giovedì 12 giugno 2008

"Cinespia!" investiga l'investigatore! Rivelazioni scottanti! Molto hush-hush!

— La solitudine l’ha inasprito, Marlowe. Ha mai voluto bene a qualcuno?
— Una volta. La sposai, ma era troppo tardi. Non ha funzionato.
Conversazione telefonica tra Stan Laurel e Philip Marlowe, intercettata nel 1964 da John Edgar Hoover e archiviata da Osvaldo Soriano in Triste, solitario y final, Ediciones Corregidor, Buenos Aires 1973.

— Lei ha figli, signor Marlow?
— La prego, si ricordi di scrivere Marlowe, con la e, altrimenti i suoi lettori mi confondono con un marinaio. Marmocchi? Per carità! Sarei stato un pessimo padre: mi ci vede a cambiare i pannolini e cantare "Fate la nanna coscine di pollo"? Però se mi passa quel barattolo di lucido da scarpe nero posso cantarle "Swanee".

— Prego, scusi?

— "Swanee"… Ma già, lei è giovane, non ha ancora sentito niente, Al Jolson non sa nemmeno chi sia.

— Dicevamo dei figli, Marlow...

— Marlowe. Be', un tempo ho avuto un gatto. Ma mi ha tradito con una coniglietta. Non che me la sia presa, intendiamoci.

— In che senso non se l'è presa?

— Be', insomma, lei mi capisce, it's okay with me, ecco.

— Questa mi sembra di averla già sentita.

— Stia a sentire, amico, non me ne importa niente se l'ha già sentita o no, io l'ho detta comunque. E ora se ne vada al diavolo, mi lasci solo, lei mi ha fatto solo venire un grande sonno, giovanotto.

L'anziano Philip Marlow, intervistato dall'inviato speciale di "Cinespia!" Stenelo Kautzsch il 9 giugno 2008 al reparto geriatrico dell'Hospital Angeles (Tijuana).

Non c'è che dire, cari lettori. Incrociando questi due documenti è chiaro che qualcosa non torna. La confusione del vecchio investigatore privato tra un bambino e un animale domestico è l'indizio che gatta ci cova, se possiamo permetterci il gioco di parole. La senilità non spiega tutto, soprattutto se confrontiamo le parole di Marlowe con due reperti audiovisivi che siamo riusciti a procurarci secondo i soliti metodi, ben noti ai fedeli lettori della nostra infallibile rivista (parlano da sé i 754 processi in diffamazione, tutti vinti da noi). In questo filmato, ad esempio, vediamo un già non più giovane Marlowe sdegnare la duplice opportunità di un matrimonio onesto e non privo di interessanti risvolti economici. Guardiamolo mentre il padre delle due pretendenti lo mette generosamente in guardia, premonitore:



Ma il matrimonio non s'aveva da fare, chiaramente, e in nome di un "desiderio d'indipendenza" tanto assurdo quanto malriposto, il nostro sprecherà gli anni più belli in vagabondaggi notturni per squallidi supermercati, in cerca di quel senso dell'esistenza che l'uomo di ieri e di oggi può trovare solo nell'ambito di una sana vita domestica, tra l'affetto e la consolazione di una moglie fedele e la luminosa speranza delle nuove generazioni:



Come andò a finire, cari lettori, ormai lo sanno anche i topi (per tacer dei gatti! se ci è concessa una punta di leggerezza umoristica). Un matrimonio tardivo, con una donna di facili costumi (troppo, troppo giovane; e troppo, troppo ricca!), ed è subito crisi, con l'inevitabile separazione, e quindi il divorzio: un copione fatale. Durò appena qualche mese, l'unione tra Philip e Linda Loring. Troppo poco per far venire alla luce un piccolo Marlowe. Troppo poco? È tutto da vedere! E noi di "Cinespia!" abbiamo visto e sentito tutto. Spulciando gli archivi dell'ospedale pubblico di Poodle Springs, siamo riusciti a rintracciare un certificato di nascita risalente al 1953 (sì, ahimé, cari lettori, avete già capito, si tratta di una paternità precedente il matrimonio vero e proprio, ma noi non siamo qui per giudicare e ci atteniamo ai fatti, senza omettere nulla). Una povera creatura senza nome, abbandonata senza neppure offrirle la salvezza del battesimo da tali "Mr. P.M." e "Miss L.L." (come risulta dal suddetto certificato).
Ma dopo molte ricerche "Cinespia!" ha ritrovato per voi le tracce del figlio di Marlowe! È lui, senz'ombra di dubbio. Distrutto dalle vicissitudini e dai vizi, privato dell'amore dei genitori, senza nessuno in grado di indicargli la retta via, eccolo brancolare, inconsapevole (anche se come sapete noi di "Cinespia!" abbiamo sempre creduto nell'eredità genetica e nella predestinazione divina), sulle orme dello sciagurato padre, mentre viene ripreso dal nostro temerario inviato speciale Stenelo Kautzsch con una minicinepresa nascosta nel taschino.



5 commenti:

arcomanno ha detto...

Ach... Il gatto, il tappeto, il latte... come ho fatto a non pensarci prima?

adlimina ha detto...

'il farsi piacere una cosa piuttosto che un'altra ha valore di contrasto' etc etc. soriano: letto pure futbal? (divino libello)

Stenelo ha detto...

E al peggio non c'è mai limite, caro Bowman. Pensa solo alla fine che farà il nipotino di Marlowe: sai, quello con la madre che fa "l'artista vaginale"... Ahi ahi, arte degenerata, figli degeneri... Fortuna che noi, almeno, qui (cioè lì) in Italia abbiamo un vero presidente di sinistra...
P.S.: Hai visto i progressi? Ora so pure mettere i link nei commenti! (Grazie, Dust.)

adlimina: sì, ho letto "Futbol" (è tardi, niente accento acuto sulla "u", figurarsi i circonflessi). Se Arcomanno è Bowman e tu sei Penelope, Obdulio Varela è un po' l'Achille del pallone. Ma tra i romanzi, ancor più di "Triste, solitario y final", da ragazzo perdevo la testa per "Mai più pene né oblio" (Mi Buenos Aires querido: giuro, un giorno la vedrò, o forse ci andrò a morire, sotterrato a La Recoleta dopo una sbornia colossale in un'Esquina, preferibilmente rosada) e soprattutto per "Quartieri d'inverno".

P.S.: Ma la vera malinconia è questa:
La gente dimentica sempre le proprie risate.
Osvaldo Soriano, “L’errore di far ridere — Laurel e Hardy”, Artisti, pazzi e criminali (traduzione di Angelo Morino), Rizzoli, Milano 1986, p. 32.

Mentre Bowman, nomen omen permettendo, avrebbe forse agrarie epifanie calabre leggendo questa:

Nei film western i contadini vengono sempre puniti. A volte non pagano neppure la loro bara.
Osvaldo Soriano, Triste, Solitario y final (traduzione di Glauco Felici), Einaudi, Torino 1978, p. 29.

arcomanno ha detto...

Dear Alt, quasi per caso incrocio nella rete una storia molto triste, molto solitaria, molto final che ha più di un'assonanza con quello che scrivi e lascia l'amaro in bocca (e come potrebbe essere diversamente di questi tempi?).

PS: (prossimamente commenterò il giudizio dell'Economist su Valtero e ti mostrerò che gli scrittori di fantascienza e i b-movies avevano previsto tutto.)

Stenelo ha detto...

Scusa Arcomanno,
non son riuscito a superare i primi tre capoversi. Già quelli bastavano e avanzavano. Non per le assonanze con quello che ho scritto, ma per i troppi flash incrociati tra il testo e la mia stessa vita: quella reale, per una volta, ossia il tempo dell'infanzia.
Gli ultimi due anni delle elementari li scontai a Parigi. Il mio migliore amico era un bambino argentino. Bambino si fa per dire: perché con quello che gli era successo aveva già vissuto tre vite d'adulto (infatti parlava l'italiano come un libro aperto). Era fuggito da Buenos Aires con la madre, la sorellina e il fratellino più piccolo. Il padre era stato ammazzato dai militari. Risparmio altri truci dettagli, le conseguenze, gli strascichi (e non perché siano immaginabili: la realtà, quando è così violenta, non è mai immaginabile, non ci riesce neppure la fantascienza o le serie B). Eravamo nella stessa classe. Il maestro era un pazzo criminale: il primo giorno di scuola, quando facendo l'appello (dopo bisognava dire il "padre nostro", in quella che pure era una scuola pubblica: ma questa è un'altra storia) capitò sul nome del mio amico, quello stronzo disse: "Argentino, eh? Laggiù TA-TA-TA-TA-TÀ, eh?". E qui fece esattamente lo stesso gesto del nostro Presidente del Consiglio, rivolto a una giornalista, in presenza di Putin.
Niente volevo solo dire questo. E scrivere che l'amico si chiama Alberto Saavedra, così, forse, googlandosi, un giorno capiterà su questo blog e saprà che a volte penso ancora a lui e che un giorno, molti anni fa, incontrai quel cattivo maestro sul Palatino e quel verme mi disse che ora aveva cambiato mestiere, aveva scoperto che con le mani era in grado di emanare onde benefiche, e da quelle viscide mani fece spuntare una squallida carta da visita dove sopra il suo nome troneggiava il disegno di due mani incrociate.
Alberto, purtroppo lo sappiamo che l'inferno non esiste, ma a volte, come vedi, alcuni pagano per i loro peccati quando sono ancora vivi, qui ed ora. E questo un po' dovrebbe consolarci.
Alt