertuis (1971) di Harry Kumel.
Nel corso degli anni, sempre alla ricerca di fondi per finanziare i suoi film, Welles farà davvero di tutto, dalle pubblicità a spettacoli di magia a Las Vegas, dalla voce narrante per documentari sugli animali o per Bugs Bunny Superstar (1975) ad apparizioni televisive in The Dean Martin Show o nel Muppets Show, da letture su audiocassetta di testi letterari destinate al mercato giapponese a incisioni della propria voce su dischi di musica heavy-metal (Battle Hymns, 1984), da comparsate in film erotici (Butterfly, 1981) a frequentazioni assidue di ristoranti di lusso per sfamare la vorace golosità adescando improbabili mecenati dalle dubbie origini.

Durante il 1944, da fervido democratico, Welles partecipò attivamente alla campagna di rielezione del presidente, scrivendo discorsi per Franklin D. Roosevelt e tenendo conferenze in tutto il paese. Nell’estate 1946, investì quasi tutti i suoi guadagni per montare con il Mercury Theatre un’ambiziosa rappresentazione teatrale del Giro del mondo in 80 giorni, piena di effetti speciali e con musiche di Cole Porter. Lo spettacolo divise la critica e malgrado il successo di pubblico, i fondi per la tournée vennero a mancare e nell’Adelphi Theatre di New York l’assenza di l’aria condizionata si fece presto sentire. Nell’impresa, Welles perdette personalmente 320.000 $, che non riuscì a detrarre dalle tasse. Così presero inizio i problemi fiscali, che lo assilleranno fino alla morte. Lo stesso anno cercò di convincere Hollywood di poter essere un regista qualsiasi, capace di girare una storia lineare rispettando tempi e preventivi: ad eccezione di un paio di sequenze, Lo straniero (The Stranger), dove Welles incarna un criminale di guerra nazista che cela la propria identità in una tranquilla cittadina di provincia americana, è il suo film più impersonale, senza dubbio il meno interessante.
Il matrimonio contratto con Rita Hayworth nel 1943 permise a Welles di realizzare La signora di Shanghai (The Lady from Shanghai). Nel 1946, la moglie aveva fatto girare la testa a milioni di spettatori in Gilda, mentre sfilandosi i lunghi guanti di seta nera cantava “Put the Blame on Mame”. Ma più di tutto, a cristallizzare l’oggetto dei desideri era la lunga chioma scura dell’attrice. Welles decise di tagliarla cortissima e di ossigenarla. Le offrì un personaggio di perfida assassina che abbindola un improbabile marinaio irlandese (interpretato da Welles) in un giallo dalla sceneggiatura del tutto pretestuosa e la lasciò morire da sola in una galleria di specchi infranti. Il pubblico non apprezzò. Ancora una volta, il film subì pesanti tagli, ma alcune sequenze, e soprattutto il finale, entrarono nell’antologia ideale di tutti i cinefili. Welles ne ricavò un rapido divorzio e, ad eccezione de L'infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958), la condanna a non girare mai più un film in condizioni produttive normali.



(CONTINUA...)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

in effetti il taglio e l'ossigenazione sono da divorzio

Stenelo ha detto...

Senza contare che gli specchi sono abomino... abbominobili... abbimenevoli... vabbé, abbiomanabili, 'nsomma.